When Milan Meets Wenzhou China-Italy Art Exchange Quando Milano incontra Wenzhou. Scambio d’arte sino-italiano. 浙江永嘉楠溪书院 2023

当米兰遇上温州 中意艺术交流名家系列(二) 王鲁湘

When Milan Meets Wenzhou

China-Italy Art Exchange

Quando Milano incontra Wenzhou. Scambio d’arte sino-italiano.

浙江永嘉楠溪书院 2023-05-17 

 Accademia Zhejiang Yongjia Nanxi

“Residenza d’Artista” all’Academy Nanxi di Wenzhou.

di Andrea B. Del Guercio

Il mio contributo non può che prevedere un orientamento fondato sugli strumenti critici che ho a disposizione e che sono, anche per libera scelta, privi di quelle conoscenze specifiche che si riferiscono alla Storia della Pittura cinese antica, alla sua tradizione espressiva lungo le diverse aree tematiche – dalla figura al paesaggio, al mondo animale – ed a quello religioso ed ancora alla storia delle sue tecniche. Di fronte alla ricchezza di questo patrimonio e alla complessità dei valori coinvolti, dalla filosofia alla letteratura alle religioni coinvolte – e stratificatisi mi pongo da tempo in posizione iconografico-ricettiva  e di attento ascolto delle voci narranti degli artisti che insieme agli storici dell’arte, mi hanno permesso di dare spessore ad un costante processo di attrazione emozionale; un percorso di avvicinamento iniziato sul piano storico-critico attraverso il confronto con la presenza della cultura orientale nel patrimonio occidentale, ma che si è strutturato e configurato nella stagione contemporanea. La frequentazione diretta degli artisti, spesso Maestri all’interno delle Accademie di Belle Arti, l’incontro negli Atelier e nei Seminari e Conferenze, mi ha permesso di conoscere più a fondo la cultura artistica, la dimensione emozionale individuale e i processi espressivi con relazioni collettive. 

Tra gli strumenti culturali appresi lungo questo articolato percorso devo anche includere oltre dieci anni di frequentazione della numerosa popolazione studentesca cinese giunta e penetrata all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Brera; la mia stessa didattica dell’arte ha inevitabilmente subito una trasformazione di strumenti e un aggiornamento di sensibilità di fronte a giovani artisti, testimoni della propria cultura artistica; sopratutto l’incontro con studenti giunti in Italia con alle spalle un quadriennio in patria, quindi con una prima maturità espressiva, e proiettati sul biennio di specializzazione, ha visto lo sviluppo sinergico dell’esperienza artistica con il patrimonio, sia storico che contemporaneo, europeo. Anche questo processo, condotto sul piano operativo, si pone quindi alla base dell’attuale fase della mia ricerca di studio e di conoscenza, ma anche di frequentazione critica tesa a instaurare approfondimenti editoriali ed espositivi; un’attività che si è consolidata con Luming Zhang attraverso la condivisione di Progetti.   

“Residenza d’Artista” all’Academy Nanxi di Wenzhou.

In questi anni, determinati dal prima e dal dopo pandemia, le relazioni intercorse con la cultura artistica cinese ed in particolare con le grandi accademie, da Pechino nel 2018 e con Hangzhou e Shenyang  nel 2019, assumono una svolta importante con l’organizzazione di una “Residenza d’Artista” presso l’Academy Nanxi e nel confronto espositivo tra artisti italiani e cinesi nel Wenzhou Museum.

Premessa.

Un volume di grande formato e accurata impostazione grafica, documenta nel passato il progetto espositivo e artisticamemnte operativo, intercorso tra una compagine di artisti di Parigi e Wenzhou, rivelando i contenuti estetici di una serie di ricerche espressive avvenute sia individualmente ma anche in collaborazione. Partendo da questa esperienza, ho ricevuto dagli organizzatori del Progetto la richiesta di predisporre una soluzione che prevedesse la costituzione di un gruppo in rappresentanza della dimensione creativa italiana e che vede nella città di Milano un polo aggregativo e rappresentativo delle diverse linee della contemporaneità.

Su questa base ho ipotizzato, in linea con una diffusa tendenza tesa a caratterizzare le ragioni operative dello scambio e del confronto nel sistema dell’arte contemporanea, di raccogliere nel titolo “In Residenza d’Artista” i principi su i quali si sarebbe concertata una scelta per autori in grado di porre in evidenza nella stessa dimensione estetica personale, il valore della ricerca e l’attenzione al confronto; si trattava infatti di immaginare nel termine ‘Residenza’ la natura riflessiva della percezione del viaggio, della sosta in un tessuto urbano per i più del tutto inedito, della conoscenza di realtà paesaggistiche filtrate solo dalla cultura artistica del passato, l’incontro con materiali iconografici nati dalla nobile tradizione antica cinese, seguendo un processo di apprendimento che voglio qui anticipare, può condurre alla ‘produzione sul posto ‘ di una elaborazione creativa. Nel passato come in epoca moderna i ‘viaggi di istruzione’ e i ‘soggiorni’ condotti dagli artisti  tra geografie lontane tra di loro, hanno prodotto un patrimonio straordinario e segnalato quanto le ‘contaminazioni estetiche’ siano in grado di dare soluzioni inedite, proposte che segnalano una svolta negli studi dell’arte. 

A livello europeo vorrei riferirmi in specifico alla diffusa tendenza all’orientalismo, a quel processo di acquisizione di stilemi e di immagini, di progetti iconografici e soluzioni policrome che rispettano ed esaltano la ricchezza del patrimonio presente in particolare nella storia dell’arte della Cina; l’intero continente europeo vede diffuso nel proprio tessuto museale e nel patrimonio colto testimonianze artistiche frutto di studi e di ricerche, di una registrazione del paesaggio e del costume, della religione e del pensiero filosofico, vissuto e frequentato dalle diverse committenze come forma elevata di valore culturale. Le grandi residenze nobili hanno visto la diffusa presenza di cicli decorativi ambientali e raccolte preziose di arredi, testimonianze artistiche importanti di diverse epoche, lungo un percorso che ha caratterizzato in molti casi il gusto estetico di un’epoca, attraversando la moda e il comportamento, lo stile dell’habitat, interferendo con la storia della pittura allargandone i confini estetici. Si è trattato di una diffusa ‘narrazione visiva’ in aperta disgiunzione da quella stagione che ‘scopriva’ nell’arte africana ‘nera’ la dimensione antropologica e che avrebbe ‘cancellato’, attraverso l’indirizzo espressionista e fauve, ogni preziosità e le sue infinite raffinatezze. 

Porsi in relazione con questa ‘storia’ nobile e profondamente stratificata nel tempo, mi ha suggerito di pensare ad un ‘viaggio’ che fosse un ‘soggiorno’, dove cioè lo ‘stare fermi’ e il ‘frequentare’ il territorio, si trasformasse in una realtà operativa; l’obiettivo su cui, insieme a Luming Zhang, artista e curatrice esperta, abbiamo operato gli inviti alla partecipazione doveva prevedere una attenzione percettiva tanto dichiarata da potersi immediatamente ‘ribaltare’ nel fare dell’arte; si trattava di comprendere se all’interno del ‘percorso’ e nella frequentazione, ogni artista avrebbe ‘trascritto’ la propria dimensione esperienziale, se l’intima sensibilità avrebbe reagito alle diverse sollecitazioni che un territorio tanto complesso, tra passato e presente, stratificato tra il paesaggio naturale e la più avanzata cultura architettonica e urbanistica, come quello cinese e della Provincia di Wenzhou sia in grado di comunicare.

L’habitat.

L’Esposizione all’interno del Whenzhou Museum ha rappresentato il primo tassello di un processo di confronto che si è sviluppato con il Seminario tenuto presso la Galleria della Academy Nanxi, per poi svilupparsi nei successivi dieci giorni nella sede dell’Accademia posta nel Weifang Lillage, Xiaao e contrassegnata da fasi diverse, dalla conoscenza delle realtà culturali e quelle paesaggistiche del territorio; si è trattato di giorni intensi scanditi dagli spostamenti e dalla scoperta di tutte di articolazioni di un grande patrimonio, dai villaggi fortificati ai Templi incastonati nelle dimensioni spettacolari delle grandi montagne, ma anche con silenziose ore dedicate alla ‘pittura’, al disegno, a forme di colloquio che ha condotto a produrre opere redatte a più mani. Significativo il confronto intercorso anche a livello individuale tra gli artisti e lo scambio di idee e di osservazioni di fronte al procedere dei processi espressivi di redazione di alcune opere; l’habitat in cui si è operato ha rivelato una sua dimensione colta grazie alla presenza di una ricca biblioteca e allo scambio di volumi e monografie, mentre una stratificazione spirituale percepibile cromaticamente lungo il passaggio delle ore ha interferito positivamente sull’impiego di tutti gli strumenti forniti all’azione pittorica, permettendo di scoprire le diverse qualità dei materiali, dai pennelli, alle carte alle chine e le variabili che le tecniche di applicazione propongono ad ogni artista. 

Il paesaggio.

Alla base della Residenza è stato posto da Zhou Jianpeng, Direttore dell’Accademia, il tema del ‘Paesaggio’ e su questo è apparso subito come tra le due compagini artistiche ci fosse una sostanziale differenza di approccio. Mentre gli artisti cinesi hanno mantenuto un rapporto diretto con il paesaggio e di sconfinamento con le sue variabili geografiche, per gli italiani il confronto passa attraverso un processo indiretto in cui la pesa visione si decanta nell’attività di rielaborazione; se i primi vivono la relazione con la natura ‘en plein air’, i secondi filtrano il ‘ricordo’ riprogettandolo nelle fasi di redazione in Studio; ora questa chiara diversità ha nello sviluppo dei giorni visto da parte italiana una progressiva attenzione, diciamo un ritorno al contatto diretto, seguendo la riscoperta di modalità che appartenevano al passato dell’arte europea, progressivamente esauritasi nella prima metà del ‘900. Se per i Maestri orientali il lavoro è rappresentato da un processo di immedesimazione nel paesaggio che si sviluppa lungo tutto il tempo dedicato all’osservazione in presenza diretta, con una redazione sistematica di quelli che noi chiamiamo ‘bozzetti’ ma che in realtà danno vita ad uno sviluppo continuativo instancabile nella redazione di un ‘quaderno’ – emblematico il “Libro d’Artista” prodotto nell’arco dei giorni da Cheng Dali – , per gli europei rimane una sorta di scissione tra lo stare nel paesaggio – assorbendo emozioni e elaborando idee – e l’applicazione espressiva nello spazio ‘chiuso’ dell’Atelier – indicativa la trascrizione condotta da Paolo Sandano secondo le modalità pittoriche che riconducono al quattrocento veneziano ma anche l’estrapolazione iconografica di Marta Dell’Angelo, grafico-segnifica di Valeria Manzi e materico-aniconica di Antonio Ievolella e Concetta Modica . 

Estremamente interessante è stato assistere ad una fase in cui tre artisti, Cheng Dali, Lin Rongsheng e Zhou Jianpeng, hanno operato, uno accanto all’altro posizionandosi esattamente di fronte allo stesso soggetto; un albero monumentale posto all’interno di una straordinaria piccola cittadina fortificata e sovrastante un tracciato d’acqua e una retrostante architettura antica. Questa situazione ha permesso di comprendere come lo stesso soggetto, la medesima tecnica e la carta come supporto, abbiano svelato tre distinti linguaggi espressivi e una diversa estetica della personalità: intensamente e fisicamente prorompente appare l’azione di Cheng Dali, mentre nel segno-disegno Lin Rongsheng avverto un trattenuto ‘tormento’, per poi cogliere tutta una vitalità espressiva sostenuta da una crescente policromia in Zhou Jianpeng.   

Cheng Dali “foglio-dopo-foglio”

Abbiamo trascorso insieme l’intero periodo della Residenza d’Artista con frequenti momenti di confronto che hanno portato a instaurare una sincera dimensione amichevole, contrassegnata dal dono di un suo volume in cui sono raccolti i suoi testi di estetica; la grande esperienza professionale nel settore dell’editoria d’arte e la maturità artistica mi hanno permesso di entrare più in profondità nel patrimonio esperienziale dell’arte affrontata nell’ambito della grande tradizione pittorica su supporto cartaceo. Ricordo con grande interesse la ‘lezione’ dedicata all’indipendenza intercorsa tra il soggetto di un paesaggio  ‘laico’ da quello ‘religioso’, tra l’intenzione di trascrizione emozionale e quella dettata dalla ricerca di spiritualità. La comunicazione orale di Cheng Dali, costantemente inquadrata nella nobiltà del sorriso e del gesto, si è proiettata con significative riflessioni anche verso la lettura delle opere realizzate dagli artisti italiani, con preziose riflessioni e inedite osservazioni.

Ho potuto osservare lungo dieci giorni lo sviluppo ‘narrativo’ di un volume attraversato senza interruzione al pari di un diario di viaggio, il cui completamento avrebbe condotto alla nascita di un’opera d’arte indipendente; foglio-dopo-foglio, pagine legate tra di loro che come un ‘rotolo’ orizzontale, svela e ricorda, apre e chiude per riaprire lo sviluppo di un film, secondo il principio di una telecamera che ruota su se stessa, che percorre senza interruzione… L’azione ‘pittorica’ appare costantemente contrassegnata da una forza dal carattere ‘plastico’, in cui cioè il nero di china è costantemente rafforzato fino a permettermi di riconoscere una tensione ‘espressionista’, ulteriormente rafforzata dall’azione di sottolineatura condotta dal colore, in particolare il giallo-arancio e il rosso, ma anche un verde elettrico. Cheng Dali ci fornisce un ‘paesaggio’ per grandi masse di pietra le cui superfici si sostanziano da un progressivo accanimento del segno, fino a completare, quasi interamente lo spazio ‘bianco’, ed in alcuni casi raggiunge la ‘cancellazione’ del ricordo in un’unica massa, nel dialogo tra i volumi. 

Questo procedere mi permette di aggiungere alla tensione espressionista, quell’estensione astratto-segnica che ci conduce all”inarrestabile pullulare…’fontana’ da cui zampilla la macchia oscura del subconscio, il brivido della nostra lacerazione intima, del nostro tornare al nucleo di noi stessi come alla cosa più incomprensibile ma più familiare al vivere quotidiano” all’opera di Wols.  

Wei Xiaorong. L’estensione del pensiero verso la realtà del ‘sogno’

Dopo l’incontro inaugurale dell’esposizione presso il Museo di Whenzhou ed alla partecipazione del primo di diversi Seminari, ha fatto seguito un più approfondito incontro nella casa di Hangzhou in cui il confronto delle idee ha trovato un interessante passaggio nella relazione diretta con alcune opere, ancora in fase di definizione. Mi era stato anticipato da Marta Dell’Angelo la competenza e la profondità di sguardo di Wei Xiaorong, che nel nostro incontro si è pienamente confermato.

Docente prestigioso di ‘Figura’ presso l’Accademia di Hangzhou, approfondisce e specifica la sua attenzione  alla dimensione del ‘corpo’ e del ‘ritratto’ rivelando quella tendenza all’instabilità espressiva che scardina i termini rigidi della tradizione, innovandola dall’interno; introducendo soluzioni di spiazzamento linguistico, penso a soluzioni che rompono la linearità del segno-disegno, che interrompono insistentemente ogni equilibrio formale, Xiaorong, si porta verso l’area della trasgressione espressiva, così da inserirsi nell’estensione problematica che caratterizza la ‘contemporaneità’.

Entrando nel grande Studio posto al piano terra, ho subito percepito la relazione tra la cultura artistica e la presenza antropologica del patrimonio circostante, così che fogli dipinti, pennelli e vasetti di porcellana intersecano la loro presenza con  i frammenti di diverse archeologie, indipendenti iconografie laiche e religiose; l’attività pittorica di Wei Xiaorong appare il frutto di una elaborazione estetica in cui hanno operato i frammenti culturali di un patrimonio ‘senza confini’. Nello scambio di idee e di pensieri, ho avuto modo di agire direttamente su alcune opere la cui articolazione iconografica interna, rivelava la possibilità di estrapolare tutta una serie di ‘frammenti’ destinati a costruire una inedita ‘Collezione’ costruita per nuove e grandi dimensioni. Riconosco particolare valore quelle opere in cui viene esasperata da Xiaorong la volontà di accumulo, in cui si moltiplicano le presenze, quella umana e quella della realtà ambientale, sia negli interni che negli esterni, in cui lo spazio orizzontale del foglio appare totalmente occupato da un’emozionale e impulsiva azione di dettagliata trascrizione. a cui si aggiunge una incisiva e diffusa presenza cromatica. Nella pittura come nella realtà della Casa-Studio, la sovrabbondanza di ‘oggetti’ circondano e avvolgono il soggetto umano, creando una sorta di ribaltamento onirico in cui l’opera d’arte trascrive, l’estensione del pensiero verso la realtà del ‘sogno’… un filo delicato di auto ironia attraversa e collega le diverse aree tematiche, rasenta e si insinua nella dimensione sensuale dei corpi creando una relazione con la pittura francese, da Auguste Rodin a Henri Matisse, si sofferma sul patrimonio iconografico tradizionale trasgredendolo con accenni che ricordano la Pop Art. 

Un mondo di immagini ‘dipinte’ nate attraverso l’estensione di un processo di accumulo che riconosco nella Raccolta Storica, preziosa ed accurata, di quadri e di arredi occidentali posta al piano superiore dell’abitazione, posta alla base e con lo sviluppo della sua pittura, documentata nelle due monografie “Portfolio”  ricevute in dono. 

Si è trattato di un ‘dialogo’ che è andato in profondità, in cui si è affermata la volontà di proseguire nella collaborazione con soluzioni espositive e editoriali comuni.

Lin Rongsheng.

Il ricordo che ho di Lin Rongsheng, lungo i giorni della Residenza d’Artisa, è la sua grande riservatezza, che leggevo sotto la luce di una timidezza tesa a preservare la concentrazione espressiva, orientata a ‘difendere’ la sensibilità creativa dalla presenza ‘ingobrante’ della comunità italiana, di cui percepiva immediatamente la diversa processualità creativa. Lo ricordo infatti preoccupato nel primo confronto seminariale teso a dettagliare l’ambito della ‘pittura di paesaggio’ nella dimensione tradizionale cinese e nei giorni successivi costantemente impegnato in lunghe sedute di studio religiosamente immerso nel silenzio della natura. Questa concentrazione mi è apparsa la nota centrale della sua azione, mentre sul volto, con il passare dei giorni, avvertivo l’affiorare di un sorriso e di una serenità, forse dettata dalla condivisione dell’arte. 

Con questo ‘quadro’ della persona ho osservato le sue opere esposte nella Galleria dell’Accademia e scrutato il suo lavoro a fine di una giornata trascorsa nel paesaggio, ma anche sfogliato una sua monografia, trovando interessante il passaggio dal ‘bozzetto’ all’opera, tra una trascrizione dettata da immediatezza e la definizione accurata del lavoro, concluso attraverso l’intervento del ‘colore’. Appare difficile restringere la nostra attenzione ai valori che sono racchiusi nel termine ‘colore’ la cui vera natura, nell’opera di Lin Rongsheng possiamo riferirla più precisamente alla dimensione leggera di una ‘luce’ che si estende all’interno della ‘geografia’ del segno descrittivo. Nei grandi paesaggi infatti si interseca nella griglia severa e dettagliata del ‘disegno’, spesso rafforzato dalla sostanza profonda dei neri per la sagoma dei tetti e la massa delle chiome degli alberi, il verde chiaro, il verde acqua, il verde ceruleo… nelle diverse stagioni si diluiscono il rosso-marrone e un impalpabile grigio-azzurro.

La curiosità mi porta ad approfondire andando a cercare nella banca dati del web così da arrivare a scoprire una produzione che si distacca dalla monografia e dalle opere esposte; scopro un ciclo fortemente caratterizzato da una luminosità particolarmente ‘accesa’ e aggressiva in grado di caratterizzare il paesaggio fino a ‘stravolgerlo’ sul piano della percezione, contrassegnato dal tentativo di superare la dimensione poetica che è propria della ‘natura’, conquistando uno spazio psicologico, attraverso la fluorescenza dei rosa, degli azzurri e dei verdi, indipendente e forse appartenente alla sola ed esclusiva sfera dell’arte.

Lu Xiaobo. il valore morale dell’eleganza.

La centralità del gru della corona rossa’ lungo l’attività espressiva di Lu Xiaobo rappresenta per chi scrive uno degli enigmi più affascinanti di questa esperienza di conoscenza e di confronto; nelle fasi preparatorie alla Residenza d’Artista avevo infatti ricevuto la documentazione artistica relativa agli artisti partecipanti e che avrei incontrato; mi ero subito soffermato in particolare su questo passaggio iconografico scoprendo come fosse un soggetto stabile e caratterizzante per un autore che affiancava alla sua ricerca espressiva un ruolo di primo piano nell’ambito internazionale del design e del sistema della comunicazione e dell’arte e della didattica dei linguaggi visivi presso la Tsinghua University, attento conoscitore del patrimonio culturale europeo. 

Partendo da queste basi, ho quindi percepito la lucidità del pensiero di Lu  Xiaobo in occasione del suo intervento al Seminario di inaugurazione presso la Galleria dell’Academy Nanxi, privilegiando, se ho ben colto la traduzione, con marcata indipendenza teorica, più che una ‘affermazione’ di valore la domanda, quindi con una dimensione aperta, sullo “status dell’arte”, sul suo ruolo e sul suo futuro. 

La ricca documentazione rintracciabile nel web, le sue stesse osservazioni e dichiarazioni, i testi critici collegati, confermano il valore di un processo linguistico  che si impernia sulla centralità del soggetto, scoprendo come all’immobilismo tematico risponda l’infinitezza delle variabili, la moltiplicazione degli ‘scatti’ fotografici in corrispondenza e relazione tra il movimento – la danza più correttamente – e il nostro sguardo, tra il passo delle lunghe zampe e il battere dei nostri occhi, tra il ruotare sia del lungo collo dell’uccello e del nostro. 

Questo processo creativo in cui la gru, diventando l’icona permanente dell’opera di Lu Xiaobo sicuramente sottolinea e costantemente rilancia il tema estetico ma anche il valore morale dell’eleganza, cioè afferma la necessità della bellezza nel quadro dell’esistenza, in relazione alla ricerca di un perfetto equilibrio con la natura in cui l’essere è immerso. Ora questa ‘cultura’ in cui il bello e il bene si uniscono, si qualifica nella sfera indipendente dei linguaggi visivi attraverso il processo analitico del segno-dipinto, di una scrittura che si concettualizza attraversando gli strati del Tempo e annullando le variabili della Storia.          

He Jialin.

Un volume di quattrocentocinquanta pagine racchiude monograficamente il percorso artistico di He Jialin, scandendo in particolare le tappe di un viaggio nell’ampia estensione del paesaggio cinese; un’attenzione che si specifica nella relazione con l’architettura e con l’urbanistica delle città europee, di fronte alle Cattedrali e ai Palazzi nei Centri Storici. 

La ricchezza della documentazione iconografica del volume ben rappresenta l’autore che ho conosciuto nei giorni trascorsi insieme tra il Museo di Whenzhou e l’Accademia Nenxi; in breve tempo infatti tutta la sua energia partecipativa si è manifestata con quelle forme di collaborazione e di condivisione dell’azione creativa che ha prodotto una serie di opere collettive. Questa disponibilità e libertà alla libertà espressiva è il dato che qualifica tutta l’opera di He Jialin dove intendo sottolineare come la gran parte delle sue carte rivelano una estensione instancabile della contaminazione tra il gesto pittorico e la scrittura del segno; ogni superficie dell’arte riceve una ramificazione assillante tesa a ‘escludere’ il vuoto, a cancellare lo spazio della luce attraverso la fitta rete e l’intensificazione di alberi e architetture, con l’apporto delle ampie nebulosità dei grigi.

Nel corpus centrale del volume osserviamo come He Jialin arrivi a rasentare la stessa cancellazione del bianco, permettendomi di sottolineare come l’energia dell’uomo-artista possa penetrare all’interno della dimensione ‘espressionista’ dei neri; un processo espressivo in accentuazione che si riconosce anche in una serie di grandi lavori con sviluppo verticale  – cm 180×90 – datati tra il 2013 e il 2018 contrassegnati dall’improvvisa presenza del colore – gli azzurri e i verdi intensi – con valore di ‘sottolineatura’ dello stato emozionale; un processo che lo colloca ai limiti dell’astrazione dalla dimensione del reale. 

Rispetto a questo intenso patrimonio espressivo, le opere di quest’ultima stagione di He Jialin, documentate in questo volume, segnalano una netta svolta linguistica in cui il soggetto principale diventa la luce stessa, estesa  ed in grado di ‘avvolgere’ frammenti del paesaggio e soggetti che raccontano la vita;  persiste una miniaturizzazione del reale ma con ridotto impatto sull’immagine complessiva a cui destina una liquida e quasi un’evanescente colorazione attraverso gli azzurri-grigi e i marroni-gialli sempre più chiari. Il risultato estetico conduce l’artista verso la rarefazione del reale e l’impalpabilità della fisicità, permettendomi di riconoscere un processo di concettualizzazione della pittura stessa.

Wang Luxiang 

Il ‘paesaggio’ persiste all’interno delle carte policrome di Wang Luxiang e se anche la descrizione interpretativa sfuma facendo perdere il dettaglio delle forme e dei soggetti, la volontà espressiva dell’artista opta per l’astrazione, cioè per un’azione pittorica che vuole corrispondere ad un processo di percezione fortemente interiorizzato, teso a diventare un ‘paesaggio dell’anima’. Progressivamente lo sguardo dell’artista tende ad ‘allontanarsi’ da una normale presenza nella natura, abbandona la frequentazione dell’habitat, così che questa prese di distanza produce una Collezione di carte dipinte che arrivano a rappresentare la ‘mappatura’ del territorio, la ‘geografia’ di una porzione del pianeta. Uomini e case, alberi e campi, risaie e strade sembrano cancellate per riconsegnare alla Terra la sua dimensione vergine, la sua integrità, la sua identità.

La grafia e il colore collaborano in perfetta contaminazione giungendo a definire al nostro sguardo la ‘pelle’ del paesaggio, sia le sue variabili altimetriche attraverso i rossi e i marroni, innalzando lo sguardo verso le più alte montagne della terra … ma la cui intensità e bellezza forse inducono anche alle profondità marine. 

Se ogni ‘carta’ ha la sua autonomia ed indica una specificità, in realtà permette ad ogni  fruitore una sua ‘riconoscibilità’ indipendente, predisponendo il processo di creatività verso il superamento delle differenze e delle separazioni, possiamo cioè avvertire la chiara volontà di Wang Luxiang di annullare i ‘confini’, di offrire uno sguardo estetico che rispetta la dimensione ‘morale’ ed etica di un unico paesaggio terrestre, di una geografia aperta alla contaminazione dei suoi infiniti abitanti.

Zhang Gumin.

La pittura di Zhang Gumin si caratterizza per un insistito processo di intimizzazione dell’habitat in cui il paesaggio e l’architettura tendono a integrarsi, a trovare cioè un profondo stato simbiotico; le carte esposte hanno misure contenute forse con l’obiettivo di preservare e proteggere quel momento di raccoglimento che un accesso solitario favorisce. 

L’artista si sofferma sulla presenza di una piccola pagoda come entità simbolica di un processo di pensiero dedito alla riflessione e al raccoglimento così che anche la dimensione arborea si inserisce con delicatezza, anche in questo caso, rivelando la ricerca di un perfetto equilibrio emozionale, interpretando la volontà poetica dei linguaggi visivi. Parallelamente con i processi di trascrizione del dialogo tra le due realtà, l’architettura e la città, Zhang Gumin introduce con grande maestria il ‘dialogo’ tra l’estensione dei grigi e la presenza del bianco, dove l’uno tende a invadere e l’altro a ‘sopravvivere’, dove uno spegne e l’altro accende, dove cioè è la luce  retrostante a scandire i passaggi prospettici del reale, la processualità dei piani inclinati in cui l’osservazione attenta del collezionista si introduce, in cui il nostro sguardo si immerge.

Zhou Jianpeng

Giorgio Cattani. La ‘metafisica’ della poesia, valore costitutivo del suo fare e del suo essere.

Giorgio Cattani già docente delle Accademie di Belle Arti di Venezia, dove ha studiato, e di Milano, è l’artista che delle sue origini ferraresi a conservato la dimensione colta ma anche la volontà sperimentale – in particolare con la stagione di attenzione alla Video Arte – per poi qualificare il suo operato pittorico ma anche quello installativo, attraverso un approccio alla ‘metafisica’ della poesia come valore diffuso e costitutivo del suo fare e del suo essere artista. Di Cattani ho seguito la realizzazione della monografia raccogliendo in un unico grande volume tutti quei passaggi che lo hanno condotto a rappresentare il passaggio tra le Seconde Avanguardie e una rinata Cultura pittorica, in cui si intersecano tracce visive che solo un gesto creativo fondato sull’espressione dell’intimità, è in grado di suggerire; così anche l’approccio allo spazio si qualifica attraverso la gestione di ‘frammenti’ tratti dalla propria quotidianità, inseriti e orchestrati all’interno di una narrazione iconografica, dove persiste l’estensione emozionale del pensiero, il dialogo tra i ricordi, la riscoperta dei ‘valori’ del passato. Con queste premesse, Cattani, ritorna con questo nuovo viaggio in Cina pronto a immergersi interamente nella riflessione e nella creatività.

Marta dell’Angelo. Dalla ritrattistica del singolo alla riconoscibilità collettiva, all’anonima spettacolarizzazione di gruppo.

Marta dell’Angelo rappresenta una svolta alla dimensione della figurazione e dell’anatomia umana attraverso un percorso espressivo in cui l’azione di trascrizione visiva si basa sulla conoscenza dei processi della mente, sulla relazione tra il pensiero ed il gesto, tra l’azione della volontà ed il movimento di un braccio. L’elaborazione iconografica del frammento di un corpo, estratto dalla dimensione quotidiana del comportamento, segue un processo di redazione in cui il dipingere, memore della precedente esperienza nel campo del restauro, appare non con valore di ‘copia dal vero’, frutto di quell’eredità classica che attraversa l’archeologia greco-romana e la storia dell’arte europea dal Rinascimento al secondo ottocento, attraverso, ma trasmissione delle funzioni fisiche indotte dal pensiero. Gli ‘Studi di anatomia’, che hanno visto la costante attenzione degli artisti attraverso il disegno e la scultura, nella pittura fino alla fotografia, subiscono nella cultura ‘scientifica’ di Dell’Angelo una trasformazione di ruolo, si vanno cioè caratterizzando attraverso l’idea della propria stessa auto-affermazione, di una indipendenza di valore nella serie di atti costantemente e ripetutamente compiuti. Gesti che non appartengono alla ritrattistica del singolo, ma che si ‘espongono’ alla riconoscibilità collettiva e da questa all’anonima spettacolarizzazione di gruppo.

Antonio Ievolella. Cinque ‘lettere’ visive per spiegare e ricevere risposte.

Antonio Ievolella è lo scultore della mia generazione che in questo arco di quarant’anni, tra gli anni ’80 ed il primo ventennio del nuovo secolo, ha costantemente sottratto l’opera pubblica al facile consumo di un’estetica autoreferenziale, spesso fondata sul monumentalismo e la spettacolarità. Rispetto a quella diffusa tendenza scultorea costruita su una tecnologia esasperata che si è caratterizzata dalla gestione dell’acciaio a specchio alle diverse materi plastiche, Ievolella ha predisposto, sulla centralità di valore della dimensione antropologica, in perfetto equilibrio e costante attenzione tra passato e contemporaneità, una una storia dell’arte in cui il materiale, dal legno, alla carta, al rame all’acciao corten, svolge un ruolo di nitida affermazione della propria testimonianza espressiva. Anche in questa specifica relazione con “Residenza d’Artista” Ievolella ha predisposto cinque ‘lettere’ su lamina sottile di ferro, in cui tenta di testimoniare il proprio racconto d’artista alla città di Wenzhou ed ai suoi abitanti; cinque ‘lettere’ visive per spiegare i suoi interessi e la sua volontà di ricerca, ma anche con il desiderio di ricevere risposte e da queste comprendere e apprendere, imparare diverse forme di cultura e soluzioni di sensibilità.   

Valeria Manzi.“Posando gli occhi sui rami”

Valeria Manziconiuga l’esperienza poetica con la cultura dell’arte, dalla grafica a all’installazione; la carta, nella scrittura come nella forma delle immagini visive, appare di materiale intorno a cui ruota un procedere espressivo in grado di ‘raccontare’ valori della dimensione sensibile. 

Abbiamo lavorato in questi anni a diversi progetti, da Venezia a Matera a Graz (A) sempre scoprendo soluzioni estetiche solo in apparenza nuove ma al cui interno permane la sostanza del pensiero che ‘scrive’ per immagini e forme, – “Posando gli occhi sui rami” – in cui l’opera non risulta un dato isolato, autonomo e scisso, indipendente ma bensì fondato sul processo di relazione, esattamente come nella poesia avviene tra il primo e il secondo verso, seguendo cioè una concatenazione di emozioni. La delicatezza appare il soggetto del lavoro di Valeria Manzi, estratto dalla ‘natura’ della carta stessa, nato dalla relazione dell’artista-poeta con la sua sostanza fisica instabile; la carta, da scultura a foglio di stampa e di scrittura, diventando il soggetto in grado di trascrivere l’esperienza della quotidianità e farsi opera d’arte. La fruizione dell’opera di Valeria Manzi dovrà seguire lo stesso processo, impegnandosi in un rapporto di frequentazione, di trascrizione nella sensibilità personale di ciò che si è ricevuto dall’opera d’arte.

Concetta Modica. La ricerca di un ‘segreto’, conduce allo sviluppo ‘segreto’ di una speranza, lungo un processo ‘segreto’.

Ho ‘scoperto’ l’operatività di Concetta Modica, così come avviene – anzi come deve avvenire per la stragrande maggioranza degli artisti – entrando alcuni anni fa nel suo Studio milanese; posto al piano terra, in una storica area urbana ancora contrassegnata da attività laboratoriali, rivelava immediatamente, attraverso una serie di piccoli oggetti, sia in ferro che terracotta policroma, tra frammenti di corda e di tessuti, la persistente dimensione plastica del suo operare.  Immediatamente dopo il primo contatto visivo con una ‘raccolta caleidoscopica’ di opere ordinatamente distribuite su piani di lavoro e di appoggio, altre installate a parete e installate indipendenti nello spazio, comprendevo l’estensione felice di una creatività vitale, che si soffermava attenta e tuttora si qualifica per via di una sensibilità che trova autenticità nell’intimità personale. In questa più recente stagione ed in particolare con un nuovo Ciclo dedicato al “…viaggio di un sepalo…” (il calice verde che protegge il fiore) la dimensione psicologicamente riservata del fare arte di Concetta Modica subisce un’ulteriore processo affermativo, si impreziosisce manifestandosi attraverso la ricerca di un ‘segreto’, conduce allo sviluppo ‘segreto’ di una speranza, lungo un processo ‘segreto’ che tenta la strada della più preziosa trasformazione ” …sepalo per diventare stella…”.  

Paolo Sandano/ Olinsky. Tra delusioni affettive, entusiasmi trattenuti.

Da molti anni sono in un costante rapporto di aggiornamento iconografico con lo ‘sdoppiamento’ espressivo intercorso tra l’artista italiano Paolo Sandano, strettamente legato per ragioni familiari  a Trieste e l’ultracentenario pittore Olinsky, nato nel 1886 nella Slovenia Occidentale: due personalità che appaiono racchiuse in una infinita serie di quadri dalle più diverse dimensioni, frutto di una comune geografia culturale, in cui il vissuto dell’uno subentra inscindibilmente in quella dell’altro, dove, perdendo i ‘confini’ politici, si ricava un caleidoscopio ‘paesaggistico’ che si rinnova, restando riconoscibile in quell’angolo alto del Mare Adriatico, contrassegnato  dalla grande cultura mitteleuropea e frequentato da scrittori e poeti di lingue diverse. Alla dimensione complessa, di un vasto territorio di confine su cui interagiscono la penisola italiana, i territori tedeschi del nord e ad est la penisola balcanica, Sandano/Olinsky contrappongono una diffusa dimensione onirica, suggeriscono soluzioni auto-ironiche, con ‘piccole’ amarezze infantili, delusioni affettive, entusiasmi trattenuti, momenti in bilico tra gioia e sconforto.  Assistiamo, secondo l’antica formula della ‘pittura da cavalletto’, ad un paesaggio animato al suo interno, tra la natura del mare e delle spiagge, da quella figuretta tratta dai comics degli anni ’50, in grado di ricondurci ad un clima estetico delicatamente surreale, ma infinitamente contemporaneo. 

Ivano Sossella. Quando il paesaggio estende se stesso, travalica il proprio confine.

Sono convinto che Ivano Sossella sia un uomo estremamente intelligente; questa sua dote lo obbliga a tenersi a debita distanza da tutto ciò che espressivamente, può risultare scontato e banale, dove cioè la normalità possa annoiare e deludere la sua stessa intelligenza. Questo semplice ma chiaro dato è il principio su cui si costituisce, e non da questa stagione, lo svolgimento di ogni azione artistica e la produzione di quelle che ancora definiamo opere d’arte.

Dopo una serie di cicli espressivi interamente giocati sulla dialettica tra la presenza e l’assenza, tra l’esserci e il non esserci, in cui l’opera, dal quadro al monumento fluttuano attraverso la nostra percezione, in questa più recente stagione nascono le bandiere, cieli stellati, paesaggi collinari fino alla centralità delle ninfee. In particolar modo le bandiere perdono la rigidità militare a cui ci ha abituati la comunicazione per riconquistare attraverso la gestualità dell’arte una libertà fluttuante; il paesaggio, dalle piccole alle grandi dimensioni, estende se stesso, travalica il proprio confine naturale entrando in contatto con la percezione sensibile del nostro sguardo, sconfina nella leggerezza, suggerisce una nuova esperienza del piacere di fronte alla Natura e si appunta su un Fiore orientale. 

Quello che posso aggiungere sul piano della riflessione e del contributo critico, riguarda l’idea che insieme e separatamente gli artisti invitati sono in grado di testimoniare uno stato dell’arte contemporanea italiana al cui interno interagiscono questioni tematiche e soluzione espressive che hanno, pur nella dimensione globale dei linguaggi visivi, alcune specificità e mirate competenze. 

Sette artisti indipendenti ed autonomi, testimoni della propria sensibilità e della propria voglia di essere testimoni del tempo, di un tempo che detiene memoria e volontà di un presente operativo; autori la cui specificità emblematizza la dimensione caleidoscopica dei linguaggi visivi in aperto contrasto con la tendenza all’omologazione su canoni ripetitivi indotti dal sistema dell’arte contemporanea. Abbiamo l’obbligo culturale di fare riferimento ad una dimensione ‘aperta’ dell’arte contemporanea europea ed italiana in specifico caso, con l’obbiettivo quindi di evitare il ripetersi di scelte artistiche prevedibili e ripetitive, condizionate da strategie espositive orientate sulla sola comunicazione del mercato. La ricchezza della cultura artistica internazionale, ad oriente come occidente, a nord e a sud pel pianeta, esattamente in corrispondenza  con la dimensione complessa del patrimonio storico, è in grado di rivelarsi attraverso un’infinità di autori e nel nostro caso si specifica con coloro che sono qui coinvolti; ogni artista e ogni opera rappresenta un tassello specifico del panorama globale, un mirato approfondimento di una realtà espressiva complessa e sfaccettata, testimone imparziale della relazioni tra l’io individuale e la dimensione collettiva; ogni diverso contributo, dalla pittura alla scultura all’installazione di un manufatto, dal processo di accumulo iconografico alla sua rarefazione analitica, introduce una ‘sosta’ nel percorso di fruizione dell’arte esposta, vista sia singolarmente ma anche rapportata al contesto collettivo in cui operano gli stessi artisti cinesi –  coinvolti nel Progetto di Residenza, a cui si aggiunge la speranza che possano nascere forme di collaborazione e di espressione collegate.

Cheng Da Li, 

Wang Lu Xiang, 

Wei Xiao Rong

Lu Xiao Bo

Li Rong Sheng

Ding Ning, 

Zhang Gumin, 

Zhou Jianpeng

He Jilin

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