Yoshin Ogata –  La perfezione come processo e l’assoluto come obiettivo 2022

Yoshin Ogata

La perfezione come processo e l’assoluto come obiettivo.

di Andrea B. Del Guercio

 

La ‘perfezione’ è la dimensione a cui ha dedicato tutta la sua vita di scultore ed a cui si relazionano i marmi e i bronzi, i graniti colorati, articolati tra sezioni tematiche la cui vastissima produzione troviamo racchiusa in un volume di quattrocento pagine, recentemente pubblicato, ampiamente documentata nella catalogazione del sito, frutto di un procedere instancabile, di una dedizione al lavoro di cui conosco perfettamente, lungo quattro decenni, il rigore; dopo tanto lavoro condotto in massima parte in prima persona sotto la spinta di una energia espressiva che lo ‘lega’ al materiale antico della scultura, posso ‘scrivere’ in questo testo-omaggio a lui dedicato quanto il processo operativo ruoti interamente intorno a questo – la perfezione e l’assoluto – inseguito e raggiunto, dai grandi volumi alle installazioni, permettendo al supporto plastico di conseguire e iscriversi nella condizione spiazzante dell’atemporalità. 

In questo quadro complesso fatto di passaggi espressivi che si inseguono, per forme e colori della materia, che subiscono rimandi e rilanci linguistici, non possiamo e non dobbiamo tentare la strada tradizionale del procedere storico-critico, specifico della cultura occidentale, presuntuosamente scientifico, ma posizionare lo sguardo sulla dilatazione del tempo quale soggetto e ‘motore’ dell’attività artistica di Yoshin Ogata; abbiamo la necessità, direi l’obbligo, di accettare e di condividere quel principio esistenziale che non subisce il ricatto della ‘progressione’ e dello sviluppo come obbligo in grado di ‘piegare’ ogni volontà espressiva, ma che si qualifica nella dimensione sospesa, in quello che potremmo definire dell’immobilismo come lo stato in cui la creatività opera instancabilmente. Non esiste ‘progresso’ nell’opera di Ogata, non esiste l’obbligo della novità, ma la sostanza della ‘perfezione assoluta’ quale frutto della concentrazione e dell’operatività. 

Sia il volume ma sopratutto il sito, indicano perfettamente l’idea di una cultura artistica che vive in una condizione permanente di stabilità grazie alla quale ogni ‘frutto’ – l’opera – è figlio della sua stagione, nuova e allo stesso tempo sempre testimone del prima ma anche relatore del dopo; la datazione risponde alla dimensione anagrafica della scultura ma il suo DNA non dipende dall’anno che gli viene attribuito, ma è frutto dello ‘stato di grazia’ in cui si sono trovati e congiunti l’autore e il materiale dell’arte. Di fatto e sulla base ed in relazione con la cultura analitica dell’arte moderna e contemporanea, assistiamo ad un percorso frutto di un processo linguistico che include in se steso la dimensione tematica, si auto-elabora auto-definendosi quale intrinseco ‘soggetto’ dell’opera, imponendosi come valore indipendente nella scultura; se la relazione con il patrimonio esperienziale e teorico maturato in occidente lungo lo sviluppo del XX secolo, rappresenta e persiste come area di ricerca di Ogata, a questo si è collegata, arricchendone la sostanza filosofica, la cultura orientale dell’artista, già a partire dall’arrivo in Italia e sin nella prima produzione negli anni vissuti operativamente nei Laboratori artistici tra Carrara e Pietrasanta. Sappiamo, sulla base della storia artistica e di un mirato archivio di autori e di opere, quanto stretta sia stata la sintonia tra i processi estetici che hanno condotto anche la scultura all’aniconismo e alla centralità delle grammatiche astratte e alla dimensione spirituale orientata verso l’astrazione, – ” Al fondo dell’ignoto per trovarvi del nuovo” (C:Baudelair) – tesa all’elevazione attraverso i processi del pensiero, dove “L’invisto è l’incoscio dell’immagine, il suo lato onirico e fantasmatico” (F.Ferrari). 

L’acqua.

La dimensione dell’acqua attraversa l’intero tracciato artistico di Ogata – “L’acqua è testimone del tempo e dell’eternità” -, contrassegnando tematicamente la valenza concettuale delle proprie opere in pietra, in marmo e in bronzo. Si tratta di una scelta intellettuale ed un orientamento estetico che hanno sostanzialmente escluso il dato naturalistico-descrittivo, accogliendo per verso l’ambito analitico della ‘goccia’ come soggetto simbolico e del movimento che scaturisce dalla sua azione vitale; di fronte ad un soggetto su cui si è concentrata l’attenzione trasversale delle grandi culture religiose e filosofiche del pianeta, la cultura dell’arte ha confermato il compito di fornire sostanza visiva all’azione del pensiero e nello specifico Yoshin Ogata è stato in grado di universalizzarne la rappresentanza e il portato simbolico nella contemporaneità. La dimensione dell’acqua attraversa e unisce il Pianeta fornendo l’indicatore primario della vita, almeno in riferimento all’esperienza della Terra; la sua presenza determina l’esistenza e sostiene la sopravvivenza, crea le condizioni del cambiamento e dello sviluppo di nuove forme e diverse realtà. Questa determinante e imprescindibile ‘dimensione’, la sua semplicità coniugata con la complessità delle sue ricadute, è sin dall’antichità riconosciuta dalla società umana e nelle sue stagioni ha assunto un dominate ruolo nella cultura del pensiero globale, configurandosi attraverso i diversi sistemi linguistici, dalla scrittura alla musica, alle arti visive. L’opera di Ogata si posiziona in maniera esemplare lungo questo asse e all’interno di esso, rispondendo trasversalmente e unitariamente alla ‘dimensione’ spirituale di oriente e di occidente, dalla “Festa dell’acqua” nel Buddhismo al “Battesimo” nel Cristianesimo:“L’acqua è la sostanza da cui traggono origine tutte le cose; la sua scorrevolezza spiega anche i mutamenti delle cose stesse. Questa concezione deriva dalla constatazione che animali e piante si nutrono di umidità, che gli alimenti sono ricchi di succhi e che gli esseri viventi si disseccano dopo la morte.” (Talete 625-547 a.C). Questo patrimonio di pensieri e di valori, di emozioni e di riflessioni, ma anche nelle forme tangibili dell’esperienza fisica nella relazione con la dimensione dell’acqua, indotta dalla partecipazione dei sensi e delle funzioni, ha permesso a Ogata di dedicarle una centralità ‘monumentale’, dove l’opera dello scultura interviene nello spazio sociale come testimonianza prediletta, con valore di ‘fonte’ che sottolinea l’entità simbolica del messaggio; la scultura si erge e segna come un dolmen il territorio richiamando l’attenzione e suggerendo una riflessione, impone con il suo silenzio la sua testimonianza che nel marmo e nella pietra recupera l’estensione temporale del prima e del dopo; l’opera plastica, frutto metodico del lavoro dell’uomo, come goccia che non si arresta e acqua che non scompare, imprime suggestione e sostanza alla percezione del ‘bene’ e del ‘bello’; l’elaborato estetico entra nello spazio abitativo, introduce nel luogo riservato e protetto della casa la corretta ‘visione del mondo ‘ – Weltanschauung – riconsegnando significato alle relazioni tra uomo e natura.

La sorgente e la scultura.

Alla storia della propria scultura Yoshin Ogata – ” Penso che l’acqua abbia infinite facce e forme diverse” – ha dato un’articolazione che prevede, all’interno della centralità assoluta dell’ACQUA, un sistema enciclopedico sotto-tematico che definiamo Cicli Espressivi e Collezioni – “Forma dell’acqua”, “Impronta dell’acqua”, “Segno d’acqua”, “Cerchi d’acqua”, “Spirito dell’acqua”, “Goccia di Mediterraneo”,”Acqua spirituale”, “Cerchi d’acqua”, “Le Vie dell’acqua”,”Anima d’acqua”,””Volo d’acqua” “Goccia del Sole”, “Gocce”, “Goccia dal cielo”, ma anche “Loto”, “Il Sole”, “Genesi”;  all’interno di ognuna di esse aggiunge un numero progressivo che definisce con specifica esattezza la data di redazione. 

L’operazione di nomina di ogni opera (la didascalia nel volume e in esposizione) si conclude con le tre misure volumetriche della scultura e la pietra utilizzata – dal marmo rosso di laguna, al rosso di Asiago, al rosa del Portogallo, al nero di Marquina, al nero di Calatorao, al nero del Belgio, al bianco di Carrara al travertino  rosso Persiano a quello di Saturnia, al granito bianco di Inada, al rosso finlandese, al basalto, (a cui si aggiunge il bronzo, ma anche il plexiglas ed altri supporti). Non deve sfuggire il ruolo e il valore di questo insistito passaggio a cui Ogata attribuisce una precisa, potremmo aggiungere ‘orientale’, attenzione.

Possiamo segnalare che siamo di fronte ad un sistema espressivo concettualmente condizionato dal processo tematico stesso, cioè ancora alla ‘dimensione dell’acqua’ dove ogni scultura è una sorgente, ogni sorgente è una scultura, esattamente come ogni pietra e/o marmo ha una provenienza ed ogni sorgente un nome; sia l’una che l’altra ci ‘parlano’ di un luogo della Terra, testimoniando della cultura del proprio territorio di appartenenza, entrando in ‘dialogo’con l’ habitat in cui saranno installate, donando se stessa come ‘fonte di vita’.

La filosofia dell’acqua.

Possiamo riconoscere come lungo questo percorso Yoshin Ogata abbia fatto del lavoro della scultura una testimonianza di fede per il Pianeta, raggiungendo la perfezione del pensiero che si fa immagine, che si sostanzia nella pietra: dall’instabilità dell’acqua alla filosofia dell’acqua, dalla sostanza dell’acqua al colore dell’acqua e alla sua luce interiore, il tempo dell’acqua e l’acqua come tempo, dalla dimensione orizzontale dell’acqua alla dimensione verticale dell’acqua, della dimensione monumentale e della linea spezzata e della circolarità ininterrotta.

Milano giugno 2022

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