Cecilia Vissers e la “linea di terra”
di Andrea B. Del Guercio
Lugano, Five Gallery, 2017
Vorrei prendere avvio da alcuni fotogrammi relativi ai processi di produzione delle opere di Cecilia Vissers; sono immagini collegate alla mia richiesta di maggiori informazioni riguardanti il suo studio, ritenendo che il luogo del lavoro offre al lettore nozioni importanti per l’osservazione di ogni singola opera che vi si produce; forse una lettura non “colta” ma emozionale, fatta sulle informazioni che il “fare dell’arte” da sempre consegna, fu argomento del nostro incontro a Colonia, in previsione con questa raccolta di opere.
Lo studio presenta un aspetto tecnico e laboratoriale, lontano dal tradizionale caos romantico della pittura, dal sovraccarico espressionistico dello scultore; eppure ciò che ha colto la mia attenzione sono due immagini tratte dai laboratori di taglio delle lastre di acciaio e di lavorazione di quelle in alluminio; i documenti fotografici, tra il ribaltamento di piani di lavorazione e il particolare dedicato al getto d’acqua, rivelano un processo tecnologico che va ad inserirsi e a condizionare una cultura estetica analitica e progettuale. Valori quali la freddezza e il calcolo, la precisione assoluta della macchina, dati quali l’assenza di sfumature e di sbavature nella materia di supporto, entrano a far parte dell’operatività artistica di Cecilia Vissers. Sulle specificità di questo tipo di impianto, nasce una produzione di opere-sculture contrassegnate da una grammatica visiva e da un vocabolario formale essenziali ma in costante rinnovamento; il patrimonio di questi anni moltiplica le varianti e le soluzioni grazie a brevi spostamenti delle dimensioni e del numero dei fattori coinvolti nella composizione multipla. Anche sul piano delle scelte cromatiche, le possibilità di intervento creativo che la Vissers si impone sembrano fortemente ridotte, operando sulla concentrazione percettiva del minio-arancio, dell’argento chiaro e del nero; colori che non si distaccano dall’impianto industriale di produzione, così che l’apporto “segnaletico” ne rafforza l’entità tecnologica e l’oggettività della comunicazione; indicazioni che ci riportano alla struttura dello studio-laboratorio contrassegnata da una estesa presenza della luce.
Sulla base di questi dati strutturali Cecilia Vissers predispone una produzione artistica organica e rigorosa al cui interno lo sguardo e la lettura si inoltrano; la distribuzione installativa delle pagine-sculture suggeriscono un’osservazione molto simile allo scorrere delle pagine, sia in linea orizzontale che verticale; l’attenzione si sofferma sul bicromatismo, si appunta sulle variabili formali, di sovrapposizione e le diverse dimensioni. Pagine di scultura preziose nelle piccole dimensioni e imponenti di fronte a grandi lastre che si impongono sullo spazio. Seguendo la Collezione che questa edizione raccoglie, la percezione si rende conto che il vocabolario della Vissers, abbandonato il racconto della figurazione, punta sulla tensione poetica pura, evita lo sviluppo e la narrazione ma si concentra su valore unico, minimale, della frase.
L’esperienza espressiva di ogni riduzione sovrastrutturale della realtà, conduce alla ricerca di un valore linguistico-espressivo fondato sullo scavo della stessa assenza, con l’idea di trovare anche nel minimo l’assoluto, la purezza in quella che può sembrare una mancanza di realtà: “Né memoria, né immagine, né sogno” (M. Luzzi “Dove non eri quanta pace: il cielo”).
Ora che sul piano teorico-critico e metodologico, sembra predisposto ad una percezione molto condizionata e, con pochi spazi di “manovra”, interviene il dato che sostiene l’intera architettura espressiva di Cecilia Vissers: la linea di terra. Il documento fotografico che precede ed espositivamente affianca la scultura, risulta di fatto la ‘didascalia visiva’ dell’opera, il tassello di un patrimonio su quale si costruisce la dimensione plastica e l’impianto cromatico dell’opera.
Il paesaggio, ai cui confini tra cielo, mare, terra l’osservazione dell’arte ha volto il suo sguardo nei secoli, rappresenta, in maniera esemplare, l’origine di un processo di astrazione in cui la linea che disegna il contorno, diventa l’elemento linguistico unico e fondamentale; rispetto alla dimensione ambientale ed ai suoi infiniti dati che costituiscono il reale, la linea che separa, la linea che si sviluppa e che si spezza, disegna-taglia le lastre di acciaio e di alluminio producendo l’opera di Cecilia Vissers. Il paesaggio fotografato risponde ad uno sguardo limpido, ad un obiettivo che ne dettaglia la struttura formale, rinunciando alla dimensione romantica delle nebbie e delle brume atlantiche, recuperando idealmente dai processi di sintesi di Cézanne. In quest’ottica di completamento dell’analisi critica, i fotogrammi che documentano i contorni netti di una collina, di una costa, riconsegnano l’humus ricco delle origini all’azione creativa di Cecilia Vissers, qualificando lo spessore dei suoi risultati.
In allegato trovate il catalogo della mostra.