Antonio Ievolella nella monumentalità contemporanea 2020-22
Antonio Ievolella nella monumentalità contemporanea.
Andrea B. Del Guercio
Nella dimensione attuale della scultura internazionale, Antonio Ievolella ricopre un ruolo di primo piano frutto di una attività espressiva che negli anni si è costantemente confrontata con tre ordini di questioni, le grandi tematiche appartenenti all’esperienza della società umana, la crescita e l’articolazione di un patrimonio tecnologico collegato alla migliore cultura materiale ed in fine l’essersi dedicato alla riqualificazione della dimensione monumentale.
Lungo più di trent’anni di lavoro queste tre componenti si sono adattate alla volontà sperimentale insita nel desiderio di racconto di Ievolella, rispondendo perfettamente ad una fitta rete di sollecitazioni collegate alla dimensione spaziale, agli ambiti di fruizione, al contesto oneroso delle grandi produzioni. La sua storia artistica e il suo patrimonio iconografico, sancito dalla Biennale di Venezia del 1988 hanno subito sistematicamente articolazione di temi, di luoghi, di tecnologie, tutto esemplarmente sostenuto da una ricca bibliografia ed un rigoroso percorso espositivo.
2020
Capri. Certosa di San Giacomo.
“Fons vitae” o del ‘valore’ dell’acqua.
L’installazione delle grandi anfore in terracotta nel Chiostro nella Certosa di San Giacomo e nella Cappella dedicata a San Bruno, non appare solo una conferma di questo processo ma possiamo affermare il raggiungimento di un nuovo risultato espressivo costruito sulla contaminazione e il reciproco arricchimento tra la cultura del lavoro e la percezione della storia, tra gli strumenti e i materiali antichi e l’eredità spirituale del luogo; lavoro e cultura rappresentano la solidità espressiva di un progetto teso a raggiungere ed a mettere in evidenza il patrimonio teologico e l’esperienza delle comunità di monaci ispirati dalla regola di San Bruno ed alle sue estensioni nei processi civili della società umana del suo tempo.
Il tema dell’acqua, che allarghiamo idealmente alla conservazione dell’olio e del vino, è al centro degli interessi di Ievolella da alcuni anni, trovando straordinaria espressione nel ciclo delle Giare in rame, la cui versione monumentale trovò intensa relazione con la Chiesa di Santa Maria dell’Incoronata, un altro intenso luogo di culto, a Napoli.
Assumere la dimensione antica dello strumento di conservazione degli alimenti introduce in questa fase della nostra storia un prezioso monito fatto di testimonianza civile, di invito alla riflessione e alla rilettura di tutto un percorso dell’umanità. Ievolella rivisita e rimette mano, torna a modellare la terra per produrre la giara come l’orcio e le anfore, con l’obiettivo di permetterci di non dimenticare ciò che ha per secoli contrassegnato le stagioni sociali dell’intero pianeta. Si tratta di una percezione culturale ed estetica di notevole dimensione e articolata tematizzazione a cui giungiamo attraverso il rapporto fisico, il contatto diretto ed esperienziale che la distribuzione nello spazio sottolinea e pone in forte evidenza.
Anche questo ‘passaggio’ conferma quanto lungo tutta la sua storia, non si tratta per Ievolella di dar vita ad un’opera senza che poi essa non possa trovare relazioni con l’habitat e con la frequentazione; ogni manufatto conserva in se stesso le sue funzioni simboliche da cui ha preso avvio, ma forse tende a volere ed esige di essere realmente vissuto. Come si afferma in questa nuova installazione, tutta la cultura artistica di Ievolella concepisce la monumentalità come dato di partecipazione, rifiutando quell’impostazione della tradizione che imponeva la distanza e la separazione dall’esperienza personale. Ogni manufatto vive nel presente di ognuno di noi, sul piano della memoria per poi dimostrarsi testimoni del nostro presente.
2021
Pavia. Castello Visconteo.
La dimensione ‘militare’ dell’arte.
Si specifica attraverso la dimensione ‘aggressiva’ l’installazione proveniente dalla ‘pacifica’ Certosa di San Giacomo a Capri e destinata al Castello Visconteo di Pavia. Non abbiamo mai nascosto, evitando accentuazioni retoriche, quanto lo ‘scontro’, il ‘rotear di sciabole’ sia una componente storicamente e persistentemente presente nel suo lavoro scultoreo, nella scelta del ferro come matrice espressiva testimone di valori ‘aggressivi’ per poi dedicarsi ad atmosfere di ‘riposo’, di ripiegamento verso la condizione pacifica, successiva alla sofferenza.
Dalla visita/sopralluogo al Museo con i suoi accessi ‘armati’, l’ascolto di voci antiche di scontri e di violenze, non poteva non essere percepita, richiedendo, per reazione, l’aggiunzione di un contributo collegato, corrispondentemente integrativo. Sono nati in questa stagione preparatoria dell’evento espositivo di Pavia, un nuovo Ciclo di Scudi, secondo un processo che si arricchisce, rispetto ad esperienze del passato, di valenze iconografiche maggiormente dettagliate e riconoscibili. Non si tratta di un processo di ‘citazione figurativa’ ma di quella ‘rivisitazione antropologica’ che contrassegna da sempre il territorio espressivo di Antonio Ievolella – secondo l’espressione antica di forza del fare scultura. L’azione plastico-creativa produce essa stessa, per estrapolazione diretta dalla materia, lo sviluppo e l’affermazione dell’immagine rispetto alla superficie; ciò che si narra risulta infatti il frutto ultimo della natura materiale, del suo affiorare dalla sua stessa profondità concettuale fino ad imporsi sulla percezione attraverso un ricordare partecipato. Tutta la cultura plastica di Ievolella, formale e tecnica, di progettazione e di produzione, si ricompatta e si impone in questo nuovo evento espressivo confermando quanto l’artista sia da sempre un uomo della ricerca e del lavoro dell’arte.
2022
Padova. Giardini dell’Arena.
La dimensione culturale ereditata.
All’interno di questa nuova tappa di un percorso espositivo contrassegnato dalla centralità della grande installazione “Fons vitae” distribuita nello spazio tra orci e cannule di collegamento per un circuito dedicato al valore prezioso dell’acqua, si inserisce un nuovo soggetto iconografico, frutto significativo della profonda relazione con la dimensione antica del territorio. La riflessione espressiva di Ievolella si concentra sulla Stele, presumibilmente funeraria, di “Ostiala Gallenia” conservata nel Civico Museo Archeologico di Padova a cui dedica un nuovo ‘reperto’ scultoreo nella forma di un inedito scudo, in cui si conferma la sostanza antropologica di un’intera esistenza dedicata al fare dell’arte.
Se gli ‘scudi’ di Pavia del 2021 introducevano la dimensione militare nelle dinamiche di relazione con il Castello dei Visconti, aprendo a tensioni con il valore ‘salvifico’ dell’acqua, l’approccio alla Stele venetico-romana si fa testimone ed induce all’esperienza del ‘viaggio’, al passaggio di stato tra la vita e la morte. Nel breve spazio del bassorilievo marmoreo si distribuiscono, sulla metà di sinistra, e si pongono in relazione tra di loro (forse) uno ampio scudo, che una coppia di cavalli con biga si appresta a scavalcare indicando il ‘salto’ di stato e l’inizio del viaggio ultraterreno, mentre sul lato destro si riconoscono tre figure di cui, unica in dichiarata posizione frontale, con evidente volontà di affermazione visiva, una donna ritratta con apparati e decori specificatamente riferibili al patrimonio etnografico veneto, decisamente diversi dalle tuniche romane dei due uomini che le stanno ai lati… dati iconografici che ‘narrano’ la distinzione ma anche della convivenza pacifica, dello scambio di culture e dell’integrazione come patrimonio della società umana. Questa breve descrizione archeologica, presente forse per la prima volta nella storia artistica di Antonio Ievolella, diventa uno straordinario manifesto della sua dimensione culturale per la quale abbiamo nel tempo osservato un sistema di ricerca costantemente condotto in area antropologica. La precisazione di valore etico, estratta dall’interno di un reperto della storia romana, ma anche di contaminazioni con le popolazioni locali a cui si aggiungono possibili riferimenti al mito barbarico del “ratto della dea” (Artemide taurica), ci permette di includere le origini beneventane dello scultore, di saperlo immerso nel patrimonio antico di una città e di un territorio, a contatto diretto e vissuta relazione con l’esperienza archeologica dell’arte e dell’architettura. Non deve sfuggire in questo clima espressivo orientato sulla dimensione etica, costantemente basilare in profondità nell’intera opera di Antonio Ievolella, ma distinta da ogni retorica ideologica, la presenza, assolutamente straordinaria anche in un quadro di geografia politica, di quel ricco repertorio egizio che a Benevento, per volontà dell’Imperatore Domiziano tra l’88 e l’89 d.C., contrassegnava il Tempio di Iside, quale unico tempio faraonico in Europa.
Questi dati tanto specifici, filologicamente riconducibili alla storia antica di un intero continente, ci suggeriscono di tornare all’inizio di questo percorso creativo e alle tappe espositive, osservando quanto significativo è il processo attivato dallo scorrere dell’acqua tra gli orci, nel Chiostro dei Monaci nella Certosa di San Giacomo, di quanto la ‘rete’ di collegamento, il dolce scorrere sonoro tra i tubicini di rame nell’accoglienza femminile, abbia esteso tutta la sostanza preziosa generosamente fornita dalla “Fons vitae”, per poi riconoscere a Ievolella il dono della generosità del fare arte, la specifica e indipendente responsabilità culturale e politica delle Arti Visive.