“Di fronte alla liturgia della morte” – Tanexpo Bolgna 2009
“Di fronte alla liturgia della morte” – Tanexpo Bolgna
2009
1. La cultura dell’arte ha indagato e commentato, descritto e interpretato l’esperienza della morte lungo l’intera sua storia, dal patrimonio archeologico all’attività contemporanea, e quindi con le tecniche ed i sistemi iconografici, i processi linguistico-visivi e l’intima relazione personale; l’arte ha consegnato attraverso le opere i presupposti ed i risultati dell’incontro esperenziale con la morte, dove l’immagine pittorica ed il marmo scolpito, la lastra incisa e la pellicola fotografica, l’istallazione del corpo nello spazio ed un video non sono ‘contenitori’, non valgono come forme implose, ma materia viva, palpitante ed animata, estroflessa rispetto alla stessa morte. Ogni nuova opera visiva e dell’arte non è quindi da intendere come realtà ultima, rispondente ad un percorso finalizzato alla ‘conclusione’ di un itinerario terreno e di accompagnamento, ma valore individuale di ritorno, rete che recupera, ricordo che vive lungo la propria composizione-attraverso la stessa rinascita nella fruizione. L’opera d’arte che visita la morte, promuove attraverso l’atto di creazione, lungo il percorso intuitivo e l’emozione espressiva, la vita della morte stessa, la sua nascita, il suo stare nello sguardo, nel gesto e nel segno, nel percorrere.
2. Ogni opera d’arte include il valore della sacralità per sua intrinseca natura processuale e la gran parte di esse includono fattori e valori che si pongono ben oltre definizioni tematiche e collocazioni funzionali; così il tema della morte, il suo sviluppo nel comportamento del subire direttamente la scomparsa e del vivere l’esperienza della perdita, è percentualmente incluso ed estraibile attraverso la mirata istallazione in ogni opera d’arte. Il tema della morte, lo sguardo dell’arte su di essa, è di fatto rintracciabile, recuperabile e riutilizzabile dalla fruizione, inserito nel processo di partecipazione.
3. Se la storia dell’arte sacra contemporanea si articola sul caleidoscopio espressivo delle opere e si emblematizza su tre specifiche tappe, le Cappelle di Henri Matisse del 1947-1951 e di Marc Rotkho del 1965-1966 e la Chiesa Rossa di Dan Flavin del 1997, così il Progetto per il Cimitero di Urbino di Arnaldo Pomodoro del 1974 rappresenta tutti i valori posti tra la cultura dell’arte e l’esperienza della morte, tra l’azione creativa ed il sistema che vive il passaggio dalla vita alla morte. E’ da quel tracciato inferto alla crosta di terra, è da quel percorso di discesa congiunto tra il vivo ed il defunto, nel sodalizio che si stringe e si rinnova fin nelle radici del sepolcro collettivo, che i temi della ‘Tomba a terra ’ e della ‘Cappella di famiglia ’ devono tornare ad essere osservati. In quel progetto sottratto alla cultura contemporanea della morte, sono raccolti ed evidenti i dati dell’esperienza affettiva per condivisione attraverso la percorrenza che non solo accompagna ma che si rinnova e si ripete in entrata ed in uscita tra vita e morte, insieme lungo la stessa terra e sotto il medesimo cielo, nella tracciato scavato e nella luce, nella severità della materia e nell’energia dell’aria.
4. Ho chiesto l’estensione del viola ‘liturgico’ come materia cromatica in grado di interpretare la collocazione di opere d’arte, di definire il senso del posizionamento di volumi e di superfici narranti (Giovanni Bruno), di indicare il valore dell’istallazione di stazioni plastiche della riflessione (G.Pertusi); l’habitat espositivo e della fruizione, la presenza dell’opera e del lettore, hanno come fattore comune il dato del percorso, della costruzione di un tracciato che si articola, animato non da solitudine e separatezza, ma da interferenza e da condivisione, da scambio e dialogo. Come ogni elaborato espressivo è frutto di una sensibilità estetica e di grammatiche visive caratterizzate da processi analitici, da sistemi progettuali in cui la sensibilità creativa si muove sperimentale, cosi la fruizione percorre e collega, rintraccia in autonomia i fili del pensiero nel territorio del ‘riposo’, ascolta e vede, condivide presenze-assenze affettive. Superfici piane di materia magmatica (A.Gianfreda) e sarcofaghi che dialogano silenziosi , pareti di materia luminosa umana e divina (Pellegrinetti), case-dolmen ospitali, architetture ascensionali di luce (Alberini e Moioli), architetture (F. Martinelli), istallazione di un paesaggio marmoreo frantumato in costante affermazione dell’esistenza del ricordo.
5. Il tema ampio ed infinito di una ‘risurrezione’ si distribuisce lungo la grande parete di fondo di questo territorio attraversato, cosi che ogni frammento plastico, dalla tomba all’urna, ed il fruitore nel suo girovagare, vedano un ideale paesaggio, riconoscano un nuovo itinerario, una diversa esperienza da compiere. Si aprono come finestre di speranza il ‘Sepolcro aperti ’ e la ‘Risurrezione di materia pittorica ’, ‘Cieli e paesaggi oltre’ quali di-svelate superfici di colore e di forma; opere di Franco Marrocco, Italo Bressan, Giuseppe Sabatino, Rinaldo Invernizzi, Fabio Roncato Mauro De Carli ed altri.