L’accumulo 2019

L’ACCUMULO

Il concetto di ‘accumulo’ è uno dei principali ambiti in base al quale nasce la cultura moderna e si sviluppa la cultura artistica contemporanea. Non è l’unico, ovviamente, ma è sicuramente un elemento caratterizzante.

E’ importante ricordare che alla base della stessa storia dell’arte si pone la dimensione  storico del patrimonio, di una realtà complessa e ricca, sovraccarica di dati in costante relazione e interferenza tra di loro. Ereditando un patrimonio non si riceve soltanto qualcosa di materiale (opere, libri, architetture), ma si trasmettono esperienze, memorie, suggestioni, tanto gravose quanto gioiose… All’interno della dimensione storica del patrimonio si riconoscono diverse forme di accumulazione sulla base ed in relazione alle quali si pone ogni altra stagione dell’arte per la definizione di un ulteriore e inedito nuovo patrimonio.

La stagione contemporanea ha rivolto una costante attenzione a tali processi, se ne è fatto carico con estrema determinazione, con una insistenza a cui ogni singolo artista ha dato una personale definizione. Dobbiamo ricordare quanto quest’esperienza processuale contrassegni in senso ampio, l’epoca moderna e contemporanea in ogni campo della vita sociale, della scienza e della tecnologia. Gli artisti contemporanei hanno accettato e perseguito il confronto scientifico, andando sempre più verso l’approfondimento della conoscenza specialistica. Sin dall’inizio del ‘900 anche la cultura artistica ha fatto propria la cultura scientifica. La presenza della scienza è dunque un altro dato fondamentale a cui prestare attenzione. “La linea analitica dell’arte moderna” è un saggio degli anni ‘70 di Filiberto Menna – lettura che può essere un esempio del tentativo di dare un metodo di analisi all’arte.

Dalla Wunderkammer al Museo Etno-Antropologico

Il luogo delle meraviglie in cui si ‘accumulano’ le cose più strane, più curiose, suggestive provenienti dalle più distanti realtà, dal mondo naturale all’archeologia, della medicina e della scienza.

Il Museo Etno-Antropologico è un riferimento fondamentale per la nascita  dell’arte moderna. Pablo Picasso (ma anche Henri Matisse precedentemente al Louvre), ha cominciato a scoprire l’arte africana grazie alle grandi raccolte che si accumulavano nel Musèe de l’Homme  di Parigi e che provenivano dalle Colonie. Una cultura scientifica con stretti rapporti con la cultura artistica già presente nel Rinascimento, approfondita sin dalla prima stagione dell’Illuminismo.

cui collaborarono un mirato numero di artisti.

Il mondo dell’antropologia diventa punto di riferimento della storia dell’arte moderna e soprattutto nell’arte contemporanea. Il Museo rielabora l’idea della “Wunderkammer”; quale luogo magico, alchemico, dove si raccolgono fatti straordinari, piccoli mostri, piccole trasgressioni, per puntare a soluzioni scientifiche di catalogazione e di documentazione. Nascono in tutta Europa, Musei collegati strettamente ai diversi territori su base di approfondimento antropologico ed etnografico.

Art Brut

In questo clima culturale si colloca una specifica esperienza espressiva tesa a travalicare i confini istituzionali e accademici dell’arte andando a documentare aree espressive poste ai margini della società nelle diverse geografie. Jean Dubuffet 1901-1985) mette mano negli anni’50 e ’60, ad sistematico processo di ricerca e di messa in evidenza di autori, mai catalogati come artisti, ma comunque operativi nelle condizioni sociali più diverse, dalle campagne alle periferie, con una particolare attenzione a quanti erano reclusi negli Ospedali Psichiatrici. Centrale risulta in questi autori  la tendenza all’incontinenza espressiva, cioè ad una creatività irrefrenabile che coinvolge materiali poveri e tecniche antiche, in contaminazione tra di loro, in cui è riconoscibile il processo di ‘raccolta’ e di ‘accumulo’ .

Si suggerisce la visita del Museo dell’Art Brut a Losanna (Ch).

Work in regressdi Claudio Costa (1942/1995).

“Le poetiche attuali, in pittura, si rifanno tutte all’idea di un work in regress, cioè ad un lavoro, in qualche modo, “all’indietro”, una riproposta di cose già accaduteDietro a questa prima idea c’era però il riferimento all’origine, un tentativo – cioè – di decifrazione dell’origine dell’uomo. Facevo delle ricostruzioni in terracotta, in disegno, in pittura, che partivano dalle origini dell’uomo.” C.Costa       

Il Museo Etno-Antropologico sollecita nel mondo dell’arte il recupero della ‘memoria’, suggerisce il processo del ricordo delle radici in cui tutto a preso origine e del suo sviluppo. Una creatività fondata sulla memoria attraversa tutto il secolo scorso diventando centrale nel clima delle seconde avanguardie. Definiremo questo processo ‘Work in regress’ secondo la definizione fornita dall’artista antropologo Claudio Costa.

Si è sempre definito e letto la storia dell’arte, come l’intera storia della cultura e della scienza, secondo un processo di ‘work in progress’ cioè di sviluppo di stili e di conoscenze collegato al tempo, alla successione dei decenni; l’esperienza del ‘work in regress’  coinvolge l’idea della regressione, del tornare indietro verso stagioni ‘felici’ e ‘vergini’, mai contaminate dal progresso: si pensi all’immediatezza e alla freschezza infantile “Kandinsky e Klee parlano del bambino, Picasso sembra un ragazzino che si diverte a dipingere, Pollock dipinge e sgocciola per terra come i bambini. Questa forma regressiva porta alla riconquista dell’autenticità, al recupero dell’istintività.

Raccolto

Il primo elemento da sottolineare in relazione alla cultura antropologica è l’esperienza del raccoglitore, di colui che si dedica alla fase di accumulo di ciò che trova, che incontra, a cui deve dare un ordine e un nuovo significato. Gli artisti contemporanei iniziano ad essere raccoglitori. Hanno un ventaglio di possibilità ampissimo, non sono più condannati a rispondere a ciò che impone la committenza. E’ su questa base metodologica che un crescente numero di artisti si dedica alla sperimentazione espressiva attraverso l’impiego di materiali inediti per la storia dell’arte; si tratta di un processo teso a recepire dal materiale di supporto i valori in esso conservati ed espressi, prodotti nel tempo del suo impiego; nasce un sistema creativo fondato sull’esperienza del ri-utilizzo.

Trovare, raccogliere, accumulare.

Alberto Burri (1915-1995) significativo l’utilizzo della juta, cioè di quella tela ruvida utilizzata in particolare in forma di sacchi per il trasporto delle merci ‘sfuse’; nello specifico, come sottolineato nei titoli delle opere di Burri, del grano e della farina nell’immediato dopo-guerra; significativa l’azione simbolica della ‘cucitura’ degli strappi e delle ferite in un tessuto consumato dall’uso. A questo materiale comunque ‘antico’ farà seguito l’utilizzo di materiali moderni come il pvc e successivamente impasti polimaterici a rapida essiccazione.

Emilio Vedova (1919-2006) ricorda come alla fine della guerra avesse notato e quindi raccolto nello studio materiali poveri come cordami di navi e tavole di legno ‘restituiti’ dai canali di Venezia. Nascono installazioni in cui la pittura dialoga con i materiali poveri nello spazio, in un clima di grande sofferenza,  andando a ‘rileggere’ il patrimonio iconografico della Crocefissione.

Gli artisti-raccoglitori imparano a selezionare tra l’immensa quantità di materiali naturali e industriali, con l’obiettivo di trovare ciò che risponde perfettamente alle proprie esigenze espressive.

Lungo questo processo, avviato dal Dadaismo e dal Surrealismo (Joseph Cornell 1903-1972), si avverte negli anni ’60 una sempre più diffusa presenza di quei supporti tecnici, la bacheca e la vetrina, necessari alla raccolta e la conservazione dei reperti.  Esiste ancora un collegamento con i musei antropologici dove tutto viene messo all’interno di vetrine, dentro cassetti, contenitori, raccoglitori. Il raccogliere sviluppa il ruolo del conservare. La vetrina diventa il luogo nel quale questi oggetti accumulati trovano protezione, intimità, ma anche presa visione e studio. Anche le tradizionali cornici assumono uno spessore molto più deciso (tra 5 e 10 cm) al fine di proteggere il volume aggettante dei materiali raccolti; le ‘cornici a cassetto’ accentuano la funzione conservativa di una accumulo di materiali. 

(Wolf Vostell 1932-1998) (Joseph Beuys 1921-1986).

Questi processi fanno riferimento e rappresentano lo sviluppo delle soluzioni nate con il la tecnica  rivoluzionaria del collage  sviluppata all’inizio del XX secolo (vedi il Ciclo delle Chitarre di Pablo Picasso nel 1913.

Complessivamente l’artista è impegnato a unire tecniche e funzioni fino ad allora del tutto indipendenti. Mettere insieme i colori, gli oggetti, le funzioni d’uso… fare in modo che la vetrina, la scatola, il contenitore comincino ad essere luoghi protetti, quasi intimi in cui gli oggetti trovano la loro posizione, il modo di raccontare se stessi; non più scarti anonimi ma testimoni di valori, soggetti che narrano.

Si afferma la preziosità dell’oggetto anonimo, del soggetto scartato, del rifiutato che torna in gioco; torna in gioco con i suoi dati, con la sua personalità,  con le sue energie e racconta i suoi viaggi, i suoi spostamenti e le sue relazioni.

Allan Kaprow (1927-2006)

Siamo a New York, anni ‘50. Kaprow realizza questa esposizione, dove riempie lo spazio con dei pneumatici. Questo e’ un esempio di accumulo con  una tendenza alla performance. Non c’è più il quadro o la scultura, ma un accumulo di frammenti della realtà. L’accumulo di Kaprow raggiunge il valore della sottolineatura attraverso la provocazione; la fruizione dell’esposizione si trasforma in coinvolgimento, obbliga il visitatore a partecipare: lo spazio espositivo diventa un luogo attivo, rappresentativo della società contemporanea.

Al centro dell’azione espressiva osserviamo la funzione esperienziale della comunicazione. L’opera diventa un’operazione teatrale, spettacolare, invasiva, aggressiva…

Accanto alle gomme quindi i cartoni.

Allan Kaprow comincia a raccogliere gli scarti della società, ed in particolare modo i cartoni che rispondono anche a un’altra fonte di ispirazione rappresentata dalla scrittura.  La stagione post-bellica suggerisce l’utilizzo di materiali poveri, di scarso valore… ma che sono comunque testimoni di tante cose. Ogni una di quelle gomme ha una storia collegata alla vita delle persone: famiglie, bambini…se potessimo ascoltarle, ci potrebbero raccontare  di viaggi felici ma anche di incidenti,  di vacanze al mare….

Dunque l’ idea di Allan Kaprow, e’ di lavorare sulla storia di questi materiali. Comincia anche a scrivere, a dipingere, a disegnare e soprattutto ad re-installare quella stessa operazione ri-aggiornandola in base allo spazio. L’insistenza – è un dato della contemporaneità.

Di Allan Kaprow, si conservano i documenti fotografici, i progetti, i disegni preparatori. Molto passa attraverso la fotografia che diventa la vera opera d’arte, reperto dell’evento espositivo, dell’evento creativo.

A Berlino nel 1970 dove Kaprow insieme con la gente del posto si occupa di realizzare, con i materiali industriali che trova, delle vere e proprie installazioni; si mette in gioco, entra nella realtà di quel luogo. Comincia a gestire i materiali che trova sulla strada, che trova nel quartiere dimostrando come da quel materiale povero, senza valore fato di normalità si possa reinventare un paesaggio. Quello che mi interessa far vedere come questo procedere risponda perfettamente al tema dell’accumulo .

Jean Tinguely (1925-1991)

Artista svizzero, Tinguely si occupa della Meccanica.

Stiamo parlando anche in questo caso della fine degli anni ‘50. Quando si parla di arte svizzera, si parla di Dada, di Tristan Tzara, di una cultura della sperimentazione, dell’ironia del gioco, della trasgressione… Tinguely comincia a giocare con una sistema meccanico ( di metallo, con ruote…) e comincia dalla semplice bicicletta. L’opera si collega con la stagione delle avanguardie storiche e comincia a raccogliere e costruire secondo il principio del collage, diventato assemblaggio, grazie alla tecnica di saldatura e ai processi di imbullonatura. Inizia a mettere insieme questi frammenti, questi pezzi, dopo averli accumulati;  l’obiettivo è farle diventare delle macchine indipendenti dalle necessità e dalle funzioni d’uso: sono come i  macchinari di un orologio gigante in cui tutto si muove, tutto parla, tutto fa rumore… in molte foto vediamo Jean a lavoro, in tuta da metalmeccanico e non più da pittore. E’ interessante il tema del costume; gli artisti scelgono quegli abiti che parlano del lavoro… Si rinchiude dentro questo scafandro in quanto afferma la volontà di unirsi al mondo del lavoro. Usa strumenti di quotidianità con grande ironia, suggerendo la centralità del giocoso. E’ molto legato alla spettacolarità teatrale. (Si verifichi anche l’opera di David Smith (1906-1965).

Qui si accumulano nuovi materiali. Quindi l’insistenza vuol dire proprio non mollare, ma trovare sempre nuovi valori al processo. Non passare da un processo a un altro.

Nell’immagine seguente viene riproposta la famosa fontana di Basilea, opera dell’artista del 1977. E’ un’opera pubblica di notevoli dimensioni, caratterizzata dall’incessante movimento che vede partecipe tanto l’acqua, quanto le parti meccaniche.

Le Seconde Avanguardie tra FLUXUS e  Nouveau Réalisme.

Daniel Spoerri (1930)

Con Daniel Spoerri incontriamo un ulteriore esempio di quanto il concetto di ‘accumulo’ si sia sviluppato arrivando a specializzarsi. Nelle cosi dette Seconde Avanguardie ed in particolare nel gruppo a carattere internazione Fluxus e in quello francese del Nouveau Realisme, a cui farà seguito l’italiano Arte Povera, riscontriamo un processo contrassegnato da artisti che circoscrivono la propria attenzione su specifici materiali di supporto, di cui analizzano nel tempo le variabili, ma di fatto cercando di evitare troppe trasformazioni o passaggi ad altre realtà.

Daniel Spoerri restringe il suo campo d’indagine al tema dell’alimentazione, sceglie cioè di fare del cibo, l’oggetto del suo lavoro. Costruisce tutto il sistema della sua creatività intorno a questi oggetti, che sono sempre gli stessi ma sono sempre diversi; difficilmente  una cena è uguale all’altra (perché cambiano le portate, cambiano la frutta di stagione, cambiano i partecipanti di quella cena, di quel pranzo….). Sicuramente dietro questo mondo fatto di scatole di minestra, di coca-cola, di luoghi sociali si riconosce una stretta relazione con il settore antropologico della cultura Pop, rappresentato da Robert Rauschenberg (1925-2008).

Spoerri comincia con il raccogliere e sigillare quello che rimane dopo una colazione, dopo pranzo, dopo una cena. Registra il presente con una grande quantità dei materiali diversi;  un vassoio dopo una sera dove si ha mangiato leggero, con i libri sopra, con cicche di sigarette, cioccolatini…possiamo dire che osserva ciò che resta, il lato conclusivo della liturgia del pasto condiviso.

Il pensiero corre all’iconografia del pasto per eccellenza, l’Ultima Cena, che si rafforza con la Cena in Emmaus; nei due esempi e nella maggioranza dei dipinti dedicati alla condivisione del cibo, lo sguardo è rivolto alla fase del consumo e molto raramente a ciò che resta sulla tavola.

Anche nel caso rappresentato dal lavoro di Daniel Spoerri svolge un ruolo importante il concetto di ‘insistenza’ da cui dipende la riuscita di un accumulo di opere una simile all’altra ma sempre diverse. Sceglie soluzioni orizzontali come anche verticali attribuendo ad ogni evento il congelamento del tempo. Sigilla il tutto attraverso scatole in plexiglas quasi ad

andare a ripercorrere l’esperienza di un reliquario.

Daniel Spoerri. Ricostruzione della Chambre No. 13 dell’hotel Carcassonne a Parigi, 1959-65. (1998) Assemblage
, 259.5 x 424.5 x 288.5 cm. Galerie Henze & Ketterer, Wichtrach / Bern Foto: Kunstmuseum Thun