Arte – Architettura – Teologia – Liturgia 2007

Arte – Architettura – Teologia – Liturgia 2007

Andrea B. Del Guercio

Perché Dio venisse lodato come si deve, Dio stesso fu lode a se stesso: e poiché si degnò di tessere la propria lode, l’uomo, in questo modo, ebbe la strada per indirizzare a lui la sua lode.

Sant’Agostino, In Ps, CXLIV,1

    

S.Pizzi

Alla base di questo volume e quindi di un lungo e interdisciplinare lavoro di riflessione dedicata alla cultura artistica contemporanea e alle sue relazioni con il territorio ampio del sacro, con il patrimonio complesso della natura religiosa dell’uomo, si colloca l’attenzione rivolta all’eredità culturale e spirituale codificata dalle grandi confessioni religiose, e in particolare modo dalle tre confessioni monoteiste.

La configurazione di una storia dell’arte sacra moderna e contemporanea, la sua rinnovata volontà progettuale, non può essere disgiunta dal percorso condotto lungo la seconda metà del XX secolo dalla chiesa cattolica nel solco del Concilio Vaticano II ed è stata fortemente rapportata e confrontata con il processo degli studi teologico-liturgici e con le posizioni espresse ed assunte nello specifico campo estetico-teologico; parallelamente è apparso importante avviare un rapporto di confronto tra la riconfigurata natura antropologica dell’arte ed un nuovo patrimonio di studi e di valutazioni in campo liturgico. 

È all’interno di questo ampio patrimonio di studi ed in stretta relazione con esso, significativamente arricchito in campo protestante, che dobbiamo rintracciare, accanto al perdurare ed anzi al rinascere di vecchie e nuove chiusure, spazi di intervento ed una volontà intellettuale che conferma quello spirito di curiosità attenta e competente racchiusa nella Lettera agli artisti di Paolo VI del 1964, e codificato nel documento Lo spirito creatore prodotto dalla CEI nel 1997.

Non appare utile in questa sede, determinata da una volontà operativa e produttiva interdisciplinare, ripercorre le difficoltà e le fratture che già nel XIX secolo hanno caratterizzato i rapporti tra arte e religione, tra gli artisti e la chiesa, né appare importante analizzare i grandi eventi espressivi, dal Cristo giallo di Paul Gauguin ai Miserere di Georges Rouault, alla cappella del Rosario di Henri Matisse a Vence; fatti espressivi che hanno mantenuto in vita e rinnovato la storia dell’arte sacra moderna, scandita da eventi rari, soprattutto in Francia attraverso l’azione di promozione di padre Marie-Alain Couturier, e promosso la stagione contemporanea e non solo più europea, in cui si impongono, in una stretta relazione di continuità, i progetti pittorici di vetrate di Jackson Pollock , la cappella di Mark Rothko a Huston, le vetrate di Jean Pierre Raynaud per l’abbazia di Nuerlac e l’intervento in Santa Maria in Chiesa Rossa a Milano di Dan Flavin del biennio 1996/1997.

Sempre in questa sede non possiamo elencare ed analizzare quello che potremmo definire il patrimonio raro e prezioso dell’arte sacra, ma possiamo segnalare l’affermazione tra Francia, Germania, Austria e Svizzera, di un processo di confronto della liturgia con il mondo dell’arte contemporanea e quindi di intervento stabile degli artisti nelle chiese, sia appartenenti al patrimonio storico, sia soprattutto al sistema dei nuovi edifici di culto; si è trattato di un’attività di documentazione e non di produzione, di catalogazione che a livello nazionale appare in tutta la sua evidente debolezza e parzialità, purtroppo anche nella recente attività editoriale in materia d’arte sacra.

I dati fino ad oggi raccolti indicano la necessità di introdurre con chiarezza una svolta nei valori e nei contenuti racchiusi nella definizione di arte sacra; attraverso l’introduzione del concetto di «contemporaneità» dell’arte sacra si intende abbandonare una mera interpretazione di tempo, per fare riferimento al patrimonio espressivo e tecnologico, ai sistemi linguistici e ai valori etici dello stato della ricerca.

Attraverso la definizione di appartenenza allo stato dell’arte contemporanea, al suo sistema di regole e di valori acquisiti, ad una cultura responsabile e radicata della sperimentazione, alla natura strutturalmente progettuale della comunicazione visiva, si tende ad allontanare quella genericità inquinante che permette ancora la diffusione di quella povertà espressiva che caratterizza ed alimenta il mercato dell’arte sacra; il grado di distribuzione e di diffusione che la cultura artistica contemporanea nel suo insieme e nella sua complessità ha raggiunto da tempo e internazionalmente, ci permette il superamento di una storia dell’arte fatta di eventi rari e straordinari, spesso costruiti sulle strette e selezionate regole del mercato, e ci suggerisce un’attività espressiva che torna ad essere attenta interprete del grande mistero della fede.

Su questa linea di ricerca avanzata e interdisciplinare, animata dal confronto tra arte e teologia, architettura e liturgia, si pone da tempo, in stretta relazione con la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, il Dipartimento Arti e Antropologia del Sacro dell’Accademia di Belle Arti di Brera; l’esperienza acquisita sul piano teorico e sul piano progettuale ed espressivo suggerisce l’individuazione (e quindi la riflessione), all’interno del sistema dell’arte sacra, di due distinte aree di indagine: quella della «funzione» e quella della «riflessione». La conoscenza di due distinte aree di indagine espressiva, l’osservazione di competenze autonome e i valori diversi nella fruizione si pongono alla base di un progetto di lavoro teso a dare un senso organico ed una prospettiva suggestiva nella definizione dell’Arte Sacra.

Alla luce di queste riassuntive valutazioni e quindi all’interno di un percorso personale di ricerca ho tentato di predisporre un «laboratorio» teorico in grado di verificare le possibilità di sviluppo e di applicazione ancora racchiuse nel binomio storico «Arte Sacra».

Fondamentale, lungo questo percorso, è stata la fitta rete di scambio intercorsa con Pierangelo Sequeri, non solo caratterizzata dal contributo sul piano dogmatico specifico, ma soprattutto all’interno di un processo di confronto con i processi espressivi e di progettazione; si è trattato concretamente di una teologia condotta e verificata direttamente nel fare dell’arte, attenta a porre in evidenza intuizioni e favorire suggestioni specifiche; a noi tutti è apparso evidente quanto il raffinato teologo abbia progressivamente scelto di condurre un’attività di ricerca parallela alla storia artistica contemporanea, non solo in forme di riflessione ma anche suggerendo e indicando, promuovendo e collocando l’opera nello spazio «sacro».

Optando per un titolo fortemente schierato, Arte Cristiana Contemporanea, mi sono posto con chiarezza il progetto di uscire da quell’ampio territorio generico che avvolge l’attività espositiva dedicata a quest’area, di abbandonare un’interpretazione indebolita dalla separazione liturgica, per ricollocarla nella complessità antropologica del sacro, e quindi di predisporre e sollecitare il recupero, attraverso un lavoro rigoroso, di significativi momenti di specificità e di confronto progettuale. 

Le dimensioni allargate del «laboratorio» su sei distinte diocesi italiane (Aosta, Bergamo, Ivrea, Milano, Piacenza e Venezia) qualificano il progetto e lo obbligano ad affrontare e a confrontare sul piano teorico e sul campo progettuale la più ampia complessità delle problematiche e delle funzioni, l’articolazione dei temi e dei soggetti; l’inedita distribuzione interdiocesana delle ricerca e degli eventi espressivi determina le dimensioni e qualifica i contenuti di un grande progetto teorico-espressivo pulsante tra teologia, liturgia, storia dell’arte e creatività artistica.

La complessità del territorio di indagine sottoposto all’attenzione degli artisti, ma anche la mirata specificità di ogni realtà «consacrata», copre quel fronte esteso di ricerca che collega il patrimonio antico e quello storico alle aspirazioni e alle interpretazioni del presente, sollecita un operativo processo di aggiornamento estetico della comunicazione visiva all’interno delle funzioni dell’aula liturgica, impegna la progettazione sul terreno operativo della riconversione e della riorganizzazione partecipativa del patrimonio edilizio ecclesiastico, antico e contemporaneo, e delle sue relazioni nel tessuto urbano e nel territorio. 

Il progetto nella sua complessità, specificatosi successivamente tra i settori tematici della devozione e dell’esperienza spirituale e dell’adeguamento estetico-liturgico, ha previsto distinti ed autonomi interventi espressivi tra le diverse sedi ecclesiastiche, individuate dalle rispettive diocesi; ogni diocesi, spesso in diretta relazione con il vescovo titolare o con il suo delegato, è intervenuta suggerendo più specifiche tematiche pastorali e particolari necessità liturgiche, di devozione popolare e quant’altro si sia inteso utile per arricchire di valore spirituale la fase artistica e i rapporti di fruizione.

In questo quadro articolato e ricco, una prima e fondamentale fase di lavoro preparatorio e introduttivo si è caratterizzata attraverso la ricerca e l’approfondita documentazione sul riesame e sull’interpretazione del patrimonio conservato ed espresso nelle grandi basiliche e nelle chiese di periferia, dalle parrocchie dei centri storici agli oratori di campagna, dai musei d’arte sacra alle biblioteche, agli archivi parrocchiali. Un lavoro attentamente dedicato alla rilettura delle origini del sistema strumentale e simbolico della liturgia e del loro sviluppo, verificato con intenzioni propositive nel presente all’interno del patrimonio estetico-iconografico, dall’altare all’ambone alla croce astile, in una nuova concezione spaziale dell’aula liturgica; in base a quest’ampia fase di indagine e solo in base a questa e non per generica intuizione, l’artista ha potuto affrontare ed agire sul patrimonio e sull’esperienza persistente della devozione popolare, rivisitando quindi le valenze antropologiche e ridisegnando i valori di comunicazione presenti nel ciclo della Via Crucis, nel concetto di pala d’altare, nei valori racchiusi nella redazione dei libri sacri.

All’interno del progetto ed in stretta relazione con il patrimonio tematico e ambientale, l’azione espressiva e di redazione dell’arte ha verificato il più ampio margine di interdisciplinarità linguistico-visiva, attraverso l’impiego delle tecnologie riproduttive e dei sistemi creativi della tradizione; gli artisti sono intervenuti in relazione a questioni e temi con un approccio interpretativo concettuale, con l’intenzione di estrapolare valenze significative poste in profondità, riorganizzando su nuove basi estetico-culturali e di sensibilità le indicazioni antiche di contenuto, gestendo i rapporti di collocazione nello spazio consacrato e di fruizione.

Ogni artista impegnato nel progetto ha dovuto quindi interagire con le funzioni liturgiche previste dall’edificio consacrato e dedicarsi con responsabilità culturale personale alla vasta area della ricerca e dell’esperienza spirituale individuale, arricchita dal confronto con i vescovi e i parroci, con i docenti di Teologia, di Liturgia, di Iconografia e Letteratura Biblica, di Antropologia e Religiosità Popolare della Facoltà Teologica di Milano; ogni opera è nata quindi sulla documentazione e sullala catalogazione ma, anche su un rapporto esperienziale intimo e diretto dell’artista, dove il materiale teorico e d’informazione predisposto per ogni sito espositivo ed area tematica perde all’interno della creatività i limiti di una presunta oggettività critica, ma si arricchisce delle intuizioni inedite della volontà di partecipazione.

Si è trattato quindi di un’esperienza complessa e affascinante dedicata infine ad un rapporto stretto e di confronto tra la creazione artistica e lo spazio sacro, nei termini di appartenenza ai valori di contemporaneità, sia nelle fasi di progettazione che di collocazione; non si è trattato di  un mero progetto espositivo invischiato nella cultura acritica della citazione, di un freddo catalogo di opere e manufatti raccolti in un museo e disgiunti dallo spazio e dalla funzione, ma di un’avventura animata dal desiderio di partecipazione personale e di confronto con il patrimonio iconografico, teologico e liturgico racchiuso nell’edificio sacro.

La funzione e la riflessione

La funzione liturgica dell’arte contemporanea

In questo ambito si definiscono i rapporti tra l’opera d’arte e le funzioni caratterizzanti l’edificio religioso; l’aula con i suoi altari e gli apparati liturgici e devozionali segnalano il valore caratterizzante di una funzione fatta di preghiera e di ascolto, di partecipazione e di azione diretta, quindi di fattori rispetto ai quali le opere, prima del valore artistico specifico, svolgono un ruolo e una funzione, interagiscono con e all’interno di questi processi specifici; ogni manufatto finisce per essere assorbito all’interno di un sistema impegnativo di cui l’artista non può non essere responsabilmente cosciente, sin dal momento della redazione dell’opera, della definizione delle sue proiezioni e sviluppi. Prima che opera d’arte il quadro si fa pala d’altare e la scultura altare e ambone, la pittura rivisitazione di un miracolo, di un’esigenza e di un’aspirazione spirituale; non tutte le opere e gli oggetti risultano e hanno un ruolo nella storia delle opere d’arte, ma sicuramente i quadri e le sculture (e tutto quanto risponda ai linguaggi visivi, che trovi collocazione nell’edificio religioso) tra le loro funzioni e pratiche non potranno non rispondere al patrimonio della sacralità, e quindi collocandosi all’interno di un percorso iniziato con il «miracolo» proprio della prima «icona». Quando l’opera è predeterminata rispetto alla collocazione, essa acquisisce valori nuovi non programmati precedentemente dal suo artefice; vengono autoacquisiti dall’opera grazie all’azione specifica della funzione e della partecipazione, subiscono una normale riqualificazione involontaria, dimostrando che l’opera include al suo interno un potenziale comunicativo spesso sconosciuto e rinnovabile, mentre da parte dei credenti si rivela una specifica e creativa possibilità di assorbimento e di ricollocazione all’interno di un processo esperienziale predefinito dalla storia. Il fedele, categoria complessa e sfaccettata nel processo storico e nel presente, sembra aver infatti acquisito e depositato nella propria coscienza il sistema di rapporti simbolici ed intercambiabili tra il tavolo e l’altare, tra la mensa e l’ara, tra la panca, la sedia ed il trono; per poi includere il quadro di contesti più specifici appartenenti sia alla sfera liturgica sia all’ampio territorio della devozione; un’area rappresentata dal patrimonio materiale dei reliquari, dal vasto ambito dei frammenti ossei, ai capelli, alle vesti, agli oggetti appartenuti in vita agli uomini-santi e quindi venerati; un processo, quello della venerazione che ha coinvolto ancora le opere d’arte, dai quadri alle sculture, di ogni epoca e stile, i materiali e le tecniche, da quelle povere a quelle nobili.

La riflessione. Arte ed esperienza spirituale

L’artista moderno è soggettivo, cerca più in se stesso che fuori di sé i motivi dell’opera sua, ma proprio per questo è spesso eminentemente umano, è altamente apprezzabile. Molti hanno sostituito la psicologia all’estetica, questo è certamente un’evoluzione spesso pericolosa e sconcertante, ma più spesso si fa idonea a penetrare nel santuario dello spirito e ad essere da noi, alunni e maestri di spirito, maggiormente apprezzata… Oggi come ieri, la chiesa ha bisogno di voi e si volge verso di voi.

Paolo VI, Lettera agli artisti, 1973

L’area della «riflessione» rappresenta  indubbiamente il più ampio settore di quanto possa rientrare nella storia contemporanea dell’arte sacra; l’azione espressiva individualmente condotta, quindi in autonomia «liturgica» rispetto ad una tradizionale committenza, all’interno del patrimonio iconografico e spirituale, etico, teologico e storico-politico, rappresenta una prassi ed un processo di confronto e di ricerca appartato ma significativamente caratterizzato.

Affermare nella sede espositiva «riservata» ma «autentica» dell’Oratorio di San Rocco a Rivergaro – avvalorata dalla presenza «attiva e partecipe» dello stesso monsignor Monari, vescovo di Piacenza – le possibilità significanti di un’articolazione di ricerche «riflessive» sul sacro, ci permette di non dover tornare a ripercorrere, ma ipotizzare un superamento delle diverse questioni  teoriche che hanno portato alla complessa problematica nei rapporti tra sistema dell’arte e cultura confessionale nel XX secolo, ed in particolar modo per ciò che riguarda la caduta di valenza del binomio qualità-attualità nella committenza religiosa, denunciato dello stesso pontefice Paolo VI nella Lettera agli artisti, ripresa in più occasioni dai documenti ufficiali, e a cui non ha fatto riscontro una significativa inversione di tendenza nei grandi numeri dell’arte e dell’architettura sacra contemporanea. Il riconoscimento, che anche in questa sede si tenta di ottenere, per l’azione estetico-riflessiva, con la sua valenza di contributo culturale, attraverso la perdita di una separatezza espositiva e la conquista di una valenza di esperienza spirituale, di una valenza religiosa, di venire a far parte direttamente dei processi collettivi della fede, appare l’obiettivo finale, e forse più importante, di questa operazione per lo sviluppo del concetto di arte sacra.

Una cultura dell’arte sacra contemporanea si fonda sulla condizione forte e specifica della «riflessione» attraverso cui l’artista configura l’opera, vettore di fertile elaborazione anche nella fruizione religiosa; ritengo che solo una conduzione di indagine e di interpretazione creativa configuri un’istanza espressiva in grado di intervenire, con valore inedito e di contributo originale, nello spazio teologico.

Si consideri che non esiste una diretta corrispondenza tra il sistema dell’arte contemporanea ed il sistema economico dell’arte contemporanea.

Il porsi dell’artista e dell’opera all’interno del sistema dell’arte risulta il fattore che ne determina l’attribuzione di valore contemporaneo, e ciò si configura attraverso la correlazione e la corrispondenza con i sistemi linguistici e metodologici comuni al sistema. Tale è l’acquisizione articolata e sedimentata di una stagione che è durata l’intero XX secolo. Lo stato dell’arte contemporanea elabora e sviluppa in progress comuni aree di ricerca e di comunicazione orientate entro l’intrinseca natura concettuale dell’arte, qualificandosi attraverso la contaminazione evidente tra la natura materico-formale dell’opera e la cultura progettuale dei processi espressivi.

I processi progettuali e i valori concettuali rappresentano il borderland di riferimento del sistema dell’arte contemporanea e, in stretta relazione con quest’area esperienziale, si configura il libero riferimento alle questioni linguistico-visive e tecnico-formali.

In quest’ambito anche l’area della devozionalità e della spiritualità popolare, presente a tutt’oggi nella tradizione dell’arte sacra, ha pieno diritto di agire e può essere positivamente affrontata. Il sistema dell’arte contemporanea non interviene sulla babele linguistica ma risponde ad un processo di vivace e responsabile deregulation linguistico-visiva, per cui ogni area espressiva ha pieno diritto di affermarsi all’interno di un progetto architettonico e ambientale. Alla luce di tutto ciò, non si pongono limitazioni né si sollecita un sistema formale a scapito di altri, mentre si suggerisce la ricerca di soluzioni inedite condotte con il necessario rigore e le specificità del sistema linguistico adottato; si suggerisce inoltre la più ampia frequentazione interpretativo-concettuale dell’immenso patrimonio iconografico-simbolico e lo spirito di ricerca dentro il patrimonio liturgico-antropologico.

In questo ambito di riflessione, recuperato negli anni ’60 il valore di scambio e di fattiva collaborazione tra artisti e architetti, configurato anche dalle direttive CEI, appare possibile e utile una revisione critica di ogni esasperazione, da una diffusa auto-asetticità ad un aniconismo formale fine a se stesso, dall’approccio scolastico-artigianale ad una figuratività aneddotica di maniera, per liberare opportunamente la carica espressiva del colore e della luce, attivare la ricerca di contenuto stimolato dall’immagine, dai materiali di supporto, dalle moderne tecnologie, dalle grammatiche formali di base, nel quadro di un progetto generale concordato dal gruppo di progettazione.

In questa direzione l’uso dei materiali di supporto è da intendere ampio, previo il rispetto di precisi dettati liturgico-teologici riguardanti l’altare, e con esso anche un riesame critico di quei materiali tradizionalmente importanti, troppo spesso impiegati per il valore aggiunto e autoreferenziale, rispetto all’effettivo valore concettuale dell’azione estetica.

La bellezza

Vorrei introduttivamente sfatare una prima impostazione retorica, troppo diffusa nell’approccio teologico all’arte, approccio troppo spesso rischioso con quel tanto di dolciastro, stemperante, che annacqua il senso di attualità del sano confronto culturale e politico, interconfessionale e teologico, intimo dell’esperienza spirituale, delle lucide tensioni che scaturiscono dall’incontro delle posizioni e dal dialogo delle esperienze umane diverse; vorrei che si accettasse l’idea di una cultura e di un’arte che nel XX secolo non ama, non cerca, non esprime, non testimonia un presunto universale linguaggio della bellezza; vorrei che si accettasse che la bellezza non è l’obiettivo di una sorta di estetica volontà di potenza che elude a priori il dramma della testimonianza; vorrei che si accettasse che la bellezza non ha sempre rapporti diretti e obbligati con la verità; che la bellezza, come la verità, non sempre mette la gioia nel cuore degli uomini; semmai, la pura grazia che, talora, è concessa alle molte peripezie che il divino e l’umano affrontano insieme, per venire a capo del senso della creazione.

Forse anche sul patrimonio storico, sul racconto della sua caleidoscopica «bellezza», si è profusa la violenza e la sopraffazione di una retorica religiosa di maniera, che vuole scontare a priori la dialettica vitalità delle posizioni. Anche nel passato dell’arte – e dell’arte sacra – la bellezza non è stata l’obiettivo reale, ma spesso un arredo e un presupposto ideologico di maniera, fine a se stesso; e dunque sterile, disgiunto dalla verità. Nel territorio enormemente esteso e variegato del sacro, del sacro cristiano, la natura tormentata e vigile della stabile coscienza del dolore, dell’offesa e dell’umiliazione, l’opera migliore ha riconosciuto la verità dell’arte nella restituzione del difficile confronto dell’uomo con Dio che si rivela e si nasconde nelle sue stesse opere. La bellezza che doveva apparire, è apparsa così: nella lotta con l’ombra, nell’enigma della decifrazione, nella tensione prodotta dall’oscillazione dello spirito fra la presenza e l’assenza di Dio.

Ogni opera di questo progetto, come ogni opera d’arte, appare un tassello di un percorso di ricerca e di riflessione, una tormentata gratificazione, un’illuminazione e una delusione, un insieme di valori e di esperienze diverse, forse un percorso troppo difficile per la bellezza ma, con questa natura complessa, anche un evento salvifico. Il congedo dall’ideale di una retorica della bellezza evanescente e indolore, lungi dall’impoverirla, allarga la forza dell’esperienza dell’arte che vuole abitare per intero lo spazio della rivelazione. Non è più tempo per una teologia ingenua e sentimentale della bellezza. La posta in gioco è altissima, e non consente indugio retorico. La sfida sta fra l’alienazione dell’arte sacra, e la vitalità insostituibile della sua testimonianza. Lo riconosce, del resto, il magistero più autorevole e più illuminato. 

«Religiosa, dunque, è l’arte, perché conduce l’uomo ad avere coscienza di quell’inquietudine che sta al fondo del suo essere, e che né la scienza, con la formalità oggettiva delle sue leggi, né la tecnica, con la programmazione che salva dal rischio dell’errore, riusciranno mai a soddisfare» (Giovanni Paolo II).

È in questa luce che si definisce lo spazio di salvezza di una teologia dell’arte a cui questo volume è dedicato, sia con valore di informazione e di catalogazione ma più sostanzialmente nella forma di uno strumento di lavoro globale; ma è anche in base a questo clima ritrovato di relazione e di interpretazione che una forza teologica autonoma sembra dover essere riconosciuta all’intuizione espressiva e alla produzione dell’arte.

Così all’interno del volume si raccolgono forme ed immagini assai diverse e contrastanti, ma incontrando le quali posso tornare, scontentando qualcuno, ad aprire l’iniziale questione della contemporaneità dell’arte sacra.

Se si intende che il sistema dell’arte contemporanea presenta caratteri di diffusione e di distribuzione molto ampi pur continuando a sorreggersi su ipotesi di avanguardia e di élite concettuali, preferisco tornare ancora, seguendo la mia storia e il mio istinto critico, verso i rischi di un allargamento della «questione contemporanea», e quindi con un inevitabile abbassamento della soglia di qualità e quindi anche accogliendo l’interazione con aree espressive forse al limite.

Il valore della Direzione Artistica prevede infatti un rapporto di equilibrio tra la progettazione e l’allestimento, dove quest’ultimo va a farne parte con peso significativo e mirata qualifica ambientale delle opere; ancora un caleidoscopio che sul piano critico significa riqualificazione concettuale e quindi attribuzione di contemporaneità per un patrimonio artistico diversificato. 

Come per altre mie esperienze ho toccato personalmente attraverso l’allestimento lo spazio della creatività lungo tutto il progetto Arte Cristiana, dislocando le opere e raggiungendo con la creazione de ll Luogo dei Santi nella parrocchiale di Lugnacco, il mio spazio. 

Questi luoghi sacri rivisitati con responsabile attenzione e questo Luogo dimostrano quanto un patrimonio iconografico devozionale, ricollocato, sottolineato, moltiplicato, si ridistribuisca attraverso un processo in regress e ci conduca all’interno della natura del sacro; un’esperienza che devo al mio Maestro Claudio Costa e al mio amico don Maurizio Tocco.

È ancora questo caleidoscopio che è in me che mi permette di interpretare lo spazio e mi riconduce sempre ad una mia natura nazional-popolare estesa tra il «borderline e il borderland» della creazione.

STORIA E SVILUPPO DI UN PROGETTO: ARTE CRISTIANA CONTEMPORANEA

In questa mia continua ricerca ho riscontrato la perdita dei concetti di magico, di sacro; ci si avvicina agli oggetti e alle cose vedendo solo la parte reale di essi senza cercare il fascino del mistero del sovrannaturale. Gli stessi religiosi hanno perso la loro sacralità, così sentita dalle popolazioni primitive. 

Claudio Costa

Al Liceo e all’Università ho studiato e ho vissuto a Firenze uno stretto rapporto con la storia dell’arte senza accorgermi che mi trovavo all’interno del sistema dell’arte sacra; ricordo in particolar modo l’incontro a Siena con la Maestà di Duccio, di cui perdevo la concezione e il rapporto con il valore «miracoloso» dell’icona, mentre ad Assisi sfuggivo al percorso esperienziale dell’uomo nel territorio della fede…Questi brevi dati anagrafico-professionali dello storico dell’arte hanno in questa sede, ma potrei svolgerne cronologicamente lo sviluppo, valore di indicazione circa la concreta portata problematica di un titolo «forte» dedicato e incentrato sulla cultura artistica cristiana; una cultura teologica che dalle origini ad oggi ha accumulato una complessa storia e che si è vista documentare in tutte le sue componenti e variabili attraverso un sistema espressivo fatto di regole linguistico-visive in costante rinnovamento, nel tempo e nella storia, nell’articolazione socio-culturale del territorio europeo.

Questa complessa realtà culturale è stata oggetto di studio e di analisi con l’obiettivo di rilanciare gli specifici e caratterizzanti valori di una storia dell’arte sacra posta in stretta relazione metodologica e di contenuti lungo i processi creativi della stagione moderna e contemporanea; in questo quadro di ricerca interdisciplinare, arricchito attraverso il confronto dei sistemi espressivi con la cultura estetico-teologica e la verifica operativa della progettazione e della produzione artistica con l’esperienza liturgica, si è configurato il ciclo di mostre Arte Cristiana Contemporanea.

Questo ampio strumento editoriale,profondamente interdisciplinare e costruito sull’azione esperenziale di ognuno di noi, raccoglie oggi – a conclusione dell’intero progetto Arte Cristiana Contemporanea – ed interpreta l’intero sistema iconografico e di progettazione, e documenta la collocazione e l’interferenza delle opere nello spazio sacro e nella fruizione liturgica.

Venezia .Chiesa di San Lio .Nell’estetica contemporanea della consacrazione.

Permangono ancora molti ostacoli:le discipline teologiche non dimostrano particolare interesse al mondo dell’arte e viceversa, le formazione artistica del popolo di Dio è ancora ai primi passi, le relazioni tra chiesa e artisti stentano a svilupparsi, le nuove opere che la chiesa promuove sono spesso di livello modesto quando non sono decisamente insoddisfacenti. Lo spirito creatore. A cura della C.E.I. , Paoline, Milano 1998

L’adesione al progetto Arte e Liturgia oggi e la sua destinazione e il suo sviluppo espositivo-funzionale nella chiesa di San Lio a Venezia hanno tenuto presente i passaggi teorico-critici della contemporaneità e si sono qualificati attraverso l’opera di Stefano Pizzi, Roberto Priod e Antonio Spanedda.

La presenza di un’opera d’arte all’interno di un edificio di culto suggerisce alle diverse soluzioni di fruizione diverse ipotesi di valutazione e quindi di giudizio; il manufatto espressivo subisce infatti una ridefinizione del suo stato di comunicazione in ragione di dichiarate funzioni liturgiche proprie dello spazio e della sua destinazione consacrata alla ricerca e all’estensione dell’esperienza spirituale…prima che opera d’arte il quadro si fa pala d’altare e la scultura altare e ambone, la pittura ‘miracolo’ nell’icona.

La destinazione d’uso – valore inevitabile di qualsiasi manufatto tangibile – dell’opera d’arte rapportata ad un sistema confessionale non appare più ed esclusivamente il piacere estetico, quale complesso sistema culturale, ma fattore aggiuntivo con articolate valenze storiche e valori etici; in base e in relazione a questo nuovo contesto ambientale una diversa configurazione dell’opera richiede, anche nella stagione contemporanea, di essere attentamente valutata e compresa.

Sin dalla fase progettuale dell’opera, lungo il suo verificato sviluppo e la sua produzione, assistiamo alla necessità di un’apertura di confronto critico-interpretativo con la complessa natura ed il processo storico-culturale del sacro; gli spazi della comunicazione visiva subiscono inevitabilmente un orientamento e l’individuazione di un percorso, attraversano una successione rigorosa di passaggi, prima di conseguire, prima di maturare, uno stato estetico «consacrato». I fattori che poniamo oggi, e quindi anche in quest’occasione espositiva, alla base di un’estetica della consacrazione, dall’area della devozione popolare al percorso nell’interpretazione e nella testimonianza della fede, sono racchiusi all’interno e costituiscono la natura contemporanea dell’arte.

«Ogni arte degna di questo nome è religiosa. Ecco una creazione fatta di linee, di colori; se questa creazione non è religiosa non esiste. Se questa creazione non è religiosa, si tratta solo di arte documentaria, arte aneddotica… che non è arte» (Henri Matisse).

Stefano Pizzi e le Quindici Stazioni della Via Crucis

Chiave di lettura dell’opera di Stefano Pizzi è la stessa centralità significativa ed il valore profondo dell’ingenuità, che nello specifico si configura come dato di una religiosità e di una devozione popolare presente a tratti nel patrimonio storico dell’arte italiana e dell’arte lombarda del Cinque-Seicento in particolar modo; nella stagione contemporanea dell’arte, memore dell’originario patrimonio e degli approfondimenti già del Novecento, grazie alle acquisizioni dalla stagione pop, nel clima di rivisitazione della trans-avanguardia e del citazionismo-pitturacolta, Pizzi ha inteso riconquistare sotto il profilo antropologico-concettuale quei valori di ingenuità, quello spirito di semplicità proprio di ogni esperienza e manifestazione culturale popolare. 

L’opera di Stefano Pizzi, ed in particolar modo per ciò che riguarda i due frammenti dedicati alla XV stazione, con riferimento simbolico alle figure del coregos, della daduchia, del daducos della Via Crucis (Lc 24, 2-24; Mc 16, 1-8), risponde al progetto espressivo di rivisitazione dell’intero complesso iconografico radicato nella tradizione popolare, di ricollocazione nel tracciato della rivisitazione matissiana de ’48, e quindi di produzione di un sistema iconografico nuovo. Lo sviluppo processuale dell’esperienza ineluttabile e terrena della Croce, seguito attraverso l’articolazione dei frammenti, giunge ad una configurazione unitaria nel moto ascensionale della XV stazione; lo sviluppo espressivo dell’opera muove dal clima interpretativo delle omelie pasquali della fine del II secolo per avventurarsi verso l’area della «risurrezione», cioè verso un evento che, in sé, non ha avuto testimoni diretti o oggettivi (secondo la stessa tradizione evangelica; cf Gv 20).

L’obiettivo espressivo appare quello di configurare una verità della Via Crucis che risulti rispettosa attraverso la scissione logistico-spaziale tra l’unità storica delle quattordici stazioni e la Risurrezione (XV stazione), e che complessivamente miri a conseguire una sintesi che non può che essere soltanto allusa.

La Croce Astile di Roberto Priod

L’approccio antropologico, caratterizzante per la ridefinizione della cultura dell’arte del XX secolo, è il terreno di origine e di permanenza espressiva dell’attività di Roberto Priod; all’interno di questo vasto ambito esperienziale egli contestualizza il proprio spirito di ricerca e dettagliatamente opera nel più specifico ambito della cultura ambientale e materiale, nel territorio naturale e nei sistemi di insediamento e di funzione sociale.

Il percorso espressivo elaborato e predisposto da Priod in questi anni appare fortemente caratterizzato attraverso l’impiego di materiali e tecniche antiche; ogni manufatto artistico, dalla progettazione all’installazione spaziale, risponde alla responsabile necessità di una sperimentazione fondata sul principio di interazione ed integrazione tra i fattori di supporto, il legno e la terra, il ferro e la carta, e i processi di manipolazione, la piegatura e la cottura, la fusione e la comunicazione.

Esemplare appare la Croce Astile di Roberto Priod, la cui origine e il cui sviluppo espressivo nascono dal confronto e dall’adattamento tra i materiali e i simboli, tra le forme e le tecniche; il tema storico della Croce di Gesù Cristo, il valore simbolico di un’esperienza drammatica proiettata nelle stagioni dell’umanità, non risulta l’obiettivo imposto alla materia, ma la risultanza consequenziale di rapporti condotti dalla cultura dell’arte attraverso la natura, i suoi simboli e le sue forme, il travertino e il «monte», l’alto e il peso, il terreno e il legno, i rami e il calore, l’acqua e il colore.

Nel percorso di congiunzione «Fra il cielo e la terra», nel dialogo tra il movimento ascensionale e quello discendente, l’opera di Priod, frutto di un naturale confronto, libera intensa la sua tensione simbolica nell’incisiva valenza spirituale della leggerezza, in forma più armonica e gioiosa, a completamento e definizione della complessa «unicità» del simbolo della «Croce».

L’Ambone di Antonio Spanedda

Il percorso espressivo elaborato e predisposto da Antonio Spanedda può essere osservato all’interno del concetto antropologico di «territorio» sociale, dove si è inteso indagare le forme della comunicazione interpersonale; ha assunto particolare rilievo un lungo processo performativo strettamente collegato con i sistemi di produzione e di distribuzione, con i processi di acquisizione e di consumazione dei beni e dei valori.

Nell’ultimo biennio Spanedda ha spostato i propri obiettivi di ricerca all’interno di ciò che resta della «produzione» e della «distribuzione» nella contemporaneità del patrimonio confessionale; alla luce dell’esperienza metalinguistica acquisita, il territorio del sacro cristiano, le immagini e gli oggetti, le letture e le funzioni, appaiono ricondotte e ridefinite nei contenuti autentici e nelle origini storiche.

Sin dalla fase di progettazione Antonio Spanedda ha posto al centro del suo interesse interpretativo unificante, complesso e avvolgente, il tema e il valore della «casa di chiesa»; ha cercato cioè di osservare e vivere forme e funzioni iconografico-liturgiche all’interno e nel rispetto di un clima organico, sicuramente orientato nella ricerca dell’unità esperienziale dello spazio sacro, la chiesa quale Casa di Dio.

L’Ambone di Spanedda, attraverso lo sviluppo simbolico della casa attuato dalla presenza significativa del tetto, sembra così rispondere ad una unità superiore di valori attraverso la specificità della Casa della Parola, perché fossimo «chiamati a nutrirci del Pane di vita alla Tavola della Parola» (G. Boselli, monaco di Bose).

Gli apparati iconografici predisposti strutturalmente da Spanedda, le pareti e il tetto, determinano nell’unità dell’opera – la casa nella casa – e in un clima di estremo rigore compositivo, la compresenza e l’interazione di colore, di immagine e di parola.

Diocesi di Aosta maggio 2006

«Dedicata, donata, consegnata»

La mostra predisposta per la Diocesi di Aosta è dedicata alle radici della cultura cristiana nella valle e riconoscibili nel suo ricco patrimonio storico e significativamente raccolte ed emblematizzate nelle figure di Sant’Orso e di San Grato; al centro del progetto generale si è posta una volontà di ricerca tesa a ripercorrere e penetrare con valore di riappropriazione riflessiva i temi e i soggetti sui quali si è costruito il territorio simbolico della fede, ed è maturata una radicata stagione della devozione popolare.

La storia religiosa della Valle d’Aosta e il suo tessuto antico rimasto intatto e radicato sul territorio, ma anche la sua valenza antica in cui le testimonianze perdono la certezza dei contorni, hanno offerto occasione per tentare interpretazioni e compenetrazioni aperte alle più ampie sfumature della creatività; il lavoro teorico ed espressivo, di approfondimento e di progettazione, ha quindi mosso dalla persistenza del patrimonio culturale cristiano, dal «territorio» della devozione popolare, dall’originalità di un’esperienza religiosa collettiva che si è articolata tra il buio e l’isolamento, sin dalle origini e lungo la sua storia.

Seguendo lo sviluppo del progetto, costruito sulla percezione dei valori storici, analizzando le testimonianze e i racconti, cercando di rivivere e di riconoscere «eventi miracolosi» e forme di devozione tuttora preservate – ricordo il passaggio carponi sotto l’altare di Sant’Orso per la cura del mal di schiena, subito verificato da molti di noi – sono maturati negli artisti invitati ad intervenire intensi momenti di approfondimento e di compenetrazione.

La visita di Aosta, delle chiese e del priorato, lo studio del materiale storico raccolto e il confronto attento con monsignor Anfossi, vescovo di Aosta, e don Franco Levigno, vicario generale, hanno permesso agli artisti di lavorare per sensibilità e intuitività sulla memoria di eventi e di uomini, di santi e di miracoli, di cui in gran parte si è persa la certezza; è nato in questo clima intenso ma sfuggente un procedere creativo, libero dalle limitazioni dell’oggettività, e in grado di fornire un’emozione nuova e originale; ogni nuova opera nata da questo lavoro di ricerca appare oggi un frammento nuovo di una storia antica, il testimone evidente di un’esperienza religiosa che la comunità umana non vuole disperdere né dimenticare, dove ogni opera appare fonte di una nuova «luce» che sconfigge il buio dell’oblio, che riconquista lo spazio del miracolo creativo e della sacralità espressiva. In base a questi valori soprattutto di testimonianza antica dell’esperienza cristiana, è nato e si è configurato un progetto espositivo che si distribuisce sull’intero tessuto urbano e per la prima volta va a interpretare e a interagire con i luoghi consacrati della città di Aosta; nuove opere d’arte vanno a distribuirsi e ad articolarsi lungo un percorso espositivo individuato tra la Cattedrale e la chiesa di Sant’Orso, che riconsegna alla funzione teologica e liturgica la chiesa di San Lorenzo, che qualifica cromaticamente la Chiesa Nuova di Pila, e che inevitabilmente va a porsi in stretta relazione di fruizione, che mira ad incontrare non solo il giudizio estetico del visitatore ma forse l’esperienza personale del fedele.

Nel suo insieme e tra le diverse sedi il percorso predisposto suggerisce un articolato e complesso sistema di opere, di sculture e di grandi quadri, tanti «antichi libri» e documenti fotografici, vetri preziosi e ceramiche, caratterizzate dalla natura in regress dell’arte contemporanea verso le origini e la storia di un territorio e del suo popolo; ogni nuova opera nasce in relazione e si va a collocare all’interno del patrimonio artistico antico, in un tentativo di dialogo e di confronto con i sistemi iconografici depositati nella tradizione; si articola in un caleidoscopio di linguaggi e di grammatiche visive specifiche della contemporaneità, e con esse le diverse tecnologie di progettazione e produzione delle opere.

Museo del Tesoro della Cattedrale. Omaggio a Claudio costa e Antonio Paradiso

Opere di Claudio Costa, Alex Guzzetti, Antonio Paradiso, Sergio Alberti, Mike Meyke. 

Nel Museo del Tesoro della Cattedrale la collocazione di un piccolo numero di opere contemporanee svolge l’introduttivo ruolo di interpretare e di rilanciare, nella nostra stagione laica e tecnologica, il patrimonio protetto e «prezioso» della memoria, e quindi va ad interagire con la conservazione del «frammento miracoloso», adattandosi al clima di rispetto e di devozione; accanto ai reliquari e ai paramenti sacri di straordinaria fattura, in dialogo con gli argenti e le pietre dure, tra le sculture lignee e di pietra, protette dalle rispettive teche di cristallo, le opere antiche e moderne interagiscono, interferiscono, forse annullando la stessa concezione evolutiva del tempo e degli stili per riunirsi all’interno di un’inedita unità di sistema d’arte sacra.

L’installazione delle opere della contemporaneità – confermando, ad una percezione attenta e libera, l’intrinseca natura di un processo espressivo contemporaneo proiettato in regress nel patrimonio antropologico della società umana – rivela lo spazio aperto, svincolato dalle presunzioni del rigore scientifico, la forza evocativa dei linguaggi artistici, la natura intrinsecamente sacra della creazione espressiva.

La fruizione di alcuni «frammenti» posti tra la prima ed antica stagione del cristianesimo con quelli del presente rivelano l’importanza e il ruolo dello spazio sacro per la definizione della sacralità dell’opera stessa; accanto al processo di museologizzazione dell’opera, la collocazione in uno spazio conservativo sacro fornisce un valore aggiunto ulteriore alla definizione e alla funzione dell’opera contemporanea.

Alla luce di queste premesse per la definizione dell’arte sacra, ho potuto lavorare, scorporandole dal loro originario contesto di creazione, sulla possibilità utilizzare espositivamente e di far agire con il patrimonio storico alcune opere di Claudio Costa e di Antonio Paradiso; ho potuto tentare questo azzardo grazie alla collocazione espressiva di entrambi nell’area antropologico-etnografica dell’arte contemporanea, e al cui interno si riconosce una mirata attenzione e l’osservazione per i territori del sacro e per il patrimonio della devozione.

La collocazione di nuovi materiali plastico-iconografici con spiccato valore di reperto «antico» e testimone di una attenta cultura materiale ha permesso di provocare diverse forme di relazione con il patrimonio artistico del Museo; in ragione di un comune patrimonio di ricerche dedicate a forme primarie di cultura e di comunicazione sociale, ho inteso tentare un ideale rapporto di dialogo allargato tra comuni funzioni espressive e di continuità iconografica tra reperti in bilico tra raffinate archeologie, frammenti di antichità ed enigmatiche porzioni di una realtà nella sua nuova dialettica unità; non è più museo ma torna ad essere una realtà del presente.

All’interno di una riflessione critica dedicata alle problematiche dell’arte sacra e alle questioni di relazioni con le funzioni liturgiche e i valori ambientali della spiritualità, avevo già scelto di esporre un grande libro di Claudio Costa, scomparso nel 1995, sull’altare della Madonna di Caravaggio nell’Oratorio di San Rocco a Rivergaro presso Piacenza; rispetto a quell’opera suggestiva caratterizzata dalla funzione d’uso della lettura nella preghiera, il Cassetto del Medioevo del 1984 appare testimone significativo di quella cultura artistica contemporanea attenta interprete del trovare e del raccogliere, del conservare per reinterpretare il frammento della realtà ricollocandolo nel processo della storia.

In un clima espressivo dedicato ai valori della terra e della cultura materiale si colloca la collezione di Semi realizzati in pietra di Trani da Antonio Paradiso nel 1993; anche in questo caso l’opera d’arte appare reperto antico e testimone nel presente del rapporto arte-vita, in grado cioè di collocarsi come ponte di relazione degli eventi storici e dell’esperienza umana a diretto contatto con i frutti delle terra – «lavorava manualmente, sminuzzando la terra col rastrello, e piantò con le sue stesse mani».

Alex Guzzetti, affascinato sin dal primo incontro con le preziose testimonianze liturgiche e devozionali del Tesoro della Cattedrale, ha scelto di agire sul senso del patrimonio conservato, sulle sue funzioni e i suoi simboli; nelle teche del Museo trova oggi collocazione una nuova patena e il calice in cristallo. L’artista ha lavorato in particolar modo sul valore intenso – «mistero della fede» – racchiuso nel simbolo funzionale del calice, al cui interno matura l’evento miracoloso nato dall’unione dell’acqua e del vino – sant’Orso «piantò con le sue mani una vigna… chiunque fosse provato da qualsiasi malattia, ma con fede avesse bevuto il vino di quella vigna, se Cristo l’ordinava, tornava sano».

Trovano ancora collocazione conservativa il progetto-collage, severo e rigoroso, della Croce Astile di Sergio Alberti, la cui realizzazione lignea trova posto nella chiesa di San Lorenzo, e un documento manoscritto, segnato dalla dura sofferenza di una redazione lacerante, del tedesco Mike Meyke, in cui si ipotizza e si rivive un «inedito» rapporto epistolare tra sant’Ambrogio e san Grato, patrono di Aosta.

Nel Chiostro e nella Collegiata di Sant’Orso 

Le opere di Roberto Priod, Italo Chiodi, Adriano Altamira, Marco Pellizzola, Alex Guzzetti, caratterizzate complessivamente da un forte carattere plastico e d’installazione concettuale, documentano i risultati di un’ampia e articolata indagine dedicata alla figura «mistica» di sant’Orso, ne rivisitano la storia e ne reinterpretano la memoria e il patrimonio di esperienze «miracolose» conservate nella storia artistico-architettonica della città e ancora viva nella memoria collettiva della Valle; cercando tra le poche «tracce» iconografiche conservate, particolarmente nei capitelli del Chiostro della Collegiata, e tra i documenti storici dedicati alla storia del santo, in particolar modo utilizzando un manoscritto della seconda metà del IX secolo, gli artisti e le opere elaborate tentano di recuperare e di rilanciare nella sensibilità e nella reazione interpretativa il valore e l’attualità di quell’esperienza .

Nel Chiostro di Sant’Orso

In questo clima di ricerca e di rivisitazione Roberto Priod ha elaborato e quindi prodotto un’opera monumentale, complessa sul piano tecnico e polimaterico destinata ad agire con forza interpretativa sullo spazio severo e rigoroso del Chiostro e in stretta relazione visiva con il colonnato e i processi narrativi dei capitelli; nella severità dello spazio architettonico, tra le misure contenute del tracciato e le ridotte altezze, in un rapporto di frattura con una diffusa oscurità che l’avvolge, si eleva l’eleganza classica de Il Riflesso del Cielo. Ogni elemento formale posto in gioco da Priod sembra vivere nell’opera ed esaltarsi all’interno della collocazione e installazione, una vivace duplicità simbolica.

La portata e la forza di penetrazione della «luce» sul buio appare il primo tema teologico estrapolato dalla vita di sant’Orso – «… E quando, di notte, perlustrava i luoghi dei Santi, armava la sua fronte con il vessillo della croce, prostrato davanti alla soglia dei Santi: immediatamente si aprirono l’ingresso e i chiavistelli del tempio» – e intensamente riconoscibile appare nella colonna marmorea dichiarante la sua classicità mediterranea e ancora rafforzata dal grande piatto, posto alla sommità e riflettente il «cielo» nella superficie d’acqua piovana. Accanto e in stretta  relazione ai valori d’illuminazione, attraverso al testimonianza e l’esperienza della fede sulla terra, l’intervento di Priod offre testimonianza della cultura della natura e dell’attenzione all’energia del «creato», espressa nelle semplici funzioni quotidiane e dai miracoli del santo. «L’uomo di Dio, quotidianamente, secondo l’affermazione dell’Apostolato, lavorava manualmente, sminuzzando la terra col rastrello, e piantò con le sue stesse mani una vigna…»; in questo contesto la colonna diventa fusto e albero, il piatto si fa strumento del «dono» del cielo per la raccolta dell’acqua e dell’offerta dei «semi-frutti (più vicini alle rielaborazioni della scultura organica che alla citazione botanica), dorati dal sole, si sviluppa, grazie alla trasformazione-decomposizione di alcuni di essi, un germoglio di speranza, a celebrazione del “creato” quale manifestazione di forza e di bellezza» (Roberto Priod).

Nella Collegiata di Sant’Orso

Gli interventi di Marco Pellizzola, Italo Chiodi, Alex Guzzetti e Adriano Altamira si distribuiscono direttamente all’interno del palazzo della Collegiata raggiungendo lo Scriptorium e l’elegante cappella quattrocentesca; quattro e distinti interventi ancora dedicati alla storia del santo che, caratterizzandosi attraverso uno sviluppo e un’articolazione nello spazio della comunicazione estetica, suggeriscono una fruizione per frequentazione, creano attraverso l’attraversamento una percezione non solo visiva ma anche sensoriale e quindi interiormente assai più attiva.  

La rivisitazione creativa condotta da Marco Pellizzola sulla storia e sugli avvenimenti che hanno determinato l’esperienza di sant’Orso punta direttamente attraverso il disegno e la fusione in bronzo sull’iconografia tradizionale e quindi sul rapporto tra l’uomo di Dio e gli uccelli, i suoi inseparabili compagni con cui spartiva il raccolto del suo campo – e «come non fossero selvatici ma domestici, si appollaiavano sul suo capo e sulle sue mani»; in primo piano infatti, ma all’interno di uno spazio protetto – di una garritta-confessionale-cappella ed altare – l’artista pone il grande merlo al quale è affidato, in un clima di ossequioso silenzio, forse di ascolto e di comunicazione, quella «metafora della natura e dell’immortalità dell’anima, ricorrente nella mia poetica, che mi avvicina alla storia di sant’Orso». 

Su un piano metodologico del tutto diverso si pone Italo Chiodi nel confronto con la figura di sant’Orso; parte cioè da un processo di contaminazione e quindi di offerta del proprio lavoro ai temi e all’esperienza, alla testimonianza di fede nella quotidianità delle mansioni e in rapporto alla natura del suo territorio; l’artista bergamasco consegna e installa all’interno della Collegiata un ciclo di opere realizzate con il patrimonio naturale e dedicate ai temi della terra, centrate sul rapporto tra l’esperienza umana e il creato; ogni opera e l’insieme avvolgente dell’istallazione, l’uniformità cromatica dei materiali, l’attenta ed essenziale conduzione simbolica degli eventi, la tensione spirituale che specifica un atteggiamento espressivo antropologico permettono di riconoscere, anche in questo caso, lo stato di comunione, il ruolo di continuità tra l’esperienza dell’uomo-santo e la storia dell’uomo-artista.

Supportato dalla tecnologia del vetro soffiato, della luce e dei circuiti elettronici sonori e luminosi, Alex Guzzetti rivisita – riconoscendo una comunanza di atteggiamento con l’esperienza di meditazione zen: «isolati dalle distrazioni del mondo e troverai te stesso» – la leggenda del cavallo, e interpreta la parabola elaborata dal santo: «prega e scoprirai che il cavallo è quello su cui ti poni»; nell’installazione ambientale i valori simbolici – il cavallo e gli uccellini – agiscono in diversa misura sulla percezione visiva e sonora al fine di raggiungere il ricordo di un «uomo di Dio… mansuetissimo, come un agnello, semplice nel volto, ma pronto nell’opera di Dio, secondo quel che il Signore dice ai suoi discepoli: Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe».

La riflessione espressiva di Adriano Altamira prende spunto dalla percezione della presenza del santo ancora all’interno della Collegiata, e in particolar modo attraverso l’incisiva intensità iconografica di un’ombra presente, già prodotta dalla tenue illuminazione delle candele, nella cripta sottostante l’area absidale; l’elaborato fotografico, attraverso cui agisce l’artista, appare strumento che pone in evidenza l’evento presenza-assenza dell’ombra, immateriale ma percepibile lungo l’asse esperienziale del ricordo, ma che ancora ne sottolinea la cultura e il culto, che ne diffonde, attraverso la moltiplicazione, il patrimonio spirituale.

Scriptorium. Grandi Libri d’Artista per Sant’Orso

Mario Benedetti, Barbara Giorgis, Mauro Marcenaro, Angela Occhipinti, Adele Prosdocimi, Antonio Spanedda, Paolo Quattrone, Elena De Prezzo, Carmine Sabatella, Paola Piazza, Fausto Migneco, Stella Degradi, Silvia Tamburrelli, Camilla Marinoni, Susanna Roda, Giuditta Margnelli, Mariella Provera, Heara Lee, Chiara Pozzi, Maria Valentinis, Mauro De Carli, Daria Giussani

Un inedito Scriptorium, proiettato con una vista a 360 gradi sulla città e sul paesaggio alpino, ospita trenta grandi Libri d’Artista dedicati a sant’Orso; lungo un percorso culturale che guarda alla memoria antropologica della società umana, trovano spazio straordinario nella stagione contemporanea l’antica memoria del libro illustrato a mano, del volume unico nato da una creatività sperimentale in cui parola e immagine si fondono  attraverso un nuovo territorio di riflessione e di partecipazione poetica.

Anche la realizzazione di questi grandi libri dedicati, generalmente pezzi unici o a limitata tiratura, sono stati occasione di una lunga esperienza di rielaborazione culturale e iconografica, che nella fase di progettazione e composizione non può non qualificarsi sul piano della meditazione, cioè nel territorio della riflessione intima e privata sulla quale si base l’esperienza del «diario», della trascrizione poetica della quotidianità e del sogno. 

Se la stagione di sant’Orso appare lontana e avvolta nelle nebbie della devozione, la raccolta e l’esposizione aperta, la possibilità offerta al fruitore di «sfogliare e viaggiare» personalmente tra le pagine di un grande caleidoscopio iconografico, di riconoscere in parte ma anche disponendosi a perdersi con atteggiamento sensibile, deve essere riconosciuta un’esperienza profonda e forse sacra dell’arte contemporanea.

Accanto e in rapporto di stimolante reciproco arricchimento con le pagine dei giovani studenti-artisti di Brera, appare il rigore simbolico-protettivo della croce per una pagina di intensa esperienza aformale elaborata da Mario Benedetti; si impone, dettato da un’esperienza iconografica forte, caratterizzato da un segno plastico intenso, il libro-scultura di Angela Occhipinti; affiorano dal buio e dal silenzio della preghiera, della concentrazione spirituale i fermenti narrativi di Barbara Giorgis, – «nella sua bocca non si trovava mai altro che pace, pazienza, umiltà, misericordia in misura più che umana». 

Parole e un clima che Antonio Spanedda sottoscrive per questo nuovo lavoro dedicato al ciclo dell’Uomo giusto, originato dal Volto Santo, elaborato attraverso la diffusione dell’icona, distribuito dalla circolazione del libro sonoro. 

Rivisita il patrimonio iconografico attraverso un processo narrativo ricco, gioca in libertà, interviene con responsabile gioiosa creatività Mauro Marcenaro nell’impaginazione del suo libro; condotto con rigore analitico sulla successione degli eventi simbolico-formali, si sfoglia in costante arricchimento per sovrapposizione il volume «luminoso» di Adele Prosdocimi.

Chiesa di San Lorenzo

William Xerra, Renata Boero, Francesco Correggia, Stefano Pizzi, Clara Brasca, Fausto Migneco, Paola Piazza, Stella Degradi, Silvia Tamburelli, Franco Marrocco, Alberto Gianfreda, Paolo Quattrone, Sergio Alberti

La chiesa di San Lorenzo, da tempo sconsacrata e utilizzata per le attività espositive, torna attraverso la progettazione e la collocazione delle opere contemporanee alla sua originaria funzione; San Lorenzo torna chiesa, e appare improvvisamente riconsegnata e «riconsacrata» dalla cultura artistica alla liturgia. Ogni opera, specificamente caratterizzata dalla duplice natura di valore estetico e di azione funzionale, reintroduce, tra l’evidenza iconografica e la suggestione aformale, l’antica relazione tra arte e fede. Lo spazio espositivo, tornando, anche se per un periodo limitato, alle sue originarie funzioni, appare predisposto, attraverso una nuova progettazione estetico-ambientale, ad una frequentazione orientata al confronto e alla verifica, ed è in questo stesso contesto che la figura del visitatore appare ridisegnata e riorganizzata non solo sul terreno dell’arte ma anche su quello della cultura religiosa cristiana e dell’esperienza spirituale.

Al centro dell’aula liturgica ed in asse tra l’ingresso e l’abside si collocano con nitida e intensa valenza simbolica due importanti sculture; per le due opere i valori analitico-modulari della forma, lo stato di tensione e di energia implosi nella gestione progettuale dei diversi materiali, l’acciaio e il legno, appaiono i dati estetico-strutturali specifici di una ormai radicata cultura della scultura contemporanea. Su questa base metodologica, cioè sull’appartenenza originaria dell’opera al sistema dell’arte e in ragione di un patrimonio linguistico-visivo elaborato e verificato all’interno della ricerca espressiva (di cui sono significativa testimonianza anche le due acquasantiere in ceramica policroma di Stefano Pizzi) e solo successivamente all’acquisizione di questa base di esperienza, possiamo andare ad osservare la presenza nelle opere di una valenza non solo estetica ma anche funzionale, di una specificità simbolico-liturgica. All’interno di questi rapporti riconosciamo cioè la definizione di una scultura minimale posta in relazione con la liturgia della parola per l’ambone in acciaio di Paolo Quattrone, sacerdote e artista, ma percepiamo anche nelle concettuali tensioni del disequilibrio, nel controllo delle energie, l’altare di Alberto Gianfreda. Anche la Croce Astile di Sergio Alberti e i suoi progetti del Fonte Battesimale sono significativamente conseguenti ad una cultura espressiva che lavora sugli spessori dolorosi della superficie, sul valore della frattura della materia, sulla perdita per desertificazione dell’habitat e forse anche nel terreno simbolico del «distacco» dalla croce. Nell’abside della chiesa trovano collocazione tre distinti interventi pittorici dedicati alle figure di san Grato, primo vescovo e patrono di Aosta, e ai successivi vescovi Gallo e Agnello; l’intervento di memoria espressiva condotta da William Xerra, Renata Boero e da Francesco Correggia ha per tutti origine dall’osservazione, nella sottostante area archeologica basilicale, delle tre grandi lapidi tombali in marmo. Nei tre distinti interventi, la pittura si fa non più strumento di descrizione, indefinibile è la memoria iconica dei soggetti, ma fattore di evocazione, cioè di un linguaggio che negli spazi della materia rappresa o nella sua incontrollabile liquidità, si insinua nei meandri della poesia, configura testimonianze lontane nei secoli, intuisce e rivela «immagini» immerse nel silenzio e nell’oblio per tornare ad essere valori del presente. La parete di destra appare dedicata al patrimonio iconografico storico e della devozione popolare, cioè idealmente a quell’immenso patrimonio espressivo che ha costruito la parte preponderante della storia dell’arte e dato volti e costumi alla storia dei santi, eventi e miracoli alla letteratura teologica. A san Lorenzo, a cui è dedicata la chiesa, e alla sua consolidata iconografia, è dedicata la tela di Stefano Pizzi; si tratta di un nuovo quadro e quindi di un nuovo tassello espressivo nel lungo percorso di osservazione e rivisitazione condotto dall’artista milanese sul ricco patrimonio degli angeli, dei santi e tra le diverse variabili della Vergine Maria. Anche questo nuovo lavoro – nato dopo il polittico dedicato alle XV stazioni della Via Crucis per la chiesa di San Lio – Biennale di Venezia del 2005 – si colloca all’interno ed è il risultato di un processo di selezione nell’iconografia del santo, ed è lungo questo percorso che la pittura acquisisce quelle suggestioni cromatiche, in questo caso attutite, ma in altre occasioni in accentuazione, in grado di fornire un’icona popolare, rispondente ai valori di un gusto medio e diffuso, che sfugge attraverso il valore concettuale della citazione, che rifiuta il territorio della perfezione e della bellezza per essere immagine di tutti. Nell’ambito della rivisitazione iconografica, ma con un approccio interpretativo rarefatto, con una volontà di invenzione attenta e analitica, e quindi ponendosi nella ricerca e nell’arricchimento dell’iconografia mariana, si colloca il ciclo prezioso alla Maria Vergine Incoronata di Clara Brasca; attraverso la composizione di un ciclo di quattro opere l’artista appare interpretare alcuni processi di ripetizione, con minime variabili simboliche, dell’icona, e sembra interessata ad acquisire e ad esporre i valori psicologici propri del sistema della ripetizione e dell’insistenza. Le quattro tele dedicate alla Madre di Dio appaiono inserite all’interno di un’estetica concettuale e quindi sintomatiche di una comunicazione dei processi di invocazione e di preghiera propri di ogni religione. Lungo la parete di sinistra trovano collocazione e sviluppo le quattordici stazioni della Via Crucis, e un grande dipinto di Franco Marrocco nella forma di una pala d’altare e predella dedicata alla Risurrezione. La Via Crucis è il tangibile risultato espressivo di una più ampia indagine realizzata da Fausto Migneco, Paola Piazza, Stella Degradi, Silvia Tamburelli sul patrimonio di archeologia urbana della città di Milano; le quattordici stazioni sono il risultato di un processo di estrapolazione dall’ampia documentazione dedicata alle realtà architettoniche che ancora ruotano intorno alla città, e sulla cui base il gruppo di lavoro ha proceduto al recupero progettuale e alla riconversione di alcuni capannoni industriali in relazione ai valori e alle funzioni di una «casa di chiesa» previsti dalla commissione «Nuove Chiese» dell’arcidiocesi. Da questa indagine e dal vasto materiale fotografico è nata una Via Crucis che conferma il suo valore di memoria e di testimonianza sofferta dall’interno, oggi silenzioso e muto, della storia del mondo del lavoro nel XX secolo. Ha lavorato sull’indefinizione iconografica della Risurrezione e quindi sulle dimensioni escatologiche del percorso processuale Franco Marrocco, per concepire, attraverso la tensione analitica della pagina pittorica, il rapporto ascensionale tra il territorio oscuro della predella e l’esperienza di luce della pala d’altare; nasce dalle tracce del racconto evangelico un’opera difficile, ma con valore di testimonianza di un processo espressivo fondato sull’analisi sensibile e sulla creatività introspettiva; si afferma sulla percezione attenta del sacro una Risurrezione iconograficamente inedita ma caratterizzata da una estensione concettuale dei valori spirituali attraverso la forza della trascrizione e del segno, della scrittura e della volontà di comunicazione insita e vitale all’interno di quell’Alito abbagliante di luce.

Pila, chiesa dedicata a san Lorenzo

Il «colore e la parola» di Francesco Correggia

Nella chiesa dedicata a san Lorenzo si apre e si chiude idealmente il progetto; all’interno del progetto generale l’intervento espressivo a carattere stabile di Francesco Correggia, cioè permanente all’interno dell’aula liturgica della chiesa di Pila, e quindi per una fruizione estetica proiettata nel tempo, assume una particolare importanza; a duemila metri di quota il moderno edificio di chiesa vede infatti l’installazione di un ampio ciclo pittorico dedicato al rapporto intellettuale e quindi al valore di «illuminazione» scandito dall’incontro tra la «parola» e il «colore».

Alla luce di un precedente intervento espressivo fondato sull’intensità simbolica dell’elevazione spirituale attraverso le dissolvenze ma anche la forza evocativa del colore nel prezioso coro dell’Oratorio settecentesco di San Rocco a Piacenza, il nuovo ciclo pittorico predisposto da Francesco Correggia affronta e risolve con un processo in estensione della superficie pittorica l’ampio spazio dell’aula liturgica.

L’artista predispone, cioè, l’estensione, sulla grande parete a nord-est, di uno spazio ipogeo, di cinque grandi pagine di pittura caratterizzate da un sistema stratificato ascendente/discendente di colore; ogni pagina policroma vede all’interno di questa stratificazione anche l’iscrizione di un frammento tratto dalle Sacre Scritture. La natura dell’intervento appare interpretativa dei processi lenti di illuminazione della Parola di Dio, dove l’illuminazione non appare bagliore improvviso ma ricchezza nel gioco delle ombre, dove cioè la luce si configura nei processi d’interpretazione; così che, quando ai bianchi seguono i grigi ed alle variabili presenti nella “traduzione “ e nel commento, avvertiamo di stare all’interno della tradizione ebraica e difronte alle incognite nella lettura della Torah.

Un intervento pittorico che, inserendosi in un rapporto di relazione e di continuità con la Cappella del Santo Rosario di Matisse e di Rotko a Huston, interpreta i valori e le funzioni dello spazio di chiesa, e forse risponde alle attese di concentrazione spirituale e di immersione nella materia teologica …mentre nel cielo d’alta montagna si muove lento un ampio fronte nuvoloso e un improvviso raggio di sole lo trafigge.

Piacenza. Dicembre 2006

Disseminazione

Non parleremo di una mostra d’arte, escluderemo, per la natura particolare del tema che ci siamo posti, la riflessione iconografica aperta sulla vitalità del patrimonio religioso cristiano, non ci nasconderemo tra le pareti sicure, acriticamente avvaloranti di un museo e di un quartiere fieristico, ma andremo ad incidere con la responsabilità dell’uomo di oggi, credente e non, nel luogo di culto, nella «casa di chiese», accanto ai banchi dell’aula e in una cappella laterale più che accanto all’altare, accanto ad altri quadri e affreschi e quindi ad artisti-colleghi di precedenti epoche, in un clima di confronto e di crescita anche vicino all’aggiornamento in progress dei  nuovi straordinari santi e beati di un martoriato XX secolo.

Monsignor Luciano Monari, vescovo di Piacenza-Bobbio, già nell’estate del 2003 riconobbe che la presenza dell’arte contemporanea all’interno dell’Oratorio di San Rocco a Rivergaro (La funzione e la riflessione, Edizioni Raccolto, 2003) non si configurava secondo il tradizionale sistema dell’attività espositiva, ma rispondeva ad un processo intellettuale dell’artista teso al raggiungimento della valenza sacra, alla natura spirituale del luogo consacrato dalla preghiera e dalla devozione popolare; la distribuzione delle nuove opere nell’Oratorio, la loro quasi mimetizzazione all’interno del patrimonio iconografico preesistente, escludendo l’atto del mettersi in mostra con forza, nasceva dal tentativo di arrivare al sacro attraverso una sorta di immersione all’interno del processo di affermazione del patrimonio storico dell’arte sacra.

Si trattò infatti, e constatammo, insieme che il valore di quel primo tentativo con il quale riaprire un dialogo tra arte e chiesa cattolica voleva essere un’esperienza reale e profonda, nuova rispetto alla cattiva tradizione della più diffusa «arte sacra», rifondata sulla cultura della contemporaneità rispetto a quella citazionista della tradizione.

L’organizzazione di questo progetto risponde e riprende, fa tesoro di quella prima esperienza, e oggi vuole ancora interpretare nuove riflessioni suggerite con limpida attenzione da monsignor Monari; in occasione di nuovi incontri percepii con grande interesse non solo l’attenzione e la curiosità per i possibili risultati di una volontà di ricerca espressiva, ma soprattutto il desiderio e la volontà di «seminare» la parola di Dio, l’esperienza della fede attraverso l’arte di oggi.

Accanto all’immagine del «pastore» si andò a collocare quella straordinaria del «seminatore», di quel gesto che distribuisce un nuovo seme, che non vede cioè la chiesa solo impegnata nella faticosa opera di conservazione e restauro del patrimonio storico, ma proiettata nella vitalità del presente attraverso una nuova «pastorale dell’arte».

Ponendomi in stretta relazione con questa preziosa intuizione del vescovo, ho potuto elaborare e predisporre l’articolata natura progettuale dell’Arte Cristiana Contemporanea, e nello specifico per la Diocesi di Piacenza-Bobbio una «Disseminazione» dell’arte contemporanea sacra sul ricco tessuto di chiese e di basiliche, di parrocchie e di oratori e confraternite individuato da don Giuseppe Lusignani nella vasta Diocesi di Piacenza-Bobbio.

La predilezione per le chiese storiche, poste soprattutto nel centro storico, risponde alla necessità di avere un circuito facilmente raggiungibile da un fruitore errante e quindi non solo ristretto all’unità della parrocchia; questo dato, se limita l’esperienza e il confronto con l’architettura contemporanea – ma si è inserito su questo versante un intervento sulla chiesa recente del Preziosissimo Sangue – e quindi può apparire un limite del progetto, presenta in realtà caratteristiche di elaborazione critica ma anche di riflessione e produzione espressiva del tutto diverse.

Lo spostamento dal centro verso la periferia, dalla qualità e dai valori del patrimonio storico verso la diffusa povertà iconografica, il frequente stato di inquinamento ambientale dell’architettura, i problemi gravi di adeguamento presenti nell’architettura di chiesa delle periferie, comporta la necessità di interventi espressivi di più ampia portata, spesso strutturali, atti a riqualificare sostanzialmente l’assenza del presente; ma d’altra parte sul terreno nuovo della «casa di chiesa» si avverte la presenza forte e originale di una comunità di credenti che attende e che deve partecipare, con la quale l’arte contemporanea deve aprire il confronto, con la quale gli artisti contemporanei, per una specifica cultura della comunicazione, hanno necessità di apprendimento, di reperimento di idee, acquisizione di suggerimenti e di suggestioni.

Potrebbe essere l’obiettivo ideale di questo percorso, forse l’aspirazione o l’inconscio desiderio di dare attraverso queste opere, collocate con valore di presenza riflessiva nella «casa di chiesa», così strettamente a contatto con la liturgia e con la preghiera, un senso tangibile al desiderio di spiritualità, al valore della spiritualità nell’esperienza umana.

Un percorso in cui l’arte sacra, attraverso gli artisti della contemporanea, per sua natura specifica, perché ricostruita sui processi analitici del linguaggio visivo, rifondata sulla struttura progettuale dell’esperienza espressiva, tenta, nel rapporto stretto con il luogo consacrato, nel dialogo con l’assemblea riunita e nel colloquio intimo con il credente, di dare corpo al «senso qualificante, essenziale dell’uomo, che è la sua spiritualità. L’uomo contemplando l’arte e la sua bellezza, vi si abbandona come alla sollecitazione delle sue elevazioni più genuinamente umane, cioè spirituali; e perciò sente e trasmette l’incanto della spiritualità purissima, Dio, che di ogni spiritualità creata è origine e fine» (Giovanni Paolo II).

Dalla «disseminazione» all’adeguamento attraverso le tappe di un percorso

Rispetto al tradizionale sistema espositivo dell’arte sacra, sostanzialmente confermato anche in tempi recenti attraverso iniziative discutibili nei contenuti e nella prassi, deboli nella sostanza progettuale e nei valori formali, testimoni di uno sforzo di dialogo ma sostanzialmente caratterizzate da un rigido clima di auto-referenzialità, il percorso predisposto per «disseminazione» nel tessuto urbano di Piacenza e con valore emblematico in alcune chiese della diocesi, non può essere riassunto ma si apre ad una fruizione assolutamente individuale.

Ogni opera, ogni libro, tra le sculture e le carte progettuali, si pone infatti all’interno di uno spazio, la chiesa, di per sé già caratterizzato da una sua storia, arricchito da una successione di stili, dalla sovrapposizione nel tempo delle opere e con questo patrimonio apre un dialogo, si confronta in una fruizione attenta e sensibile; ogni nuova opera è il frutto autonomo di un processo espressivo che conosce comunque nella sua concezione e nella sua produzione il clima tematico e si arricchisce dello spessore problematico intimo di questa collocazione.

All’azione di introduzione di un nuovo evento estetico all’interno di una «macchineria» scenografico-liturgica, ritengo importante attribuire il valore, il peso strutturale dei processi di adeguamento della chiesa post-conciliare; sarà adeguamento non solo quindi la riprogettazione, peraltro indispensabile, dell’assemblea in un diverso e più attivo rapporto con l’altare, l’ambone e la presidenza; sarà adeguamento l’interpretazione attenta di una cultura della devozione costruita attraverso opere e strumenti, simboli e forme; sarà adeguamento, cioè, il linguaggio dell’arte contemporanea nella sua prolifica ricchezza linguistica e con il suo alto grado di ricerca aperta nello spazio consacrato della chiesa.

La concezione allargata di adeguamento appare oggi un veicolo straordinario di riaffermazione del rapporto antico tra arte e religione cristiana e di ricucitura operativa di fronte e nei confronti di valori comunque radicati nella cultura sociale, a tratti anche di riscoperta – le antiche pale d’altare e i quadretti della devozione – e di riaffermazione di peso e significato intenso – i libri sacri, le vetrate e i vecchi santini.

Attraverso questo progetto, alla luce di approfonditi studi e verificate ricerche, non un Dipartimento, ma in parte la stessa Accademia di Brera, la più grande università dell’arte d’Europa, si scopre impegnata in un processo sperimentale di adeguamento estetico-liturgico di dimensioni urbane, di radicamento nella complessità ecclesiale di una diocesi importante, ma inevitabilmente con valore proiettabile verso più ampie geografie.

L’intero progetto Arte Cristiana Contemporanea, iniziato nella chiesa di San Lio per intuizione di don Caputo, sviluppatosi ad Aosta con don Quattrone, a Ivrea con don Tocco e a Piacenza con don Lusignani, esprime oggi con chiarezza questa volontà di adeguamento per «disseminazione» dell’arte contemporanea.

Diocesi di Piacenza-Bobbio

Sala delle Colonne

 

Maria Valentinis, Ritratto di S.E. il vescovo di Piacenza • Maria Stella Tiberio, Ciclo dedicato ai Salmi • William Xerra, Santa Lucia

Dall’interno del Palazzo Vescovile di Piacenza prende avvio un percorso di disseminazione e nella Sala delle Colonne si confrontano tre momenti espressivi tanto diversi ma che possiamo legare insieme con valore e portata emblematica dell’intero progetto; il ritratto di monsignor Monari riafferma quanto si è segnalato anche in questo intervento, e cioè il peso intuitivo del vescovo nella definizione delle linee guida del processo creativo; la Valentinis ha elaborato, inserendosi nel solco della tradizione della «galleria dei ritratti», una visione iconografica in cui interagiscono valori antichi e suggestioni linguistiche di oggi, in cui simboli e testo, immagine e colore suggeriscono la tensione nella continuità del ruolo e del messaggio pastorale.

La grande Santa Lucia di Xerra è l’opera dalla quale nel 2003, come si è segnalato, si è avviato questo percorso di studio e di ricerca nel territorio del sacro: il risultato continua ad essere corrispondente con la centralità del linguaggio visivo ed in esso torna a rintracciare pienamente i risultati di un’azione di confronto tra la presenza e l’assenza, l’emozione e la realtà, tra il valore effettivo ed il processo; della Santa Lucia, sia della donna sopravvissuta al lungo processo storico che a quel suo ritratto originale oggi trafugato, rimane il flebile ma compito ricordo nell’azione di ‘spolvero’ della pittura, così che la sua evanescenza suggerisce il ricordo e quindi ne segnala una presenza ideale e propria di un atto di fede. 

Ancora il valore iconografico della scrittura caratterizza il percorso di comunicazione segnico-progettuale della Tiberio; la giovane artista piacentina, elaborato un ermetico vocabolario tra lettere dell’alfabeto e numeri, ripercorre lungo lo sviluppo di venti fogli il ciclo dei Salmi svelandone una nuova, inedita valenza estetica.

Duomo

Michele Bozzetti, Calendario dei Santi • Fausto Migneco, Silvia Tamburrelli, Omaggio al beato Giovanni Battista Scalabrini

All’interno della maestosità architettonica e nella vivacità policroma del suo patrimonio artistico trovano collocazione due sistemi espressivi completamente diversi; nella ricchezza segreta della cripta, tra i ripiani di antichi sepolcri, Michele Bozzetti posiziona con valore di assonanza uno straordinario Calendario dei Santi, religiosamente costruito con trecentosessanta cartelle, trecentosessanta scatti – uno al giorno dedicato al santo del giorno – e trecentosessanta commenti diversi. Un patrimonio teologico e liturgico, di devozione e di religiosità popolare, riattraversato dal valore di documentazione specifico della cultura contemporanea.

Figura importante nella storia della chiesa italiana e in quella piacentina, il beato Giovanni Battista Scalabrini è fatto oggetto di rivisitazione nell’iconografia tradizionale da Migneco e di reinterpretazione nell’impegno pastorale verso l’esperienza drammatica dell’emigrazione nell’installazione della Tamburelli.

Chiesa di San Savino

Fausto Migneco, Stella De Gradi, Silvia Tamburrelli, Progetto di adeguamento dell’aula liturgica • Italo Bressan, Pala dedicata a san Savino • Franco Marrocco, Pala dedicata alla RisurrezioneRenata Boero, Pala dedicata all’epistolario tra sant’Ambrogio e san Savino • Elena De Prezzo, Santino dedicato a san Savino • Marco Pellizzola, Installazione dedicata al «viaggio» di sant’Orso verso Roma

In San Savino si concentrano due esperienze importanti di adeguamento; attraverso un vero e coraggioso progetto di adeguamento il gruppo di lavoro Migneco-De Gradi-Tamburrelli, coordinato dall’architetto Premoli, tenta, attraverso la collocazione di un «pontile» in cristallo, la soluzione per tornare a collegare il presbiterio con l’assemblea, riunita oltre la grande scala scalabriniana di accesso alla cripta.

Di grande impressione tra le due navate laterali appare la presenza aniconica di tre grandi pale.

Alla Risurrezione è dedicata una grande tela, quale seconda tappa espressiva condotta da Franco Marrocco sul suggetto, in cui il tema della luce, imponendosi sulla notte dell’umanità, si fa materia del pensiero e territorio della speranza; organizzata, con valore simbolico tra il livello di terra e la proiezione e lo sviluppo del cielo, tra la dura e oscura realtà del pianeta ed uno stato di luminosità avvolgente, la grande pala di Marrocco appare indicativa di quanto la pittura contemporanea, nella sua accezione aniconica, sia in grado di indagare e comunicare i valori di una esperienza percepita e vissuta attraverso il mistero della fede.

Una pala dedicata da Italo Bressan alla figura di san Savino si caratterizza attraverso la forza del colore: l’intensità psicologica e acida della scala dei rossi si impone sull’aula liturgica, facendosi interprete della  memoria del santo, della sua lontananza storica trasformata in presenza spirituale; il colore, condotto tra liquidità e consolidamento, fluido verso l’elevazione e la ricaduta, conduce il fruitore in un percorso di sprofondamento oltre il tempo e verso un’esperienza intima e profonda.

Nasce da un lavoro inedito di confronto tra Renata Boero e don Marco, parroco della chiesa, una rilettura dello scambio epistolare tra san Savino e sant’Ambrogio, vescovo di Milano – un’esperienza espressiva diversa in cui si sovrappongono immagine e segno, forma e colore, presenza ed evanescenza per un risultato inaspettato e originale. La forza materica del colore, tra i rossi e gli aranci, si dispone – costretta all’interno di un sistema di pagine di luce che una simbolica energia spirituale, un vento emozionale spagina e ridistribuisce lungo le pareti antiche della basilica.

Marco Pellizzola installa all’interno della cripta un’opera dedicata a sant’Orso e proveniente dall’esposizione di Aosta; tornare a sottolineare con uno spostamento logistico le problematiche interpretative dedicate a figure storico-devozionali appare sia un dato significativo nel processo di conferma della forza di testimonianza spirituale dell’icona, sia un dato di crescita e di sviluppo dei processi creativi contemporanei; la cripta torna a vivere e rinasce come luogo attivo attraverso il sistema di relazioni iconografiche raccolte nel progetto di testimonianza di santità.

Chiesa di San Francesco

Marta Colombi, Leggio-Ambone • Francesco Correggia, Pala dedicata a san Francesco • Stefania Albertini e Gianpiero Moioli, Installazione dedicata a san Francesco • Roberto Priod, Fiore dai Fioretti di san Francesco, Collezione di «Libri Sacri» • Elena De Prezzo, Santino dedicato a san Francesco

Nella grande chiesa gotica si installano tre distinti momenti espressivi attraverso i quali la partecipazione del credente moltiplica la ricchezza liturgica e teologica della sua presenza.

All’ingresso si colloca il leggio-ambone di Marta Colombi, frutto prezioso e intenso di un processo di analisi spaziale e di sintesi formale, ma anche risultato di un attento processo di alleggerimento estetico rispetto ai processi retorico-simbolici della tradizione e di riqualificazione del luogo della parola attraverso la filiforme luminosità dell’argento.

Intorno alla rilettura dei Fioretti di san Francesco in particolare ruotano tre diversi momenti espressivi di interpretazione e analisi.

Francesco Correggia torna nuovamente, dopo il ciclo pittorico di Aosta (la grande pala dell’alba nella parrocchiale di Lugnacco, Ivrea), alle grandi dimensioni della pittura aformale in cui suggerisce la natura dell’intervento appare interpretativa dei processi lenti di illuminazione della Parola di Dio, dove l’illuminazione non appare bagliore improvviso ma ricchezza nel gioco delle ombre, dove cioè la luce si configura nei processi d’interpretazione; così che, quando ai bianchi seguono i grigi ed alle variabili presenti nella “traduzione “ e nel commento, avvertiamo di stare all’interno della tradizione ebraica e difronte alle incognite nella lettura della Torah,per poi essere la parola scritta a chiudere nella certezza l’esperienza di fruizione.

In rapporto di relazione espressiva con l’offerta di frutta e semi della terra a sant’Orso, il grande fiore giallo che si installa luminoso a Piacenza è l’omaggio simbolico al santo e alla sua cultura elaborato da Roberto Priod, ma è anche l’espressione totalizzante, concettualmente emblematica dell’intera natura vegetale e floreale la cui presenza iconografica segue nel tempo gli eventi liturgici, interpreta la sacralità della mensa, è testimonianza diretta di una individuale esperienza spirituale e di preghiera.

La rilettura dei Fioretti condotta a quattro mani da Stefania Albertini e Gianpiero Moioli si organizza attraverso una rigida struttura scultorea in grado di «mimare» il ruolo colto e ospitale di una possibile libreria, ma la cui tensione simbolico-spirituale si «accende» attraverso la luminosità policroma delle sfere.

Terzo nucleo espressivo specifico e raro appare la distribuzione lungo il percorso del deambulatorio di una libreria e di una collezione inedita di libri d’artista; la libreria-scultura in ferro con i suoi volumi specifici di Alberto Gianfreda segnala la significativa volontà artistico-teologica di riappropriazione e rilancio del tema della parola, già condotto attraverso la riqualificazione nel presbiterio dell’ambone; si avverte un percorso espressivo che si ricollega alla memoria dell’Antico Testamento, alle tavole della legge, che sembra voler reintrodurre il ricordo degli antichi rotoli e della scrittura, della preziosa decorazione miniata, la rarità, in quanto pezzo unico, di un libro d’artista.

In questo ambito di ricerca espressiva del tutto particolare e intima, ogni libro d’artista prodotto appare un’opera che si racchiude su se stessa, che si autopreserva attraverso la forza comunicativa dei materiali, che svela i suoi contenuti «sacri» ad una fruizione-lettura che non può che essere di interpretazione personale.

Chiesa di Sant’Antonino

Mauro Marcenaro, Sei frammenti pittorici • Paolo Quattrone, Installazione • Elena De Prezzo, Santino dedicato a sant’Antonino • Chicco Sabbatella, Reperti

All’ingresso della grande chiesa, all’interno del quadrilatero monumentale predisposto dalla sovrastante e incombente presenza del campanile, trova installazione l’ambone-scultura di Paolo Quattrone; la particolare collocazione sembra riprendere e acquisire forza dalle possenti colonne del quadrilatero per poi suggerire, attraverso lo srotolamento simbolico del foglio, la lettura delle Sacre Scritture; particolarmente importante appare quest’opera in cui vive il dilemma costruttivo tra le problematiche dell’arte contemporanea, qualificate sul piano dei sistemi analitico minimali, e la forza simbolica insita nell’ambone per la proclamazione della Parola.

In un comune clima di rigore formale, condotto per sottrazione formale e forza del colore, si colloca il «santino» elaborato da Elena de Prezzo e dedicato al santo a cui la chiesa è dedicata.

Gli altari posti lungo la navata di destra ospitano la pittura di Mauro Marcenaro da tempo caratterizzata dai rapporti con il patrimonio iconografico quotidiano e popolare; si tratta di un ciclo di piccoli quadri dedicati alla relazione di sensibilità che intercorre tra il frammento di un’immagine sacra, emblematica della semplice e autentica devozione popolare, e il gesto interpretativo del colore.

Sul valore del frammento archeologico quale testimone di epoche e di eventi intensi si è orientata l’opera scultorea di Sabbatella con un ciclo di marmi neo-medioevali; l’installazione, in un’area riservata della chiesa, di quattro «reperti» appare il segnale tangibile di una cultura artistica che individua nel patrimonio antico, nel segno decorativo, il valore persistente e la necessità di comunicazione della «memoria»; dalle atmosfere oscure ma spiritualmente intense della grande basilica gotica, dalle sue ombre si affacciano volti di pietra, frammenti di sguardi testimoni di una storia di fede ma anche di tormento.

Chiesa di San Raimondo

Emiliano Viscardi, Ciclo dei Santi • Barbara Giorgis, Opera dedicata a santa Franca • Antonio Spanedda, Installazione dedicata a san Raimondo • Marta Colombi, Grande Croce sul sagrato

All’interno dell’aula liturgica si sviluppa un articolato ciclo espressivo dedicato al tema antico della santità, di uomini e di donne che hanno lasciato tracce significative e testimonianza della loro spiritualità e del loro amore per Dio e per il prossimo.

Si installano i grandi cartoni per le vetrate di Emiliano Viscardi caratterizzate dall’unità cromatica del blu, mentre nelle due cappelle laterali Barbara Giorgis dà un volto e uno sguardo intenso a una giovane santa Franca, mentre Antonio Spanedda si confronta con i processi di comunicazione che riaffermano la figura e il valore salvifico di san Raimondo. 

Nel raccolto sagrato, con valore di sottolineatura teologica e liturgica di  quest’area della chiesa, Marta Colombi progetta e colloca in un clima di concettuale performance il disegno volumetrico di una Grande Croce depositata.

Chiesa di santa Teresa

Gruppo Migneco-De Gradi-Tamburrelli e Gruppo Gianfreda-Roda, Progetti di adeguamento dell’aula liturgica • Sergio Alberti, Croce Astile • William Xerra, Progetti per le vetrate • Enrico Mulazzani, Evangeliario • Fausto Migneco, Grande Libro Sacro dedicato a santa Teresa

L’aula liturgica è oggetto di analisi progettuale approfondita e sperimentale da parte di più gruppi di lavoro, e il plastico di Susanna Roda testimonia il tentativo di riunire in un unico sistema coordinato il presbiterio e l’assemblea; una progettualità che ha avuto positivi riscontri nelle chiese nord-europee e ultimamente nella Diocesi di Ivrea. Esemplari in questo clima progettuale e interpretativo appaiono le vetrate di Xerra e i due grandi libri, caratterizzati dall’autonomia espressiva del colore aformale nel volume di Enrico Mulazzani e intenso attraverso la forza del sistema iconografico nella scultura di Fusto Migneco. 

All’interno della perfezione estetica della piccola chiesa, assume particolare importanza il progetto predisposto da William Xerra per le vetrate alte che circondano l’aula liturgica; si tratta di un progetto raffinato e lineare, attenta interpretazione dell’esperienza umana e spirituale della santa e qualificato in un giusto equilibrio tra forma e colore, tra immagine e parola.

Chiesa di San Giorgino

Stefano Pizzi, San Padre Pio da Pietrelcina, San Francesco di Sales, Santa Rita, Sant’Anna, San Michele Arcangelo, Progetto pittorico per la cupola

La piccola cappella della devozione è completamente rivisitata con attenzione filologica da Stefano Pizzi; l’artista, colpito dallo spessore di intima spiritualità, ha sostituito i semplici documenti iconografici, vecchie foto e qualche manifesto, con l’autentica rappresentazione pittorica delle figure venerate. 

Attraverso un’attenzione nuova e mirata sulla qualità della pittura, pur nel contesto di una rivisitazione dell’espressione popolare del «santino», Pizzi «ridisegna» lo spessore estetico della cappella, le riconsegna dignità estetica e la reintroduce in un rapporto di unità iconografica con l’aula liturgica; non si tratterà quindi solo di una sostituzione ma di un processo di interpretazione globale del patrimonio teologico e di installazione della cultura contemporanea. Un clima complesso e ampio che si allarga ulteriormente alla cupola con un significativo progetto pittorico.

Non possiamo non esprimere per questo evento espressivo tanto esemplare il vivo rammarico per la mancata volontà e lo scarso coraggio della committenza a dare stabile presenza e radicamento delle opere nel patrimonio della Confraternita.

Oratorio di San Rocco

Adriano Altamira, Installazione

L’installazione intorno all’altare, caratterizzata da indumenti e scarpe, la documentazione fotografica dell’evento, sono insieme i valori di un processo di attenzione espressiva dedicati da Altamira al senso profondo dell’esperienza spirituale e delle forme più autentiche ed estreme della devozione e della gratitudine.

A differenza di un lavoro «colto e filologico» redatto per Aosta, questo nuovo intervento appare inserirsi con lucida attenzione nello spazio intimo ed eticamente complesso del «reperto» reliquiario dell’ex-voto; l’azione espressiva di Altamira punta a rafforzare fino ad esasperare attraverso la sottolineatura oggettiva della quotidianità, tramite le forme della rinuncia, dell’abbandono e della consegna, i valori espressi e raccolti intorno al semplice altare dell’Oratorio, segnato da una devozione semplice e popolare, dignitosamente povera e sicuramente autentica; i due documenti fotografici ancora sottolineano l’intensità concettuale dell’installazione e acquisiscono la forza antropologica della documentazione e del reperto contemporaneo, la cui disinstallazione non potrà che produrre l’impoverimento dell’esperienza spirituale.

Chiesa di Santa Chiara.Miriam Secco, Pala dedicata a santa Chiara

Nella piccola chiesa un’installazione di Miriam Secco riconsegna il valore della dedicazione alla figura della santa, anche se l’originalità dell’intervento appare quella del superamento dell’iconografia istituzionale e la scelta di comunicare il valore della rinuncia e dell’uguaglianza, della purezza quale fonte di luce.

La collocazione in forma circolare, nella posizione protetta a latere dell’altare, suggerisce e sottolinea, rispetto all’assemblea celebrante, l’unità di una comunità conventuale mentre all’interno ogni singolo «reliquiario» appare caratterizzato dalla preziosità della semplicità emblematizzata dal velo.

Chiesa di San Donnino.Renato Cappelli, Progetto per le vetrate

I progetti per le vetrate di Cappelli indicano l’originale volontà di controllare l’ingresso della luce attraverso un’attenta griglia traforata in cui si percepisce la riaffermazione di un patrimonio iconografico delle origini; un progetto la cui effettiva realizzazione su foglio di ottone, e collocato per breve tempo, appare di grande effetto e straordinaria forza evocativa.

Chiesa di San Pietro

Tiziano Finazzi, Pala dedicata a san Pietro • Nicola Salvatore, Scultura dedicata a san Pietro • Tetsuro Shimizu, Pala dedicata a san Pietro • Giuliano Giuman, Progetto per le vetrata • Angelo Barone, Progetto per il sagrato • Elena De Prezzo, Santino dedicato a san Pietro

Intorno alla figura e alla storia di san Pietro, a cui la chiesa è dedicata, si relazionano tre significativi interventi espressivi; la forza del colore e la sua vivacità simbolica sono il terreno espressivo che caratterizza le due grandi pale di Finazzi e di Shimizu, collocate nelle cappelle laterali; Nicola Salvatore elabora e produce, interpretando simboli storici del santo, l’idea per un nuovo monumento caratterizzato dal valore della processualità, dell’attualità nella persistenza dei valori rappresentati.

Le tre opere, sicuramente diverse tra loro, occupano e trasformano con grande forza lo spazio liturgico reintroducendo in esso l’originaria forza racchiusa e testimoniata attraverso la vita e l’opera di san Pietro; se i due quadri animano attraverso il colore la forza psicologica del messaggio teologico, la scultura interpreta il peso significativo della Storia.

Chiesa di Santa Maria in Cortina

Siria Bertorelli, Due grandi Pale dedicate alla Vergine Maria • Alfred De Locatelli, Installazione dedicata alle Reliquie di sant’Antonino

La piccola chiesa ospita le due grandi tele della Bertorelli caratterizzate dalla rilettura iconografica della storia di Maria;  la luminosità integra della superficie di lino ed il prezioso movimento delle linee cucite evocano uno stato di purezza assoluta che solo l’intenzione concettuale radicata nella sensibilità espressiva è in grado di raggiungere. 

In posizione appartata De Locatelli ricorda con una piccola scultura la presenza antica delle reliquie di sant’Antonino; appare anch’essa una presenza preziosa nelle sue intenzioni più profonde ed incisiva nella rarefazione spirituale della piccola aula liturgica e subito fruibile dal credente.

 

Chiesa del Sacro Cuore 

e Chiesa parrocchiale di Monastero,

caleidoscopio del sacro

Opere degli studenti del Dipartimento Arti e Antropologia del Sacro dell’Accademia di Belle Arti di Brera

La grande chiesa, oggi sconsacrata, ospita un complesso sistema di opere liberamente elaborato dagli studenti di Brera; si tratta di un caleidoscopio, cioè di un complesso sistema espressivo in cui tutti i linguaggi e le tecniche visive agiscono e  interferiscono; un processo di ricerca artistica che matura nel tempo, che si confronta responsabilmente anche con i temi della storia dell’arte sacra e che ha caratterizzato momenti di laboratorialità anche nella Diocesi di Piacenza-Bobbio. Questo evento nell’evento segnala quanto nella vasta produzione dell’arte sistematicamente predisposta e sollecitata da quel grande laboratorio che è la città di Milano ed il polo di aggregazione dell’Accademia di Brera , l’attività espressiva delle nuove generazioni incalza l’intero sistema mantenendo ed allargando i valori di interdisciplinarità e di proliferazione dei sistemi linguistici; da un decennio questa sovrapproduzione ha minato le regole di un sistema di distribuzione troppo rigido ed ha posto le basi per un collezionismo caratterizzato da uno sguardo caleidoscopico, da una attenzione e da uno spirito di ricerca in costante sviluppo; l’attività espressiva del singolo giovane artista non può essere interpretata come evento isolato ed autonomo ma deve essere ricollocato in un più ampio patrimonio dove solo quest’ultimo assume forza e significato.

 

Chiesa Abbaziale di San Sisto

Clara Brasca, Via Crucis e la Risurrezione • Maurizio Tocco, Progetti per vetrate del Coro • Enrico Scippa, Fiori d’Altare, Installazione • Ale Guzzetti, Concerto di luce, Installazione

La magnificenza della Chiesa Abbaziale ospita ed avvolge interventi contemporanei con straordinari risultati.

I tasselli blu della Via Crucis di Clara Brasca scandiscono l’ordine architettonico e lo spazio sottolineando con lucidità l’autonomia liturgica del percorso di processione; nello spazio perfetto, in cui la presenza di Raffello Sanzio aleggia con straordinario valore artistico-teologico, l’operazione espressiva della Brasca si carica della forza simbolico-iconografica, implode all’interno della tensione concettuale della pittura stessa e del blu in particolar modo quale valore persistente, e si definisce attraverso la sottolineatura analitico-minimale di un processo performativo.

I progetti per le vetrate di don Maurizio Tocco impreziosiscono ulteriormente con la tensione simbolica di una luce dorata il grande coro ligneo. 

Gli altari laterali di sinistra vedono la presenza, con valore di omaggio alla dedicazione, dell’installazione di Enrico Scippa, caratterizzata da immagini di natura morta impressa nel rigore e nella forza del ferro; fiori e frutti che hanno perso la vivacità policroma della storia dell’arte ma che rimangono severe «sentinelle» della memoria devozionale, riscoprendo autenticità e segreto fascino.

Ai piedi degli altari di destra, la luce e la musica configurano l’installazione di tre violini, opera di Ale Guzzetti; frutto di una attenta poetica «alchemica», confermata anche con questo nuovo lavoro sacro, Guzzetti scava nel patrimonio culturale dell’esperienza spirituale per portare alla luce l’intensità teologica specifica dell’arte contemporanea e interna anche alle tecnologie della comunicazione visiva.

Chiesa del Preziosissimo Sangue

William Xerra, Decoro dell’aula liturgica • Chicco Sabbatella, Progetti per le Vetrate

La chiesa moderna in cui si avvertono difficoltà di adeguamento estetico-liturgico e a cui si dovrà porre soluzione vede l’interessante intervento sulle due fasce dell’aula di un percorso decorativo avvolgente e coinvolgente.

Il rapporto con la scrittura come valore anche iconografico diventa nell’intervento di Xerra centrale, e in grado di ricondurre nel presente il ricordo della narrazione già testimoniato sin dalle epoche più antiche; è nato anche questo lavoro «sacro» da un intenso stato di interpretazione e partecipazione del patrimonio teologico-iconografico cristiano, rivisitato seguendo un percorso in regress attraverso la memoria e riaffermato dalla forza di una creatività colta e sensibilissima; si è trattato ancora di un lavoro che Xerra ha realizzato con la lungimiranza espressiva della «disperazione», mentre intorno pullula quella babele dei linguaggi che tradisce l’autenticità dell’esperienza religiosa.

Sull’altro lato scorrono a carattere progettuale le vetrate di Sabbatella, caratterizzate dal movimento liquido del colore quale interprete responsabile della dedicazione al Sacro Cuore di Gesù della chiesa. 

Bobbio

Nel Duomo, Chiesa di San Colombano, Chiesa di San Lorenzo e Santuario della Madonna dell’Aiuto

Adele Prosdocimi, Installazione • Stefano Pizzi, Opera dedicata alla Madonna dell’Aiuto • Angelo Barone, Dedicata a san Lorenzo • Mauro De Carli, Dedicata a san Colombano

L’installazione di Adele Prosdocimi si caratterizza attraverso un sistema di colonne cartacee la cui superficie, come rotoli antichi, appare qualificata e pone in evidenza un percorso di rilettura e di citazione di simboli appartenenti alla storia delle grandi religioni; le due distinte installazioni appaiono caratterizzate dalla compresenza di luce e di leggerezza, di evanescenza del materiale e tensione dei simboli, offrendo allo spazio consacrato un’attesa spirituale rinnovata dall’arte e riconfermata dalla sensibilità dell’essere artista;

Stefano Pizzi, anche in questa sede di devozione, appare sensibile e prezioso interprete di quell’immagine, Madonna con Bambino, centrale nella storia spirituale cristiana.

Angelo Barone ha installato nella chiesa, ed in stretta relazione con la «storia» di san Lorenzo, un lavoro di dedicazione iconografica dai caratteri semplici e severi, la cui intensità ruota sulla percezione analitica tra il colore ed il testo latino, tra il fuoco che arde, nel sangue che pulsa, ma sulla base del messaggio teologico.

Il giovane Mauro De Carli ripercorre e reinterpreta attraverso un articolato sistema di tele e una pittura sofferta ed intensa, animata da bagliori e atmosfera antiche, la figura di san Colombano; un’installazione pittorica che conferma un percorso espressivo già assolutamente straordinario per intensità e coraggio intuitivo.

Ivrea. Dell’arte e del sacro. Frammenti dal patrimonio contemporaneo

«Frammenti dal patrimonio contemporaneo» non è una mostra d’arte ma un progetto critico e artistico-espressivo concepito ed elaborato, e quindi collocato, all’interno del patrimonio e dell’esperienza religiosa cristiana.

Anche a Ivrea, così come è stato per Piacenza, non definisco una mostra d’arte l’azione di «disseminazione dei frammenti dal patrimonio contemporaneo», né un evento espositivo l’installazione di un ampio ciclo di opere d’arte nel tessuto delle chiese della città e della diocesi, e rifiuto di tornare a percorrere la pessima tradizione «espositiva» dell’arte sacra, «nascosta» tra le pareti sicure, acriticamente avvaloranti di un museo e di un quartiere fieristico, mentre ritengo di aver predisposto un sistema di riflessione estetico-teologico, di aver predisposto un processo di confronto sul terreno ri-costituito dell’arte sacra, di aver predisposto la fruizione dei linguaggi artistico-visivi nel tessuto complesso dell’esperienza cristiana.

Ogni opera, ogni libro, tra le sculture e le carte progettuali si pone infatti all’interno di uno spazio, la chiesa, di per se già caratterizzata da una sua storia, arricchita da una successione di stili, dalla sovrapposizione nel tempo delle opere, e con questo patrimonio apre un dialogo, si confronta in una fruizione attenta e sensibile; ogni nuova opera è il frutto autonomo di un processo espressivo che conosce comunque nella sua concezione e nella sua produzione il clima tematico, e si arricchisce dello spessore problematico intimo di questa collocazione.

 All’azione di introduzione di un nuovo evento estetico all’interno di una «macchineria» scenografico-liturgica, ritengo importante attribuire il valore, il peso strutturale dei processi di adeguamento della chiesa post-conciliare; sarà adeguamento non solo quindi la riprogettazione, peraltro indispensabile, dell’assemblea in un diverso e più attivo rapporto con l’altare, l’ambone e la presidenza; sarà adeguamento l’interpretazione attenta di una cultura della devozione costruita attraverso opere e strumenti, simboli e forme; sarà adeguamento, cioè, il linguaggio dell’arte contemporanea nella sua prolifica ricchezza linguistica e con il suo alto grado di ricerca aperta nello spazio consacrato della chiesa.

La concezione allargata di adeguamento appare oggi un veicolo straordinario di riaffermazione del rapporto antico tra arte e religione cristiana e di ricucitura operativa di fronte e nei confronti di valori comunque radicati nella cultura sociale, a tratti anche di riscoperta – le antiche pale d’altare e i quadretti della devozione – e di riaffermazione di peso e significato intenso – i libri sacri, le vetrate e i vecchi santini.

Al centro del progetto Frammenti dal patrimonio contemporaneo si pone infatti un sistema di relazioni di studio e di ricerca tra l’artista e il tessuto iconografico preesistente e all’interno di nuclei tematico-storici specifici, ma anche un’azione di elaborazione critica e di scelta responsabile tra l’elaborazione e l’installazione delle opere all’interno del luogo consacrato; lo spazio e il tema, la loro specificità e ricchezza di dati e componenti, determinano la natura dell’evento, qualificano le relazioni di fruizione, sviluppano e caratterizzano la natura estetico-teologica dell’opera d’arte, incoraggiano la percezione spirituale della creatività.

Se nella Diocesi di Aosta l’evento espressivo del progetto Arte Cristiana Contemporanea si rivelava nell’atto dell’offerta e della consegna al percorso di fede e di devozione, se nella Diocesi di Piacenza l’opera d’arte si portava su un processo di disseminazione verso il radicamento nelle realtà parrocchiali diverse, nella Diocesi di Ivrea si indaga, all’interno della cultura religiosa e dell’esperienza spirituale, la forza e la ricchezza espressiva, e quindi il ruolo illuminante ed esperienziale dell’arte.

«Un’indicazione in merito si trova nella Lettera apostolica di Giovanni Paolo II, data nel 1987, in occasione dell’anniversario di dodici secoli dal concilio Niceno II. Dopo aver riassunto la dottrina di questo concilio, egli coglie l’occasione per precisare meglio lo statuto delle immagini, rifacendosi a Niceforo di Costantinopoli e a Teodoro Studita. L’immagine, infatti, per il suo rapporto con gli eventi della storia della salvezza che raffigura, andrebbe considerata analoga alla liturgia della Parola. E, quindi, “come una parte della sacra liturgia” (Duodecimum saeculum, n. 10, in R. Kaczynski (ed.), Enchiridion documentorum instaurationis liturgicae (1983-1993), Vol. III, CLV-Edizioni liturgiche, Roma 1997, p. 360).

Con questa ricezione di Teodoro Studita, che va oltre il secondo concilio di Nicea, viene promosso fortemente il ruolo delle immagini che vengono comparate alla lettura della Parola di Dio nel Lezionario. La lettura dei segni grafici, nel libro, comunica la Parola; in modo analogo, le immagini comunicano la Parola con il disegno, i colori, o con altra materia. Con il vedere, dice Giovanni Paolo II, si arriva ai misteri della salvezza. 

Da questo ricavo che l’opera d’arte deve essere coordinata con l’azione liturgica in modo che ci sia un unico referente, comune a entrambe. In tal modo, l’immagine può arrivare a cogliere l’animo del fedele, anche laddove la celebrazione non riesce ad arrivare. Per riassumere tutto in una sola parola, direi che qui viene indicata la funzione mistagogica dell’arte» (monsignor Enrico Mazza).

Confraternita di San Nicola da Tolentino

Angelo Barone, Renata Boero, Barbara Giorgis , Stefano Pizzi, Roberto Priod, Adele Prosdocimi, Nicola Salvatore

È la bellezza architettonica ed artistica che avvolge in una unità perfetta lo spazio della Confraternita ad aver stimolo in me, credente e visitatore, un caleidoscopio di emozioni, e ad avermi suggerito un terreno nuovo di indagine, in cui l’unità espressiva dello spazio sacro diventa luogo di incontro e di verifica con il patrimonio espressivo dell’arte contemporanea; questo incontro iconografico e ambientale ci dirà dei rapporti che si aprono, della qualità di comunicazione, di quanto lo spazio sacro-luogo teologico sappia avvolgere e infondersi nell’opera e svelare attraverso la ricerca la ricchezza problematica della bellezza.

La qualità intensa dello spazio mi ha suggerito e posto la domanda sullo stato delle relazioni possibili tra il singolo quadro e l’opera scultorea, l’installazione aniconica, il frammento e il materiale povero, e a cosa aspirano e con quali valori caratterizzano la loro funzione immersi in un clima teologico e in una realtà liturgica, nello spessore spirituale della Confraternita.

In questo clima di attesa per l’installazione delle opere intuisco il divaricamento di ogni opera verso il preesistente, le relazioni che si instaurano, che si scatenano, ciò che cambia nel processo di relazione; un quadro apparirà sotto una luce diversa, presenterà una serie di valori inaspettati e non previsti dal suo autore e ciò dimostrerà che l’opera da sola ha una sua più complessa struttura, assorbe dall’esterno e corregge il suo patrimonio iconografico, suggerisce alla fruizione improvvise soluzioni interpretative, crea dissonanze e nuove consonanze.

Si tratta di un percorso di installazione dell’opera e quindi di fruizione lungo il quale valori sempre diversi si avvertono e si rinnovano; ogni singola opera, includendo in se stessa valori diversi, risponde ora allo spazio sacro, per poi diversamente reagire quando un nuovo spazio, dagli ospedali, alle caserme, alle carceri, mattatoi, ex fabbriche, cinema, stazioni, una nuova caratterizzazione, segnata in profondità e sottolineata dalle funzioni d’uso e dal tempo, viene ad ospitarla. 

Quante domande attendono risposta, mentre aspetto il momento dell’installazione nello spazio consacrato della liturgia e come esso riceve la presenza non liturgica, non sacra, dell’arte contemporanea; ma d’altra parte è auspicabile – per i valori che si sono intuiti, per il potenziale etico e di esperienza spirituale che ci attendiamo da questa esperienza – tornare a vedere il luogo di culto cristiano caratterizzato da una nuova liturgia dell’arte, in cui le opere si rivelano nella loro diversa natura, un po’ meno laica e forse più intimamente religiosa.

Sulla base di queste premesse intendo esprimere un atteggiamento problematico di rapporto con la bellezza anche di un’opera non sacra, cioè che non è nata né su base di funzione liturgica né di rielaborazione o ispirazione rispetto al patrimonio sacro e religioso, ma che nella sua natura creativa racchiude lo spessore dell’esperienza religiosa.

In questo clima si installano le opere di Angelo Barone, Renata Boero, Barbara Giorgis, Stefano Pizzi, Roberto Priod, Adele Prosdocimi, Nicola Salvatore.

Dallo studio di Angelo Barone ho «prelevato» “Ibleo” una grande scultura del ’97 che aveva già trovato significativa collocazione espositiva in luoghi già dedicati al culto; la presenza nell’area del coro della Confraternita, all’interno di un unico sistema ligneo, è quella di una forma che attraverso le grandi dimensioni avvolgenti appare in grado di esasperare e dar corpo ai valori e alle emozioni più indefinite e segrete della percezione, a quella condizione di partecipazione per immersione nella complessità e nell’atmosfera dello spazio sacro.

All’interno dell’aula liturgica ho collocato in un rapporto di successione scandito dall’architettura un «pezzo» storico degli anni ’60 di Renata Boero, fortemente carico di valori pittorici intensi, antropologicamente caratterizzati da una materia fisica che si anima e si dibatte tra i grumi di colore e l’evoluzione della forma; di Barbara Giorgis ancora l’evanescenza significativa di una pittura che tenta di conservare la memoria delle ombre così da acquisire nuovo spessore nella specificità della Confraternita; gli occhi sbarrati dei tre pastorelli portoghesi di Stefano Pizzi illuminano con la forza del reperto devozionale la severità iconografica del sistema iconografico antico; l’installazione policroma di Roberto Priod riempie e rompe il silenzio, mentre la componente carnosa dei frutti ne vivacizza psicologicamente la condizione di percezione del sacro; il caleidoscopio iconografico-religioso di Adele Prosdocimi e la qualità estetica delle forme amplifica i confini culturali dell’esperienza teologica; le tre colonne di Nicola Salvatore e gli oggetti simbolo sembrano in grado di produrre una installazione liturgica inedita, si fanno interpreti severi di una rivisitazione dell’esperienza cristiana e quindi del suo mirato patrimonio iconografico.

Un clima di ricerca e di comunicazione visiva che si pongono in stretto rapporto con «l’esperienza più spirituale e più alta, diventa comunicabile soltanto se è rivelata e interrogata come aisthesis dello spirito, come estetica della profondità dell’anima. Ovvero, ed è la stessa cosa, solo se l’arte restituisce radicalmente l’esteriorità sensibile della psiche che la riceve. Passione e conoscenza sono qualità necessarie, indubbiamente, per l’invenzione esatta del segno di questa restituzione. Ma occorre cuore saldo e mente lucida, per sostenere azzardi diversi» (monsingor Pierangelo Sequeri).

Gesù di Nazaret. Installazione di William Xerra

L’installazione dedicata da William Xerra alla figura di Gesù di Nazaret si colloca all’interno di un lungo percorso espressivo incentrato sul patrimonio iconografico cristiano ed in particolar modo sui temi della Via Crucis e sulle figure dei santi; numerose sono le monografie che segnalano, rispetto al patrimonio contemporaneo dell’arte, questa «anomalia» di Xerra, questa sua fitta rete di interessi per l’esperienza umana del Figlio di Dio e per il patrimonio di immagini che nei secoli si sono accumulate. Nella piena corrispondenza con lo stato di sperimentazione e di ricerca specifica della stagione contemporanea, Xerra ha individuato nel dato iconografico del frammento, tratto dal brano antico, o di un oggetto devozionale, le infinite tessere di una fitta rete di rapporti cromatici e formali, così che il lavoro è il frutto di un confronto e soprattutto di una integrazione significativa e forte del dato di inizio. L’idea che persegue l’artista appare quella di riprendere un dialogo lì dove è stao interrotto dagli eventi e dal tempo, di cercare, con la sensibilità contemporanea e l’intuizione analitico-concettuale, il valore dell’esperienza spirituale difronte al soggetto sacro.  

Questa nuova istallazione appare in grado di raccogliere la complessa esperienza espressiva fino ad oggi elaborata e conseguita attraverso la presenza in uno spazio di chiesa avvolgente attraverso la sua aula e proiettata di fronte alla centralità del grande altare; lo spazio architettonico presenta cioè un’unità forte ed intensa, centralizzata rispetto all’obiettivo individuato nella riserva eucaristica; sin dalle prime frequentazioni dello spazio abbiamo percepito insieme come questo spazio potesse permettere uno stato di presenza più che di circolazione, una posizione, cioè, intorno alla quale ruota il sistema delle immagini per poi raggiungere la centralità dello spazio stesso. Nello specifico dell’intervento progettuale Xerra lavora sul rapporto tra Gesù e l’habitat della chiesa, dove cioè la chiesa è la Casa di Dio, è la casa, è il luogo in cui lui sta, in cui lo incontriamo.

Italo Chiodi

La solitaria pieve romanica di Santo Stefano al Monte a Candia Canavese è stata oggetto di interpretazione per via di un percorso di sensibilità da parte di Italo Chiodi, in cui le opere sono il frutto ultimo e tangibile di un processo di decantazione e di scoperta, di ricostruzione sull’immaginazione dell’esperienza teologica.

Nella parte absidale, fra tre distinti ambienti, l’artista colloca i dati espressivi di una ricerca-interpretazione che si è sviluppata lungo un processo lento di redazione, che si è configurata attraverso la produzione manuale di reperti e frammenti, nell’isolamento del-nel particolare simbolico e nell’installazione di un sistema esperienziale aperto alla fruizione.

La profonda natura antropologica che caratterizza da sempre l’opera di Italo Chiodi viene anche in questa situazione a porsi in evidenzia e appare raffinata e preziosa nei tre distinti manufatti; un attenta documentazione fotografica lo vede impegnato in un lento lavoro manuale di ricamo di un antico telo di lino in cui si va progressivamente a configurare l’intensa testimonianza della croce, per poi trovare collocazione con valore delicato di diaframma nel percorso di frequentazione dello spazio; sono tre bacheche che proteggono tre comuni frammenti della realtà purificati dalla presenza del blu e proiettati come reliquie tra il passato e il presente; un cubo di legno attentamente interpretato dalla pittura appare un brano tangibile della realtà naturale e si installa nel religioso silenzio della cripta. 

La cripta

Cosi come è avvenuto per il ciclo dedicato ai libri d’artista e predisposto per le Diocesi di Aosta e di Piacenza, anche la raccolta dedicata al tema del reliquiario è occasione di esemplare interesse espressivo per una realtà iconografica collocata nella profondità storica della cultura cristiana; se il libro d’artista è luogo riservato di riflessione e di incontro di sistemi linguistici diversi, il reliquiario contemporaneo è più decisamente luogo intimo e preservato del ricordo personale; se il libro vede l’accumulo caleidoscopico delle emozioni iconografiche di fronte alle suggestioni del testo, il reliquiario è frutto di una selezione accorta del frammento simbolico estrapolato dalla quotidianità.

All’origine di questo percorso di ricerca espressiva sta la volontà dell’arte moderna e contemporanea di tornare a osservare la storia dell’esperienza umana, e si predispone con nuovi strumenti linguistici lungo un processo in regress nel sistema complesso della «memoria»; l’azione di selezione e di conservazione, l’opzione per il frammento e la sua protezione nel contenitore comunque fruibile dalla vista, hanno anche nella stagione contemporanea il valore di rappresentare la nostra epoca ma anche la totalità del tempo. 

Piccole e grandi scatole, generalmente di legno, fortemente caratterizzate da emozioni antiche, ed in esse racchiusi oggetti e frammenti, collage di immagini e combinazioni plastico-strumentali, tutte religiosamente protette da una «muro» di vetro per una fruizione filtrata dalla nostra immaginazione, si installano nella natura conservativa della cripta del Duomo di Ivrea; partendo da un’idea e dalle successive suggestioni e proposte di don Maurizio Tocco si è andata configurando in questi mesi una mirata produzione di nuove reliquie, sintomatiche di un percorso di relazioni tra gli objets trouves di Picasso, ma inserite in un rapporto di continuità con la cultura materiale della vasta stagione Fluxus, e testimoni delle ansie e delle preoccupazioni, dei desideri di appropriazione della memoria, di ricostruzione del frammento e del ricordo, presso le nuove generazioni dell’arte.

Arte e liturgia

Arte contemporanea e spazio liturgico

Questioni teoriche, programmi iconografici e progetti architettonici

La stampa cattolica. Il settimanale diocesano e Strumenti.

Permangono ancora molti ostacoli: le discipline teologiche non dimostrano particolare interesse al mondo dell’arte e viceversa, la formazione artistica del popolo di Dio è ancora ai primi passi, le relazioni tra chiesa e artisti stentano a svilupparsi, le nuove opere che la chiesa promuove sono spesso di livello modesto quando non sono decisamente insoddisfacenti.

CEI (a cura di), Spirito creatore, Paoline, Milano 1998

L’architettura e le arti visive nella trasformazione dello spazio liturgico

In questi anni il Dipartimento ha realizzato, sulla base di un confronto operativo costante tra arte-architettura-teologia-liturgia, un patrimonio iconografico e un sistema di progettazione che è andato a coprire il più ampio arco di situazioni e di problematiche; un patrimonio complesso, racchiuso nel progetto Arte cristiana contemporanea, fondato su una distribuzione interdiocesana,e raccolto oggi in questa complessa edizione. 

L’organizzazione del Dipartimento su una base di qualificata interdisciplinarità e interconfessionalità permette la riuscita di un patrimonio di idee e di interventi sostanzialmente inedito rispetto al sistema italiano dell’arte sacra e introduce i principi e i valori per un sostanziale mutamento di prospettiva e di operatività delle istituzioni deputate. 

Rispetto ai nostri risultati, avanzati e conseguiti in linea di confronto e continuità con una vasta e diffusa esperienza estetico-liturgica maturata nell’Europa Settentrionale, raccapricciante appare il panorama della produzione artistica e dell’elaborazione architettonica nazionale, scoraggiante la documentazione da più parti condotta, imbarazzante lo stato di tendenza estetica, debole la volontà di ricerca generalmente ripiegata sull’autoreferenzialità, inquinante nella sfera della didattica, inattiva nelle deboli compagini dell’attività espositiva. 

Attorno a questo tema complesso e articolato le attività didattiche e di ricerca hanno profuso in pochi anni grandi energie e hanno visto il coinvolgimento di numerosi docenti dell’Accademia; si è trattato di predisporre, in stretta collaborazione con i docenti-colleghi della Facoltà Teologica di Milano, un lavoro di studio e quindi di analisi, di progettazione animata da volontà di innovazione formale e tecnologica, e comunque caratterizzata dalla responsabile relazione con il complesso patrimonio storico della liturgia.

Adeguamento estetico-liturgico della chiesa

Attraverso il contributo straordinario di monsignor Enrico Mazza il Dipartimento è riuscito in pochi anni a creare una specializzazione analitico-progettuale in grado di rispondere con proposte operative alle diverse necessità di adeguamento delle chiese, sia per quelle appartenenti al patrimonio storico sia per quelle moderne e contemporanee.

La mostra di progetti e maquettes, disegni ed elaborati espressivi, frutto tangibile dell’impegno dell’architetto Michele Premoli e predisposta per la Diocesi di Ivrea, raccoglie in un unico caleidoscopio organico i lunghi processi di elaborazione svolti sulle piante degli edifici, individuando voci di settore, dal sagrato alle facciate, dall’aula liturgica al tabernacolo; la mostra svela l’articolato sviluppo, le diverse fasi di proposta, le scelte espressive caratterizzate da flessibilità, azioni creative determinate dalla rivisitazione di stili e soluzioni liturgiche spesso tra loro conflittuali.

Il seminario organizzato amplifica l’intera produzione progettuale e dimostra il livello di professionalità raggiunta in un’ottica di grande ampiezza tra le variabili della committenza, ma svela attraverso il progetto Garutti/de Ponti anche le potenzialità di una progettazione che inverte i rapporti arte/architettura, che pone al centro come organo propulsivo l’esperienza spirituale, l’elaborazione allegorica di essa attraverso l’arte, l’organismo architettonico di supporto.

Nella specificità del concorso di Trezzano sul Naviglio, la presenza di Alberto Garutti ha assunto il compito fondamentale di rilanciare, nel quadro del precedente antico di Giotto per il campanile di Santa Maria del Fiore, la figura professionale e il ruolo dell’artista, all’interno del sistema dell’arte e della progettazione architettonica; Garutti ha dimostrato, attraverso un’intuizione straordinaria fondata sulla forza concettuale della preghiera e dell’esperienza spirituale, sostenuto da Enrico Mazza sul piano liturgico, quanto sia importante piegare ad essa i processi e le soluzioni dell’architettura, perché l’edificio di chiesa torni ad essere nella sua verità di luogo di culto e testimonianza di una fede che ospita e che vive nella società umana.

Una stretta attività progettuale ed espressiva, significativamente innovativa sul piano iconografico, è stata condotta dal Dipartimento di Brera, e in particolare attraverso l’opera di Francesco Correggia, Stefano Pizzi, William Xerra, Sergio Alberti, Giuliano Giuman, Roberto Priod, Alberto Gianfreda, Fausto Migneco, in occasione di tre distinti concorsi per le «Nuove Chiese» della Diocesi di Milano in collaborazione con gli studi di architettura diretti di volta in volta  da Michele Premoli dello Studio Nizzoli, con l’architetto Luigi Spinelli, e con gli architetti Gianni Ottolini e Roberto Rizzi per l’ultimo concorso «Nuove Chiese» promosso a livello nazionale dalla CEI.

Per ogni gruppo di progettazione si è puntato con forza a superare, riuscendoci attraverso un forte lavoro di confronto, le limitazioni attraverso lo sviluppo, riequilibrando i ruoli, riconsegnando alla cultura artistica il suo ruolo liturgico, le sue funzioni caratterizzanti, moltiplicando le forme di percezione, interpretando e riconducendo i valori dell’architettura nel valore complesso di «casa di chiesa»… mentre intorno a noi un’architettura autoreferenziale continua a distribuire nelle periferie bunker per chiese e centri commerciali per chiese.

Accanto ad una produzione progettuale dedicata al campo delle nuove chiese, condotto in stretta relazione con i colleghi architetti, si è puntato sui settori costitutivi racchiusi nell’area ampia dell’adeguamento.

Per adeguamento abbiamo inteso tutto ciò che si aggiunge, cioè che si somma al preesistente, che interferisce con il valore del nuovo, che appare significativamente in grado di cambiare lo stato delle cose; un cambiamento per aggiunzione, che si caratterizza spesso per detrazione di un eccesso-iconografico, che pulisce e che comunque connota una condizione contemporanea nel patrimonio estetico, sia con funzione liturgica sia come riflessione teologica ed esperienza spirituale. 

Si tratta di uno spirito di adeguamento che cambia anche radicalmente, ma che si inserisce in termini anche impercettibili nel tessuto preesistente, che lavora anche senza aggiungere ma che sa organizzare il preesistente, che innova in senso intellettualmente significativo. 

È significativo in quest’ambito il ciclo propositivo per le cappelle degli ospedali di Milano, e condotto dal gruppo di studio Migneco-De Gradi-Tamburrelli; sono state prese in esame oltre sessanta cappelle, ne è stata fatta una attenta documentazione fotografica al fine di rilevare le inadeguatezze liturgiche, la cattiva qualità estetica, per poi predisporre soluzioni di restauro e di adeguamento; in particolar modo in alcune cappelle i progetti di architettura d’interno e di elaborazione artistica offrono soluzioni preziose in grado di restituire il clima ospitale a cui lo spazio consacrato mira; si avverte con questo lavoro di ricerca e di forza propositiva, quanto un luogo «minore», accanto a tanti luoghi minori possa essere e debba essere rivisitato e riqualificato attraverso la sensibilità dell’arte.

In quest’ambito si colloca anche il processo di recupero delle aree industriali, e particolare interesse è rivolto al patrimonio edilizio preesistente; nella stagione post-industriale grandi, piccole e medie fabbriche si pongono al centro di una riconversione architettonico-urbana al cui centro anche l’edificio di chiesa può avere notevole spazio e ricco valore di testimonianza; si è trattato di un lavoro rivolto a quelle strutture che presentano, per appartenenza alla cultura del lavoro industriale, elementi iconografici spaziali come grandi campate e colonnati, ciminiere/campanili.

Capannoni industriali prefabbricati: particolarmente interessante appare lo studio dell’attuale cultura del prefabbricato industriale, la sua struttura modulare di sviluppo ed ampliamento, la chiara tecnologia di produzione con evidente abbattimento dei costi, quantificabili in oltre i due terzi dei valori mediamente istituiti per i nuovi edifici ecclesiastici.

Il tema della ripetizione senza innovazione strutturale, la possibilità di riconquistare una modularità estremamente semplice, uno stile stabile sul piano strutturale appaiono in grado di combattere l’infinita stagione moderna dall’autoreferenzialità dell’architettura. Questo terreno riconsegna al solo sistema dell’arte, al valore della decorazione, l’autonomia espressiva del singolo edificio, la sua particolarità estetica.

All’interno di un ampio percorso di ricerca e di sperimentale indagine propositiva dedicato al tema dell’adeguamento dell’aula liturgica, trova interessante e significativo valore l’ipotesi progettuale, l’idea di una consolidata «frattura», a carattere e in ragione storico-conservativa, tra il presbiterio antico, generalmente caratterizzato da un altare barocco tridentino, isolato preferibilmente da una transenna a colonnine in marmo, ed un nuovo presbiterio autonomo e inserito direttamente all’interno della centralità liturgica dell’aula. Ritengo cioè, ed in conseguenza delle nostre ricerche,che l’assemblea celebrante, in corrispondenza con le indicazioni conciliari e nel rispetto storico e liturgico del presbiterio antico, possa caratterizzarsi quale luogo complesso e unitario della memoria teologica; il nuovo sistema di altare, ambone e presidenza, ponendosi all’interno dell’assemblea, libera infatti la «bellezza» dell’altare antico da ostacoli moderni e apre ad una nuova e partecipata cultura liturgica. 

Sulle questioni di adeguamento liturgico dell’aula celebrante, particolarmente vasto è il campo della ricerca, comunque consolidata sulla più vasta esperienza nord europea, caratterizzata dalla ridistribuzione dei tre poli – altare, ambone e presidenza – all’interno dello spazio assembleare.

Conclusa la grande stagione post-bellica dell’espansione urbana in cui anche l’edificio chiesa assumeva significativa urgenza, si riapre con forza la necessità di portare a compimento, nello specifico di ogni parrocchia, la testimonianza di un processo di rinnovamento conciliare della funzione liturgica nell’aula, con ampio superamento della sua tradizionale impostazione tridentina.

In questo quadro, particolare peso assume la progettazione condotta all’interno della Diocesi di Ivrea, con particolare attenzione rivolta al Duomo, ma che si configura in termini strutturali per la parrocchia di Lugnacco in Valchiusella.

Due distinti gruppi di lavoro hanno operato sul ripristino dell’originario presbiterio e sull’aula liturgica del Duomo di Ivrea; dai diversi progetti si percepisce la volontà di recuperare lo stato originario, alleggerendo l’area presbiteriale dalle sovrastrutture moderne, ponendo quindi in evidenza l’antica scalinata e riconsegnando alla presidenza vescovile peso e ruolo significativo sull’intera aula liturgica; nelle condizioni di un nuovo spazio, nettamente allargato verso il presbiterio storico, risultano di grande interesse le proposte tese a ridisegnare i poli liturgici e la disposizione delle panche lungo l’asse verticale del Duomo.

Nel paese di Lugnacco la parrocchia ha visto concretamente realizzarsi le ricerche svolte sul piano teorico, ed in particolar modo assume un peso propositivo non solo locale l’ampio processo di adeguamento; l’impianto dell’aula è oggi significativamente rinnovato e caratterizzato dalla disposizione avvolgente delle sedute assembleari, dell’altare e dell’ambone; si percepisce cioè la volontà di accrescere lo stato non separato ma di unità dello spazio liturgico, di coesione e di incontro, direi di partecipazione reale e diretta, in cui cioè ogni frammento, ogni entità interagisce.

Le antiche panche della chiesa sono state trasformate in nuove sedute con valore di preservazione della memoria, e oggi danno vita ad una disposizione intima e partecipata; l’altare di don Maurizio Tocco e  l’ambone di Alberto Gianfreda sono qualificati dalla forza espressiva della pietra locale, e in maniera autonoma testimoniano di una cultura dell’arte in cui la forza della progettualità, la tensione nell’unione dei frammenti risulta caratterizzante.

Significativa è la presenza delle due grandi pale, di Francesco Correggia e di Mauro De Carli, con valore di accentuazione attraverso la forza dell’arte, poste ancora con carattere avvolgente, con intenzioni protettive ma anche di apertura ideale e collocate alle spalle dell’assemblea riunita.

Ho personalmente suggerito, in ragione di un’attenta valutazione del significato articolato e profondo dell’arte sacra cristiana, la creazione di un’area specifica e autonoma rispetto all’aula liturgica, caratterizzata dall’integrazione tra i valori iconografici della devozione popolare, rappresentati dalle grandi sculture, dai quadri e dagli ex voto, e la devozione stessa, cioè l’esigenza privata della tensione spirituale; si tratta cioè di uno spazio intimo ma anche nobile, quasi l’area della conservazione e della preservazione di ciò che è stata l’esperienza teologica, e museale.

In questo clima di adeguamento a tutto campo, soprattutto estetico, si è operato nella grande chiesa parrocchiale di Traversella in cui trovano installazione l’Omaggio a don Bracco di Barbara Giorgis, la Via Crucis di Chiara Pozzi e Daria Giussani e la Risurrezione di Chiara Noventa.

Sempre sul piano della ricerca e della sperimentazione nell’adeguamento dell’aula spiccano le soluzioni avanzate da diversi gruppi di lavoro sul patrimonio delle chiese nelle diversi diocesi italiane; interessanti appaiono i progetti e i plastici dedicati alla chiesa di Santa Teresa (Susanna Roda), di San Savino (Migneco, De Gradi, Tamburelli) a Piacenza, di Sant’Angelo e di San Silvestro e Martino (Carmine Sabbatella) a Milano, ed ancora per le parrocchiali di Candia Canavese (Chiara Pozzi e Daria Giussani) e di Caluso (Marta Colombi) nella Diocesi di Ivrea.

Il sistema iconografico contemporaneo e i grandi progetti architettonici

In base e in relazione a questi dati qualificanti e significativi possiamo osservare quanto l’azione espressiva dell’arte nel contesto architettonico-ambientale torni prepotentemente ad un ruolo non più banalmente decorativo, ma con funzione dichiaratamente liturgica, dove si intende la predisposizione di un progetto iconografico atto ad interpretare gli aspetti qualificanti dell’architettura e delle funzioni in esse predisposte; si tratta cioè di un coinvolgimento ampio, interlinguistico e interdisciplinare condotto attraverso i diversi contributi espressivi. 

In piena corrispondenza con la tradizione italiana storica, dal medioevo al neoclassicismo, la «casa di chiesa» torna ad essere luogo policromo e complesso sistema di immagini, quindi ampia articolazione di suggestioni visive.

Ed è sul rapporto stretto tra architettura e liturgia che si pongono, in questi ultimi anni di ricerca e diproduzione, gli studi condotti da monsignor Enrico Mazza ed esposti lungo lo sviluppo dei corsi e dei laboratori di verifica; lo studio della liturgia si è caratterizzato infatti attraverso e sulla base di momenti di verifica progettuale dei principi post-conciliari, e si è consolidato nella riprogettazione delle ipotesi teorico-storiche, sulla loro parametrazione nel contesto di adeguamento dell’esistente e dell’innovazione nei concorsi «Nuove Chiese» indetti dalla Diocesi di Milano in questo triennio.

Questa lunga fase preparatoria con acquisizione di esperienza ha permesso direttamente a Mazza una verifica tangibile delle proprie ipotesi, e agli architetti e agli studenti coinvolti un improvviso e inedito terreno di confronto, oltre la lunga stagione autoreferenziale dell’architettura.

Sulla stessa linea di confronto e di scambio si è collocato un lavoro di relazione tra arte e liturgia, dove il sistema iconografico espressivo contemporaneo è stato proiettato da Mazza in un ruolo nuovamente attivo, caleidoscopico e policromo, interlinguistico e interdisciplinare, nell’edificio religioso, non distraente ma di partecipazione, dove l’arte cristiana contemporanea torna ad essere una componente strutturalmente liturgica.

Anche all’interno delle relazioni tra arte, architettura e liturgia si colloca l’innovativo studio di Mazza, interpretato straordinariamente da Michele Premoli e dai suoi ex studenti ed oggi assistenti dello Studio Nizzoli, e arricchito dal contributo straordinario di Mario Oliveri e Mimmo Cavallo.

Particolarmente interessante appare in questo quadro il principio di modularità costruttiva presente nel progetto della basilica, dove cioè attraverso le soluzioni di una moderna prefabbricazione appare recuperata, accanto ai dati di risparmio delle risorse, al superamento di troppe «licenze poetiche» e del diffuso clima di autoreferenzialità, la cultura dei modelli antichi, dal gotico al neoclassico, e della loro diffusione e distribuzione territoriale; si avverte quanto il recupero di questo sistema progettuale che opera sulla stabile conferma del modulo architettonico riaffermi la centralità liturgica dell’apparato iconografico, e il valore teologico del sistema delle immagini nell’edificio di culto.

Attraverso l’apporto interpretativo dello Studio Nizzoli, il saggio di Mazza non rimane isolato nella sfera accademica, ma accresce il suo valore innovativo e determina l’impianto liturgico del concorso promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana per la nuova chiesa parrocchiale del Sacro Cuore in Baragalla nella Diocesi di Reggio Emilia.

Le questioni racchiuse in un processo di recupero e di riproposizione del concetto di realtà basilicale, posta nella sua concezione originale sul tracciato della concezione sinagogale, appaiono in grado di affiancare le suggestive soluzioni «monastiche» diffuse in area franco-tedesca ma ulteriormente sviluppano la riflessione sul patrimonio delle origini della comunità cristiana; la proposta di Mazza appare quindi collocata lungo un cammino in regress, inaugurato da Romano Guardini con il Movimento Liturgico, significativamente qualificato dagli studi di Frédéric Debuyst, verso la realizzazione di quell’assemblea celebrante, sintomatica del clima di rinnovamento promosso e sostenuto dal Concilio Vaticano II.

Si avverte in questa nuova ipotesi una svolta in grado di scardinare gli accorgimenti assembleari troppo perorati in Italia, che seppure caratterizzati da volontà di superamento del sistema tridentino, offrivano soluzioni spesso ambigue e contraddittorie, caratterizzate da una teatralità e spettacolarità che si mantiene lontana dal valore di un’assemblea che celebra, che partecipa attraverso il confronto, che non si appiattisce e non demanda, non delega, che agisce con il movimento e l’azione.

Gruppo Ottolini-Rizzi per una nuova chiesa parrocchiale del Sacro Cuore in Baragalla nella Diocesi di Reggio Emilia

Il tema del colore, centrale all’interno del progetto iconografico-estetico, appare un dato condotto dagli artisti in piena sintonia con i progettisti e si concretizza per specifiche competenze di comunicazione: straordinaria appare ed inedita, rispetto alla stagione moderna e contemporanea, la concezione della pavimentazione elaborata da Stefano Pizzi, mentre ancora il colore si qualifica negli inserti pittorici di Clara Brasca con l’immagine devozionale dedicata alla Vergine Maria e di Francesco Correggia sulle emozioni antiche del battesimo. Nei tre distinti interventi la pittura si fa non più strumento di mera descrizione, ma fattore di evocazione, cioè di un linguaggio che negli spazi della materia rappresa o nella sua incontrollabile liquidità e nei suoi grumi e forme si insinua nei meandri della poesia, configura testimonianze lontane nei secoli, intuisce e rivela «immagini» immerse nel silenzio e nell’oblio per tornare ad essere valori del presente.

La pavimentazione è condotta da Pizzi sperimentando le recenti tecnologie plastiche e si qualifica attraverso la rivisitazione e la reinvenzione delle grandi pavimentazione antiche, da quella di Otranto a quella rinascimentale del Duomo di Siena; nasce un progetto avvolgente e vivacemente emozionante in cui l’artista rielabora valori divisionisti e componenti pop, ed esprime nella contemporaneità il patrimonio persistente dell’iconografia cristiana antica. Questo nuovo progetto espressivo di ampie dimensioni e forte innovazione tecnologica si colloca all’interno di un decennale progetto interpretativo condotto da Stefano Pizzi sulla cultura iconografico-devozionale, caratterizzato da una volontà di rilancio e di riacquisizione nella cultura contemporanea, ed ampiamente verificato con collocazione negli edifici di chiesa. Nell’ambito della rivisitazione iconografica, ma con un approccio interpretativo rarefatto, con una volontà di invenzione attenta e analitica, e quindi collocandosi nella ricerca e nell’arricchimento dell’iconografia mariana, si colloca l’opera di Clara Brasca; l’artista appare interpretare alcuni processi di ripetizione – con minime variabili simboliche – dell’icona, e sembra interessata ad acquisire e ad esporre i valori psicologici propri del sistema della ripetizione e dell’insistenza. Una nuova grande tela mariana che prosegue un percorso iniziato con le quattro tele dedicate alla Madre di Dio, ora nella Diocesi di Aosta, appaiono inserite all’interno di un’estetica concettuale e quindi sintomatiche di una comunicazione dei processi di invocazione e di preghiera propri dell’esperienza religiosa. Alla luce di una lunga serie di interventi espressivi nelle Diocesi di Ivrea e di Piacenza, dedicate all’intensità simbolica dell’elevazione spirituale attraverso le dissolvenze ma anche la forza evocativa del colore nel prezioso coro dell’Oratorio settecentesco di San Rocco a Piacenza, il nuovo ciclo pittorico predisposto da Francesco Correggia affronta e risolve con un processo in estensione della superficie pittorica l’ampio spazio dell’aula liturgica. Un nuovo intervento che ancora interpreta ed esalta attraverso le grandi dimensioni moderne dell’aula e nella sua luce distribuita, i valori e le funzioni dello spazio di chiesa, rispondendo puntale alle attese di concentrazione spirituale e di immersione nella materia teologica. Alle spalle dell’articolato intervento iconografico distribuito da William Xerra tra la facciata esterna e le porte d’ingresso fino all’apice appartato della riserva eucaristica, con valore concettuale di rapporti di legame e collegamento, si pone con forza significativa l’esperienza espressiva condotta dal maestro piacentino sulla figura di Gesù di Nazaret e particolarmente configuratasi nell’installazione nella chiesa di Sant’Anna a Caluso.

Nella piena corrispondenza con lo stato di sperimentazione e di ricerca specifico della stagione contemporanea, Xerra ha individuato nel dato iconografico racchiuso nel frammento e nell’intensità iconografica della stessa parola posta in un brano pittorico tratto dal passato, nella tecnica e nella cultura della sinopia, nel ricordo dell’oggetto devozionale, le infinite tessere ed una fitta rete di rapporti cromatici e formali; anche questo lavoro è infatti il frutto di un confronto e di una integrazione rispetto al dato frammentario del reperto, del ricordo che torna a vivere nella nostra percezione.

L’altare e l’ambone di Alberto Gianfreda 

Di fronte ad una nuova concezione dell’area presbiteriale, con evidente volontà di scissione in due poli autonomi e liturgicamente distinti, l’intervento scultorio di Alberto Gianfreda appare caratterizzato da un rigoroso stato di condivisione e qualificato attraverso uno stato espressivo di equilibrio tra valori simbolici e tensione minimale.

Anche per Gianfreda questo nuovo lavoro si colloca in un rapporto di intensa continuità progettuale-plastica qualificatasi ultimamente nel presbiterio della chiesa romanica di Vigoleno (Piacenza) e Lugnacco (Ivrea), ma anche per l’abbazia di Monte Uliveto Maggiore.

Nel caso specifico del progetto Ottolini-Rizzi e quindi di un edificio nuovo, i due strumenti plastico-visivi, l’altare e l’ambone, vivono l’esperienza di quel comune rapporto di luce espresso dall’architettura, e infatti si legano ad essa senza fratture formali né cromatiche, senza sovrabbondanza iconografica né retorica dei materiali autoreferenziali; un percorso espressivo specificamente contemporaneo e nettamente inserito in una cultura artistico-liturgica nord-europea.

Nella definizione dell’altare la pietra condotta per lastre si predispone ad un rapporto compositivo rigoroso nella definizione della mensa grazie alla forza organizzativo-simbolica delle fasce d’acciaio, dove nell’altare vive un processo, è animato dalla volontà e dal progetto di aggregazione dell’assemblea celebrante che si stringe intorno ad esso.

Per altro verso l’ambone si «spagina» per grandi fogli di pietra, si apre e si mostra ospitale alla lettura e all’ascolto; seguendo un’intuizione straordinaria, l’ambone di Gianfreda appare seguire il processo di interpretazione concettuale del «luogo sopraelevato», per poi vedere nel lettore la presenza viva della parola di Dio.

Il sistema iconografico contemporaneo e l’adeguamento estetico-liturgico

La luce e le vetrate

La luce risulta certamente una delle grandi questioni che riguardano l’architettura e la ridefinizione dell’arte sacra contemporanea, sia sul piano del valore simbolico sia, più ampiamente, su quello antropologico-spirituale; i rapporti tra le tecniche della vetrata e l’azione contemporanea dell’arte sono tra i passaggi più difficili, e rari sono i risultati significativi. In questo ambito si possono sottolineare due distinte sfere di comunicazione.

La prima è caratterizzata dallo stretto rapporto tra la cultura pittorica contemporanea e la sua diretta applicazione al supporto vitreo in un rapporto di assoluta simbiosi, grazie a specifiche novità tecniche di trasformazione del vetro colorato.

La seconda si configura attraverso la mirata attenzione e quindi attraverso una operativa manipolazione creativa dei materiali tecnologico-industriali con chiare valenze di innovazione estetica.

Il colore e la pittura

Se giustamente si vuole mirare a un progetto coordinato, è da ritenersi ampiamente superata dalla complessità espressiva del sistema dell’arte contemporanea la stagione che escludeva la presenza del colore e quindi della pittura nelle grandi campiture e stesure. Senza in nessun modo formulare un obbligo, è utile ricordare la pari dignità di un’azione espressiva policroma, sintomatica dell’intera cultura artistica dei nostri edifici religiosi, dal medioevo all’Ottocento, rispetto al rigore estetico dell’architettura.

Il colore deve essere inteso nel rapporto con la ricchezza del simbolo luminoso, della sua condizione di atmosfera, di esaltazione emozionale di un luogo «diverso» in cui confluiscono le emozioni, le passioni e i ricordi, le prove e le risurrezioni.

La pittura ha il compito di recuperare la sua testimonianza dettagliata di azione liturgica, di suggestione per il fedele, di racconto ricondotto all’ampio contesto della «riflessione».

La scultura e la pavimentazione

L’altare e l’ambone, la sede e il tabernacolo sono tra i valori plastici maggiormente evidenti all’interno dell’aula liturgica e ad essi la storia della progettazione e della scultura ha rivolto costante attenzione espressiva al fine di esaltarne, attraverso lo splendore e la preziosità, la sacralità.

Le implicazioni che risultano determinanti per la liturgia, racchiuse nei valori formali e nelle funzioni distinte dei quattro oggetti sopra menzionati domandano intensità espressiva e rigore, riscontrabili nella scultura contemporanea e nel design, rintracciabili nel percorso di ricerca dei sistemi analitici della forma e dei materiali industriali.

Nell’ambito della cultura delle forme plastiche e quindi dei materiali, la pavimentazione di una nuova chiesa, memore dello sviluppo estetico-storico, potrebbe tornare ad assumere una propria identità espressiva, attraverso una elaborazione colta ed avvalendosi di tecnologie innovative.

I luoghi dell’acqua. Il Fonte Battesimale e l’Acquasantiera

Ai valori della scultura sono storicamente collegati il Fonte Battesimale e l’Acquasantiera la cui specificità plastico-funzionale deve trovare corretta rappresentazione all’interno del sistema ambientale e quindi in corrispondenza con i dettati liturgici; sul piano estetico e iconografico si suggerisce un’azione espressiva rigorosa e analitica sul piano formale e nella scelta dei materiali al fine di escludere soluzioni provvisorie e marginali e che sappiano interpretare i valori di «purificazione» propri dell’acqua e del rapporto antropologico con essa.

Nel caso specifico del Fonte Battesimale e di fronte al soggetto plastico rappresentato dalla «vasca», non si deve escludere la possibilità di agire sulla luce e sul colore al fine di caratterizzare sul piano dell’atmosfera la particolarità dell’habitat «battesimale» rispetto all’unità dell’edificio; la luce e il colore appaiono valori espressivi importanti e significativamente avvolgenti per qualificare la tensione plastica del luogo e della «vasca».

L’Acquasantiera, svolgendo un’azione liturgica inserita nell’esperienza quotidiana, rispetto all’eccezionalità dell’evento battesimale, potrebbe presentare una caratterizzazione estetico-espressiva collegata al Fonte Battesimale e quindi rispondere con una evidente centralità simbolica sia in fase introduttiva che in uscita dall’aula liturgica.

Nell’ambito dell’iconografia biblico-liturgica rappresentata dall’acqua, il tema della «fontana», dello scorrere cioè delle acque tra la vitalità della luce e della musica, appare un’occasione di riflessione.

La parola

La centralità della parola, con valore autonomo rispetto al confine letterario, quale valore riconducibile alla specifica sfera dell’estetica, anche combinata con l’apporto della più recente tecnologia della luce e della video-arte, non può non essere inclusa tra le prospettive significative dell’arte sacra contemporanea.

Opera non opera

Se l’area della «riflessione» torna ad essere nella stagione moderna e contemporanea un’istanza ineludibile per la ridefinizione dell’arte sacra, con la propria autonomia e la propria originalità, non si dovranno escludere quei risultati espressivi che sono nati da spirito di ricerca, quando se ne sia verificata la valenza e la portata teologico-spirituale: essi, infatti, possono intervenire nello spazio sacro con valore inedito, a-funzionale rispetto alla tradizione liturgica, ma comunque portatori di fertile riflessione.

Panche, inginocchiatoi, confessionali, armadi e mobili di esposizione

La questione degli arredi interni non dovrebbe essere affrontata secondo un processo di sottostima e quindi di appiattimento estetico-funzionale, ma dovrebbe essere, o meglio tornare ad essere, accolta con maggiore attenzione da parte del gruppo di progettazione; gli arredi, in quanto fattori determinanti per la qualità liturgica ed estetico-funzionale di una nuova chiesa, dovrebbero tornare ad essere soggetti specifici di studio, di progettazione e di produzione da parte del sistema contemporaneo del design.

In questo ambito progettuale si può segnalare, nel quadro di una visione allargata della liturgia e quindi della partecipazione sia nella sfera individuale che collettiva, il valore «forte» di un contenitore-espositore di libri; al fine di evitare strutture aggiunte, raramente di qualità estetico-funzionale, ma con la volontà di allargare ed accrescere i valori esperienziali del credente, si suggerisce una particolare attenzione al tema della libreria.

Presenze artistiche provenienti dal patrimonio storico

Di fronte alle complesse questioni socio-ambientali che le periferie urbane devono affrontare – il dato dello sradicamento culturale, la perdita di radici e di rapporti con il territorio e quindi con la storia della cultura e della storia dell’arte – anche la realizzazione di una nuova chiesa rappresenta e raccoglie l’esigenza di risposte di valore.

In vista di un corretto apporto iconografico al nuovo edificio religioso si intende segnalare la possibilità, l’opzione aperta per l’inserimento di opere recuperabili dall’immenso patrimonio storico, rintracciabile sia nel sistema di conservazione, sia sul mercato antiquario, assolte le questioni di sicurezza, senza esasperare la ricerca di opere di grande valore artistico. La presenza di un’opera antica può essere tenuta presente per la qualità della sua forza spirituale e in relazione alla sua ricaduta sulle aspirazioni dei fedeli. L’aura che avvolge l’opera sacra storica, con le sue radici e grazie ai valori propri della continuità, può rappresentare un ulteriore arricchimento della dotazione artistico-iconografica generale.

Approccio estetico-concettuale al patrimonio devozionale. La chiesa con la sua «dedicazione»

Tenuto fermo quanto si è esposto sopra, la questione delle esigenze devozionali, comunque richieste dalle diverse fasce generazionali dei fedeli, non può non essere affrontata, al fine di evitare l’estemporanea e frequente collocazione di statue e strutture posticce di supporto.

Si suggerisce al gruppo di lavoro incaricato della progettazione propositiva di affrontare direttamente e quindi di verificare e di discutere la richiesta di opere (sculture) e immagini (quadri) propri della devozione popolare con la comunità parrocchiale committente, al fine di predisporre una soluzione estetico-ambientale specifica, liturgicamente verificata.

Risulta particolarmente importante, in base al patrimonio espressivo maturato dopo gli anni ’60, caratterizzare tale impegno attraverso gli strumenti espressivi specifici di un’azione estetico-progettuale; una caratterizzazione dell’esperienza espressiva segnata dalle valenze concettuali dell’installazione qualifica e arricchisce attraverso la componente estetica il rapporto di riflessione con il soggetto devozionale e quindi attribuisce più ampie valenze ad una mirata collocazione spazio-temporale.

In questo ampio quadro metodologico-propositivo si ritiene importante ricordare la questione significativa della dedicazione del nuovo edificio; si ritiene cioè che la nuova chiesa debba dichiarare e segnalare, soprattutto nel contesto ambientale esterno, ma senza preclusione anche per l’interno dell’aula, la configurazione visiva di quei valori significativi a cui la comunità dei fedeli rivolge il suo sguardo e la sua attenzione. 

Per un’etica dell’arte

Se nella generalità dell’arte sacra contemporanea non risulta una corrispondenza con la cultura artistica contemporanea e con il suo sistema metodologico-espressivo, allo stesso modo resta sfuocata, a volte compromessa, anche la qualità etica nelle procedure e nelle produzioni dell’arte: lo si nota nei rapporti di committenza, là dove essi raramente corrispondono all’effettiva consistenza dei valori in campo, con la tendenza a sovrastimare competenze e costi di produzione.

La corrispondenza delle diverse tipologie di rapporto e di produzione con il sistema complesso dell’arte contemporanea, l’etica della ricerca scientifica, della cultura progettuale e dell’indagine tecnologica sono passaggi in grado di determinare un più corretto rapporto «qualità-prezzo», un severo controllo di quei passaggi ottimali che conducono rapidamente al miglior risultato, anche sul piano del risparmio e quindi del miglior utilizzo delle risorse finanziarie, e dell’azione espressiva.

La stampa cattolica. Il settimanale diocesano e Strumenti

Anche in questa sede desidero segnalare che l’utilizzo degli inserti o allegati ai settimanali diocesani è il primo preciso indicatore di un diverso modo di intendere l’arte sacra moderna e contemporanea tradizionalmente intesa, cioè come realtà disgiunta dalla vita reale della chiesa; si tratta di una indicazione diversa, di un significativo cambio di rapporto e di tendenza, di un voler entrare a far parte a pieno diritto di un sistema di percezione, che pretende di costituirsi all’interno di un’esperienza vivace e articolata.

La scelta dell’arte di oggi, con il suo patrimonio consolidato nella contemporaneità lungo la sperimentazione e la ricerca, condotta all’interno della conflittualità del secolo, è di appartenere strutturalmente alla quotidiana esistenza di una comunità, di non isolarsi rispetto ad essa attraverso gli strumenti «nobili» dei cataloghi d’arte e delle mostre, di distribuire le proprie idee iconografiche attraverso lo strumento diocesano dell’informazione, accanto ai resoconti della Caritas, all’attività pastorale dei parroci, alle diverse forme di comunicazione nel rapporto tra la comunità dei credenti e le istituzioni di una chiesa viva, che deve confrontarsi con le difficoltà di ogni giorno. 

Questo strumento d’informazione, con la sua storia e i suoi sviluppi nell’attualità, è a tutti gli effetti un «motore di ricerca», ed è sulla specificità di questa sua natura, l’indagine e la comunicazione, che ha chiari rapporti di relazione con il sistema della cultura, con il sistema dell’arte; concettualmente i due strumenti, il giornale e l’opera d’arte, interagiscono insieme, utilizzano linguaggi diversi, ma inseguono l’obiettivo del dialogo e del confronto con il lettore-fruitore.

All’interno del settimanale diocesano, l’inserto straordinario raccoglie un’idea diversa di arte sacra, ancora di un’esperienza non disgiunta dal sacro ma immersa fisicamente nel sacro, nel liturgico, nel teologico, nell’esperienza spirituale; il «nuovo giornale» non cataloga le opere distribuite nel museo, nella galleria d’arte, lontane dalla funzione d’uso a cui il clima tematico, le diverse specificità, fanno riferimento, ma documenta la disseminazione, la distribuzione di nuovi ed inediti strumenti linguistici all’interno di una realtà teologica in movimento, di una storia che si rinnova per sovrapposizione di stili e di emozioni, che vive attraverso l’innovazione e il cambiamento, buono e negativo che sia.