Il sistema contemporaneo dell’arte: nuovi intrecci fra soggettività e tradizione. 2009

Il sistema contemporaneo dell’arte: nuovi intrecci fra soggettività e tradizione.

2009

“Il vero artista aiuta il mondo a rivelare le verità mistiche” Bruce Nauman.

Lungo questi dieci anni di indagini e di ricerche, dopo aver riverificato e ricontrollato risultati conosciuti e sconosciuti nell’epoca moderna attraverso la ricollocazione nella coscienza critica e nell’esperienza creativa, ma soprattutto lavorando concretamente – lungo questi dieci anni – con la cultura artistica contemporanea, dove si intende la predisposizione di un vasto sistema espressivo, multi linguistico e multi generazionale, specifico e mirato sulle proprie leggi e valori, scorporata la prassi della citazione dal patrimonio iconografico, coscienti – lungo questi dieci anni – fino a sradicare la diffusa tendenza all’auto referenzialità dell’arte contemporanea nel sistema globale, si è giunti ad aprire, all’interno del concetto di ‘arte sacra’, una stagione nuova nel rapporto tra arte, architettura, teologia e liturgia, per proiettare riflessione e produzione sulla forbice ampia,  immensamente diversificata tra testimonianza e funzione, dell’ estetica del sacro’. .

Si è ben compreso ormai anche in Italia, in ritardo rispetto al patrimonio diffuso in area franco-tedesca, l’urgenza, da tempo (dagli anni ’60) e sollecitata da più parti, da Lucio Fontana ad Alberto Burri a Dan Flavin nella ‘rivisitazione della Chiesa Rossa a Milano di affrontare con responsabilità, con reciproco confronto nella forza dell’autonomia che produce valore, di attraversare e frequentare il borderlend insito nell’esperienza estetica del sacro, della confessione religiosa, dell’interconfessionalità che unisce anche nelle differenza e che arricchisce l’esperienza spirituale e la ricerca di fede.

I dati raccolti in dieci anni di ricerche ed attività editoriali e di produzione dell’arte condotte dal Dipartimento Arti e Antropologia del Sacro dell’Accademia di Brera, con il contributo dei Docenti della Facoltà Teologica di Milano coordinati da Mons. Pierangelo Sequeri, indicano la necessità di introdurre con chiarezza una svolta ai valori ed ai contenuti racchiusi nella definizione di arte sacra; attraverso l’introduzione del concetto di ‘contemporaneità’ dell’arte sacra si intende abbandonare una mera interpretazione di tempo, ma fare riferimento al patrimonio espressivo e  tecnologico, ai sistemi linguistici ed ai valori etici dello stato di ricerca.

Attraverso la definizione di appartenenza allo stato dell’arte contemporanea, al suo sistema di regole e di valori acquisiti, ad una cultura responsabile e radicata della sperimentazione, alla natura strutturalmente progettuale della comunicazione visiva, si tende ad allontanare quella genericità inquinante che permette ancora la diffusione di quella povertà espressiva che caratterizza ed alimenta il mercato dell’arte sacra; il grado di distribuzione e di diffusione che la cultura artistica contemporanea nel suo insieme e nella sua complessità ha raggiunto da tempo ed internazionalmente, ci permette il superamento di una storia dell’arte fatta di eventi rari e straordinari, spesso costruiti sulle strette e selezionate regole del mercato, e ci suggerisce un’attività espressiva che torna ad essere attenta interprete del grande mistero della fede.

L’esperienza acquisita sul piano teorico e sul piano progettuale ed espressivo, suggerisce l’individuazione all’interno del sistema dell’arte sacra e quindi la riflessione su due distinte aree di indagine, quella ‘funzione’ e quella della ‘riflessione’ . La conoscenza di due distinte aree di indagine espressiva, l’osservazione di competenze autonome e i valori diversi nella fruizione si pongono alla base  di un progetto di lavoro teso a dare un senso organico ed una prospettiva suggestiva nella definizione dell’Arte Sacra.

Alla luce di queste riassuntive valutazioni e quindi all’interno di un percorso personale di ricerca ho cercato di predisporre un ‘laboratorio’ teorico in grado di verificare le possibilità di sviluppo e di applicazione ancora racchiuse nel binomio storico ‘Arte Sacra ’. 

Fondamentale lungo questo percorso la fitta rete di scambio intercorsa con Pieranngelo Sequeri, non solo caratterizzato dal contributo sul piano dogmatico specifico, ma soprattutto all’interno di un processo di confronto con i processi espressivi e di progettazione; si è trattato concretamente di una teologia condotta e verificata direttamente nel fare dell’arte, attenta a porre in evidenza intuizioni e favorire suggestioni specifiche; a noi tutti è apparso evidente quanto il raffinato teologo abbia progressivamente scelto di condurre un’attività di ricerca parallela alla storia artistica contemporanea, non solo in forme di riflessione ma anche suggerendo ed indicando, promuovendo e collocando l’opera nello spazio ‘sacro’.

Optando per un titolo fortemente schierato ‘Arte Cristiana Contemporanea ‘ mi sono posto con chiarezza il progetto di uscire da quell’ampio territorio generico che avvolge l’attività espositiva dedicata a quest’area, di abbandonare un’interpretazione indebolita dalla separazione liturgica, per ricollocarla nella complessità antropologica del sacro, e quindi di predisporre e sollecitare il recupero, attraverso un lavoro rigoroso, di significativi momenti di specificità e di confronto progettuale. 

“Ho iniziato con temi profani, ed ecco che al tramonto della mia vita, in tutta naturalezza termino col divino…” Henri Matisse

‘Arte cristiana contemporanea’.

Il primo dato è il superamento della retorica del ‘mistero’ dell’atto creatore dell’arte e dell’artista, riconsegnando attraverso un processo antropologico in regress l’essenza esperenziale estetica posta all’origine dell’arte sacra, nata con la volontà di memoria dell’icona, con la sua fissità concettuale, immobilità fotografica, centralità verso la grande astrazione della fruizione.

Sappiamo che la storia dell’arte moderna e contemporanea ha definito il ritorno della centralità dell’icona, di un’opera che ha escluso, che ha archiviato il ‘racconto’, che ha privilegiato il rigore della notizia, la sua incisività aperta, la sua manipolazione nella fruizione attraverso l’interferenza ed il confronto, lo scambio, tra sottolineatura e cancellazione; abbiamo reintrodotto il ‘mistero’, direttamente nell’opera, riconsegnandole la complessità che le è propria solo nel processo di fruizione, nello spazio della fruizione, nella natura dell’habitat, nella sua istallazione. 

Il secondo dato riguarda l’azione espressiva individuale condizionata dal confronto con il patrimonio storico globale e studiato all’interno del proprio sistema linguistico; l’artista contemporaneo, che appartiene per scelta e per verifica alla cultura contemporanea dell’arte, riconosce ed approfondisce, con valore di contributo specifico, i valori della fede, sottolinea i suggerimenti teologici, esalta l’azione liturgica nell’opera; il suo procedere è lento ma progressivo, mirato ma largo nello spettro di manipolazione, attento a perdersi tra i dati e le emozioni. 

Questo processo appare solo una parte ed in parte nell’opera, dove la redazione si configura solo come atto parziale, nella sua gran parte nascosto e riservato; l’opera contemporanea è una realtà oggi autonoma rispetto al suo artefice in ragione di una vita interna che le è propria ed in conseguenza della sua collocazione; l’opera contemporanea non è storica anche se riconoscibile, non ha esperienza che di se stessa e muove i primi passi nello spazio, nel procedere che cambia mutando se stessa, crescendo e rinnovandosi, sfuggendo alla conservazione per essere in vita.

In base a questi due dati l’arte sacra contemporanea appare religiosamente contemporanea, naturalmente in cammino, spiritualmente animata da passione, liturgicamente attiva nella fruizione. Ma nelle nostre chiese essa non trova collocazione, è spesso sola e isolata nel vuoto, nel silenzio e nell’asetticità del bianco, non vive nel confronto con i suoi simili e con gli uomini; l’opera non è adorabile ma lo potrebbe anche essere, l’opera non racconta ma invita a pensare perché il racconto cresca rinnovandosi fino a farsi esperienza e testimonianza nel tempo presente; l’opera che scrive è una costante della contemporaneità, dove la parola non è una citazione ma un’iscrizione che rinnova il suo messaggio; l’opera è colore e luce che si espande nello spazio ed avvolge contaminandosi con il respiro dell’anima umana; l’opera è nella forma della materia e nelle sue proprietà e nei suoi processi di produzione per essere organismo che interagisce attivamente ed obbligatoriamente; l’opera è suono che attraversa l’energia della comunicazione collettiva nello spazio consacrato; l’opera definisce lo spazio, interagisce con e sostiene, rinnova e prolunga, rianima la consacrazione attraverso la fruizione, l’ascolto e la parola, il gesto ed il segno; l’opera è un caleidoscopio che appartiene a se stessa per agire, come ognuno di noi, con gli altri, ottenendo dagli altri ragione e senso alla sua esistenza.

Ho visto opere ascoltare il sacro, consacrare lo spazio, suggerire la fede; opere diverse, del tutto diverse l’una dall’altra come ognuno di noi per appartenere poi ad un’unica famiglia. Lungo il percorso della cultura contemporanea dell’arte si potrà chiedere, invertendo un’abitudine del pensiero (G.R.) ad un “pittore che non crede di esprimere messaggi religiosi – ma anche – chiedere a un cieco di parlare della luce e dei colori, oppure chiedere a un sordo di parlare di rumori, di suoni e di musica” .  

In questa mia continua ricerca ho riscontrato la perdita dei concetti di magico, di sacro; ci si avvicina agli oggetti e alle cose vedendo solo la parte reale di essi senza cercare il fascino del mistero del sovrannaturale. Gli stessi religiosi hanno perso la loro sacralità,così sentita dalle popolazioni primitive. Claudio Costa 

Testimonianza.

“Ho scelto di passare dal ‘grandangolo’ al ‘caleidoscopio’. State entrando attraverso la proiezione di duecento immagini anche voi nel ‘caleidoscopio’ dell’Arte cristiana contemporanea”, entrate in questo sistema di immagini, spazi e materiali, all’interno di frammenti espressivi racchiusi in un libro che molti, troppi hanno criticato, evitato attraverso il silenzio, senza recensire un volume fatto dall’impegno espressivo degli studenti di Brera; silenzio per buon cinismo, a cui siamo abituati, per perbenismo, a cui siamo abituati”.

La mia vita interiore si è costruita attraverso le cose che mi sono arrivate per tante strade, per cui vorrei provare a interpretare, a plasmare i rapporti tra la vita interiore e l’arte sacra; dove nella vita interiore l’azione di ricerca si configura come professione ed evento stabile della vita. I due dati si pongono in un  binomio inscindibile secondo il principio stabile di arte-vita. Si tratta  di partire dalla concezione, maturata e vissuta negli anni, che ogni prodotto dell’arte, dal disegno all’opera, dalla maquette in gesso al grande bronzo, vive una particolare condizione che scarsamente gli è stata attribuita in questi duemila anni di storia occidentale; in chiara relazione con la nascita della cultura visiva dobbiamo accettare lo stato dell’opera d’arte,sin dalla sua nascita e lungo la sua storia nel suo percorso ambientale, sia esattamente e fondamentalmente come un bambino, poi un ragazzino, dove cioè l’opera d’arte è in grado di esprimere e di mantenere non intatta ma in costante movimento una complessità di segreti interiori con possibili e infinite ricadute nelle relazioni esterne. L’opera d’arte è come un ragazzino di pochi anni, nel senso che ha in se stessa gli elementi  del padre e della madre, i valori educativi della famiglia e della società e quant’altro, ma poi dentro di sé, a seconda delle infinite variabili esperienziali  che vanno a collocarsi, a confondersi nel suo sviluppo, accentua, migliora, cancella una serie di valori. L’opera d’arte cioè parte, sia che sia iconica o aniconica, con una sua definizione, un territorio di valenze, ma poi in realtà, mutando la sua collocazione, muta le valenze che esprime. L’opera, la scultura, il quadro, una volta abbandonato lo studio dell’artista e quindi il luogo protetto, comincia a navigare e  va a collocarsi in maniera obbligatoriamente disponibile, a volte conflittualmente, nelle infinite variabili che la realtà gli offre; va in una collezione, in una chiesa, in una casa, va nello  studio di un antiquario, in un talk show televisivo; opera che si installa nella sua contemporaneità, travalica le stagioni estetiche e si relaziona con altre, antica dialoga e viene utilizzata. In base a questa esperienza di vita dell’opera ho scelto per essa e di volta in volta luoghi non deputati all’arte, non specificamente conservativi, protettivi, ma spazi e territori ambientali determinati da fruizioni umane diverse, dall’ospedale alla stazione, dalla casa privata alla chiesa,dal sagrato all’aula liturgica. Nel contesto specifico della nostra analisi, mi sono portato all’interno di mirati spazi sacri, consacrati, attrattivi per l’esperienza spirituale e determinati dallo sviluppo dell’azione liturgica. In queste sedi, dalla cripta al presbiterio, spesso complessi nella stratificazione storica, spesso sovraccarichi dalle citazioni, asetticamente protestanti, sempre inadatti alla liturgia rinnovata sulla partecipazione, hanno trovato collocazione tutte le opere studiate e scelte, non sempre deputate dalle committenza e dalle sue regole, a volte inedite rispetto alle funzioni liturgiche ma che si scoprono vicine, più vicine con le proprie forme i propri colori alle letture, alla preghiera, al gesto ed all’emozione. Un percorso delle opere, dei suoi manufatti diversi ma anche dei suoi processi linguistici, dal sistema dell’arte contemporanea alla cultura dell’arte sacra contemporanea; non quindi solo opere recenti, ma processi specifici di istallazione (il gusto estetico e lo stile formale nel passato) in grado di gestire tutte le opere e ridefinire tutti gli spazi della chiesa.  E’ parte costitutiva della responsabilità dell’atto critico spostare e collocare le opere quindi seguire la ri-collocazione (ad esempio le sculture e le immagini devozionali dei Santi) per cui nel concetto di installazione l’opera è portata a reagire trovando in se stessa quegli elementi della sua vita interiore che sono a monte dell’atto creativo, dentro l’atto creativo, di cui forse lo stesso artista non era cosciente – nella vita non abbiamo coscienza di tutto. L’opera nella chiesa esplica,  oggi diversamente da ieri ed attraverso la nostra fruizione una complessa e sempre rinnovabile vita interiore, tutto il suo portato di sacralità, di testimonianza spirituale, di interpretazione e di commento, con valore di sottolineatura, di condivisione del mistero. Grazie all’incontro dialettico tra l’opera e lo spazio liturgico, attraverso lo spostamento ed il rinnovamento, nasce l’esperienza dell’arte sacra cristiana contemporanea. 

 “Negli ultimi anni, l’esperienza estetica è vissuta sotto il segno di queste due costanti:da un lato ,l’artista si concentra in se stesso,riflettendo sui propri procedimenti e sulle funzioni mentali che stanno a monte di essi; dall’altro, si sporge sul mondo, penetra nello spazio e in qualche modo lo modifica. Arte concettuale e Arte del comportamento operano all’interno di questa struttura bipolare della centralità e della dispersione”Filiberto Menna in ‘La linea analitica dell’arte moderna,1975.

La funzione e la riflessione.

In questo ambito si definiscono i rapporti tra l’opera d’arte e le funzioni caratterizzanti l’edificio religioso; l’aula con i suoi altari e gli apparati liturgici e devozionali segnalano il valore caratterizzante di una funzione fatta di preghiera e di ascolto, di partecipazione e di azione diretta, quindi di fattori rispetto ai quali le opere, prima del valore artistico specifico, svolgono un ruolo ed una funzione, interagiscono con ed all’interno di questi processi specifici; ogni manufatto finisce per essere assorbito all’interno di un sistema impegnativo di cui l’artista non può non essere responsabilmente cosciente e quindi sin dal momento della redazione dell’opera, della definizione delle sue proiezioni e sviluppi. Prima che opera d’arte il quadro si fa pala d’altare e la scultura altare e ambone, la pittura rivisitazione di un miracolo, di un’esigenza e di un’aspirazione spirituale; non tutte le opere e gli oggetti risultano ed hanno un ruolo nella storia opere d’arte ma sicuramente i quadri e sculture, e quanto risponde ai linguaggi visivi, che trovi collocazione nell’edificio
religioso, tra le sue funzioni e pratiche, non potrà non rispondere al patrimonio della sacralità, e quindi collocandosi all’interno di un percorso iniziato con il ‘miracolo’ proprio della prima ‘icona’. Quando l’opera è predeterminata rispetto  alla collocazione, essa acquisisce valori nuovi non programmati precedentemente dal suo artefice; vengono
auto-acquisiti dall’opera grazie all’azione specifica della funzione e della partecipazione, subiscono una normale riqualificazione involontaria dimostrando che l’opera include al suo interno un potenziale comunicativo spesso sconosciuto e rinnovabile mentre da parte dei credenti si rivela una specifica e creativa possibilità di assorbimento e di ricollocazione
all’interno di un processo esperenziale predefinito dalla storia. Il fedele, categoria complessa e sfaccettata nel processo storico e nel presente, sembra aver infatti acquisito e depositato nella propria coscienza il sistema di rapporti simbolici ed intercambiabili tra il tavolo e l’altare, tra la mensa e l’ara, tra la panca, la sedia ed il trono, per poi includere, nel quadro di contesti più specifici appartenenti sia alla sfera liturgica sia all’ampio territorio della devozione; un’area rappresentata dal patrimonio materiale dei reliquari, dal vasto ambito dei frammenti ossei, ai capelli, alle vesti, agli oggetti appartenuti in vita agli
uomini-santi e quindi venerati; un processo, quello della venerazione che ha coinvolto ancora le opere d’arte, dai quadri alle sculture, di ogni epoca e stile, dai materiali e dalle tecniche, da quelle povere a quelle nobili. 

Una cultura dell’arte sacra contemporanea si fonda sulla condizione forte e specifica della ‘riflessione’ attraverso cui l’artista configura l’opera, vettore di fertile elaborazione anche nella fruizione religiosa; ritengo che solo una conduzione di indagine e di interpretazione creativa configura un’istanza espressiva in grado di intervenire, con valore inedito e di contributo originale, nello spazio teologico.

Il porsi dell’artista e dell’opera all’interno del sistema dell’arte risulta il fattore che ne determina l’attribuzione di valore contemporaneo e ciò si configura attraverso la correlazione e la corrispondenza con i sistemi linguistici e metodologici comuni al sistema. Tale è l’acquisizione articolata e sedimentata di una stagione che è durata  l’intero XX secolo. Lo stato dell’arte contemporanea elabora e sviluppa in progress comuni aree di ricerca e di comunicazione orientate entro l’intrinseca natura concettuale dell’arte, qualificandosi attraverso la contaminazione evidente tra la natura materico-formale dell’opera e la cultura progettuale dei processi espressivi.

I processi progettuali ed i valori concettuali rappresentano il borderland di riferimento del sistema dell’arte contemporanea, e, in stretta relazione con quest’area esperenziale si configura il libero riferimento alle questioni linguistico-visive e tecnico-formali.

In quest’ambito anche l’area della devozionalità e della spiritualità popolare, presente a tutt’oggi nella tradizione dell’arte sacra, ha pieno diritto di agire e può essere positivamente affrontata. Il sistema dell’arte contemporanea non interviene sulla babele linguistica ma risponde ad un processo di vivace e responsabile deregulation linguistico-visiva, per cui ogni area espressiva ha pieno diritto di affermarsi all’interno di un progetto architettonico e ambientale. Alla luce di tutto ciò, non si pongono limitazioni né si sollecita un sistema formale a scapito di altri, mentre si suggerisce la ricerca di soluzioni inedite condotte con il necessario rigore e le specificità del sistema linguistico adottato; si suggerisce inoltre la più ampia frequentazione interpretativo-concettuale dell’immenso patrimonio iconografico-simbolico e lo spirito di ricerca dentro il patrimonio liturgico-antropologico.

In questo ambito di riflessione, recuperato negli anni ’60 il valore di scambio e di fattiva collaborazione tra artisti ed architetti, configurato anche dalle direttive C.E.I.,  appare possibile e utile una revisione critica di ogni esasperazione, da una diffusa auto-asetticità ad un aniconismo formale fine a se stesso, dall’approccio scolastico-artigianale ad una figuratività aneddotica di maniera, per liberare opportunamente la carica espressiva del colore e della luce, attivare la ricerca di contenuto stimolato dall’immagine, dai materiali di supporto, dalle moderne tecnologie, dalle grammatiche formali di base, nel quadro di un progetto generale concordato dal gruppo di progettazione .

In questa direzione l’uso dei materiali di supporto è da intendere ampio, previo il rispetto di precisi dettati liturgico-teologici riguardanti l’altare, e con esso anche un riesame critico di quei materiali tradizionalmente importanti, troppo spesso impiegati per il valore aggiunto e autoreferenziale, rispetto all’effettivo valore concettuale dell’azione estetica.

“L’idea di libertà diventerà una nozione nuova grazie all’immaginazione senza riserve e alle sue forme di realizzazione spirituale”.Yves Klein.

La bellezza.

Vorrei introduttivamente sfatare una prima retorica, troppo diffusa nell’approccio teologico all’arte, troppo spesso rischioso con quel che di dolciastro, stemperante, che annacqua il senso di attualità del sano confronto culturale e politico, interconfessionale e teologico, intimo dell’esperienza spirituale, delle lucide tensioni che scaturiscono dall’incontro delle posizioni e dal dialogo delle esperienze umane diverse; vorrei che si accettasse l’idea di una cultura e di un’arte che nel ventesimo secolo non ama, non cerca, non esprime, non testimonia un presunto universale linguaggio della bellezza; vorrei che si accettasse che la bellezza non è l’obbiettivo di una sorta di estetica volontà di potenza che elude a priori il dramma della testimonianza; ; vorrei che si accettasse che la bellezza non ha sempre rapporti diretti e obbligati con la verità, che la bellezza, come la verità, non sempre mettono la gioia nel cuore degli uomini; semmai, la pura grazia che, talora, è concessa alle molte peripezie che il divino e l’umano affrontano insieme, per venire a capo del senso della creazione.

Forse anche sul patrimonio storico, sul racconto della sua caleidoscopica ‘bellezza’, si è profusa la violenza e la sopraffazione di una retorica religiosa di maniera, che vuole scontare a priori la dialettica vitalità delle posizioni. Anche nel passato dell’arte – e dell’arte sacra – la bellezza non è stata l’obbiettivo reale, ma spesso un arredo e un presupposto ideologico di maniera, fine a se stesso; e dunque sterile, disgiunto dalla verità. Nel territorio enormemente esteso e variegato del sacro, del sacro cristiano, la natura tormentata e vigile della stabile coscienza del dolore, dell’offesa e dell’umiliazione, l’opera migliore ha riconosciuto la verità dell’arte nella restituzione del difficile confronto dell’uomo con Dio che si rivela e si nasconde nelle sue stesse opere. La bellezza che doveva apparire, è apparsa così: nella lotta con l’ombra, nell’enigma della decifrazione, nella tensione prodotta dall’oscillazione dello spirito fra la presenza e l’assenza di Dio.

Ogni opera di questo progetto, come ogni opera d’arte appare un tassello di un percorso di ricerca e di riflessione, una tormentata gratificazione, un’illuminazione e una delusione, un insieme di valori e di esperienze diverse, forse un percorso troppo difficile per la bellezza, ma con questa natura complessa anche un evento salvifico. Il congedo dall’ideale di una retorica della bellezza evanescente e indolore, lungi dall’impoverirla, allarga la forza dell’esperienza dell’arte che vuole abitare per intero lo spazio della rivelazione. Non è più tempo per una teologia ingenua e sentimentale della bellezza. La posta in gioco è altissima, e non consente indugio retorico. La sfida sta fra l’alienazione dell’arte sacra, e la vitalità insostituibile della sua testimonianza. Lo riconosce, del resto, il magistero più autorevole e più illuminato. 

“Religiosa, dunque è l’arte, perché conduce l’uomo ad avere coscienza di quell’inquietudine che sta al fondo  del suo essere, e che né la scienza, con la formalità oggettiva delle sue leggi, né la tecnica, con la programmazione che salva dal rischio dell’errore, riusciranno mai a soddisfare”.  (Giovanni Paolo II).

E’ in questa luce che si definisce lo spazio di salvezza di una teologia dell’arte; così all’interno del nostro volume e dei nostri interventi espressivi e di adeguamento liturgico dell’aula, si raccolgono forme ed immagini assai diverse e contrastanti,  ma attraverso il cui incontro posso tornare, scontentando qualcuno, ad aprire l’iniziale questione della contemporaneità dell’arte sacra.

Se si intende che il sistema dell’arte contemporanea presenta caratteri di diffusione e di distribuzione molto ampie pur continuando a sorreggersi su ipotesi di avanguardia e di élite  concettuali, preferisco tornare, seguendo la mia storia e il mio istinto critico ancora verso i rischi di un allargamento della “questione contemporanea”, e quindi con un inevitabile abbassamento della soglia di qualità e quindi anche accogliendo l’interazione con aree espressive forse al limite.

Il valore della Direzione Artistica prevede infatti un rapporto di equilibrio tra la progettazione e l’allestimento dove quest’ultimo va a farne parte con peso significativo e mirata qualifica ambientale delle opere; ancora un caleidoscopio che sul piano critico significa riqualificazione concettuale e quindi attribuzione di contemporaneità per un patrimonio artistico diversificato. 

Come per altre mie esperienze ho toccato personalmente attraverso l’allestimento lo spazio della creatività lungo tutto il progetto Arte Cristiana, dislocando le opere e raggiungendo con la creazione del “il Luogo dei Santi”, nella parrocchiale di Lugnacco il mio spazio. 

Questi luoghi sacri rivisitati con responsabile attenzione e questo ‘Luogo’ dimostrano quanto un patrimonio iconografico devozionale, ricollocato, sottolineato, moltiplicato, si ridistribuisca attraverso un processo in regress e ci conduca all’interno della natura del sacro; un’esperienza che devo al mio Maestro Claudio Costa e al mio amico Don Maurizio Tocco.

E’ ancora questo caleidoscopio che è in me che mi permette di interpretare lo spazio e mi riconduce sempre ad una mia natura nazional-popolare estesa tra il ‘borderline ed il borderland’.della creazione.   

Tipologia di un evento espositivo.

Artisti Clara Brasca,Italo Chiodi,Francesco Correggia,Ale Guzzetti,Franco Marrocco,Felice Martinelli,Stefano Pizzi,Beppe Sabbatino,Tarshito.

Nelle dimensioni limitate ma avvolgenti della Cappella Ducco nel Comune di Trenzano Diocesi di Brescia, seguendo il filo continuativo delle pareti, ho predisposto la distribuzione espositiva di dieci grandi opere d’arte; si è trattato infatti di scegliere nella produzione degli artisti singole opere  che potessero contemporaneamente dichiarare un’interiore volontà espressiva ma anche predisporsi al confronto con un sistema articolato di valori diversi. Lo spazio offre infatti e per sua natura liturgica la coopresenza di momenti individuali e di processi collettivi; ogni opera appare una voce, o la lettura di un Salmo, l’ascolto di una preghiera, mentre tutte insieme danno emblematicamente senso alla coralità dell’esperienza spirituale nella scelta delle opere vanno ad interagire momenti iconografici chiaramente riconoscibili nella cultura estetico-teologica mentre altre opere indagano nuovi confini tematici, elaborano esperienze religiose interconfessionali ritracciando elementi di comunione e di differenziamento. 

Indubbiamente l’esperienza che la fruizione è invitata a cogliere necessita di grande disponibilità e di quella volontà di abbandono di dati e nozioni certe e consolidate per ritrovare maggiore ricchezza di sfumature, di radici antropologiche e di sensibilità contemporanea.

Didattica dell’arte sacra contemporanea. 

Nella definizione di un’area espositiva dedicata ai giovani artisti ed agli studenti delle Accademie di Belle Arti ho recentemente ipotizzato un percorso di opere pittoriche di grandi dimensioni, e su questa base ho predisposto gli inviti e orientato la creatività; in breve tempo sono affluite immagini e soluzioni progettuali molto diverse ed articolate sul piano dei temi, nelle soluzioni formali, nelle dimensioni e nelle tecniche. Rapidamente mi resi conto che il maggior valore di tutta l’operazione stava in quel sistema processuale fortemente sperimentale e ricco di variabili; soprattutto i più giovani dimostravano una curiosità per i temi religiosi e per l’esperienza spirituale sicuramente vivace ma anche con forti necessità di approfondimento espressivo. La soluzione quindi è stata sul piano espositivo quella di ricreare attraverso opere e sopratutto frammenti la vitalità propria di una grande Accademia, di un laboratorio d’arte caratterizzato da spirito di ricerca e volontà di sperimentazione; mentre scrivo questo testo in realtà non sono in grado di prevedere l’allestimento, ne la successione delle opere mentre penso di per poter lasciare e porre al centro di questa nuova esperienza la libera creatività degli artisti; lo spazio organizzato in forma di grande galleria andrà quindi ad assorbire un caleidoscopio di immagini secondo il principio di un accumulo di idee e di suggestioni, di appunti e di forme definitive. Al momento ho potuto notare nella gran quantità di materiale raccolto  quanto la creatività dei giovani artisti risulti attenta ai contenuti della sacralità che avvolge la vita e l’esperienza umana; nel risultato complessivo il patrimonio iconografico fatto di citazioni e simboli è attentamente indagato ed estrapolato con approfondimenti specifici e personali; anche sul piano cromatico si osserva una scelta analitico-creativa determinata dall’unicità del rosso, quindi con valore di passione, il giallo che apporta tensione ed illuminazione ed il blu tendente ad un’idea di spiritualità intima e salvifica. Accanto alla pittura e dentro di essa, tra soluzioni figurative ed astratto-gestuali, trova significativo spazio il sistema di comunicazione scritta, di parola incisa; ma in crescente affermazione linguistico-visiva si rileva  la presenza dell’indagine fotografica, sia nelle soluzioni compositive che di documentazione interpretativa di eventi e manifestazioni sociali.

Le culture artistiche del sacro.

‘Disseminazione’ nella Diocesi di Milano.

Coordinamento di Alberto Gianfreda.

Tema di questo progetto, lungo lo spostamento dal centro verso la periferia, dalla qualità e dai valori del patrimonio storico verso la diffusa povertà iconografica, il frequente stato di inquinamento ambientale dell’architettura, i problemi gravi di adeguamento presenti nell’architettura di chiesa delle periferie, comporta la necessità di interventi espressivi di più ampia portata, spesso strutturali, atti a riqualificare sostanzialmente l’assenza del presente; ma d’altra parte sul terreno nuovo della casa di chiesa si avverte la presenza forte e originale di una comunità di credenti che attende e che deve partecipare, con la quale l’arte contemporanea deve aprire il confronto, con la quale gli artisti contemporanei, per una specifica cultura della comunicazione, hanno necessità di apprendimento, di reperimento di idee, acquisizione di suggerimenti e di suggestioni .

Un percorso in cui l’arte sacra, attraverso gli artisti della contemporanea, per sua natura specifica, perché ricostruita sui processi analitici del linguaggio visivo, rifondata sulla struttura progettuale dell’esperienza espressiva, tenta, nel rapporto stretto con il luogo consacrato, nel dialogo con l’assemblea riunita e nel colloquio intimo con il credente, di dare corpo al “senso qualificante, essenziale dell’uomo, che è la sua spiritualità. L’uomo contemplando l’arte e la sua bellezza, vi si abbandona come alla sollecitazione delle sue elevazioni più genuinamente umane, cioè spirituali; e perciò sente e trasmette l’incanto della spiritualità purissima, Dio, che di ogni spiritualità creata è origine e fine” (Giovanni Paolo II).    

 

Le culture artistiche del sacro.

‘Disseminazione. I pellegrini di Brera’.

Coordinamento Prof.a Ida Terracciano 

“Nel momento dell’espansione, l’arte fornisce modelli alternativi di comportamento, si trasforma essa stessa in azione estetica e in evento vitale. Lo sconfinamento è la tecnica preferita dell’artista, veicoli privilegiati sono il gesto o il corpo nella sua totalità. Filiberto Menna La linea analitica dell’arte moderna, 1975. 

L’arte sacra che abbiamo studiato in questi dieci anni si è costantemente caratterizzata da una volontà di collocazione stabile, di istallazione nel luogo di culto; questo nuovo progetto ribalta quest’esperienza per porre artista ed opera direttamente in movimento, proiettati lungo un percorso esperenziale, fisico e psicologico, spirituale e liturgico. Attualmente gli studi sulle vie del pellegrinaggio medioevale risultano ancora circoscritti a pochi testi fondamentali. Riaprire la questione pellegrinaggio non solo dal punto di vista storico – religioso ma anche più concretamente da quello esperienziale – esistenziale coinvolgendo così lo spirito di ricerca dell’arte contemporanea; volontà di ricerca che anima le attività del Dipartimento Arte e Antropologia del Sacro. Promuovere l’esperienza direttamente agita da studenti, docenti, uditori, partecipanti attraverso la propria personale esperienza insieme alla condivisione comune di difficoltà, scoperte, idee e meditazioni. Il percorso si propone come una apertura o un approfondimento all’esperienza spirituale ed esistenziale, spirituale e creativa, creativa ed esistenziale.  

La partenza. La via e le tappe. Lo spirito del pellegrino. La condivisione della strada. L’arrivo al luogo Sacro. Il palmiere. Il cammino. Le memoria dei luoghi. La meta. 

Tarshito e “le culture sacra dell’arte contemporanea”. 

“…Devo attraversare il muro che separa il corpo materiale da quello spirituale;uno dei metodi forti è l’arte. Essere artista o vivere a regole d’arte non prevede differenze, infatti ho visto più volte spolverare con una forza, dignità e totalità che era arte, come camminare,parlare…per cui non faccio differenza tra artista e chi vive a regole d’arte. L’ispirazione è il mio metodo, quando devo fare un’opera passo giorni e mesi ad organizzare le questioni tecniche con l’aiuto di assistenti, di suoni come le campane (che avvisano la presenza divane in ogni religione),con le fiamme (candele) e tendo a prepararmi e di attirare questa magia che mi dona l’idea , che mi fa andare la mano ad accarezzare una terracotta, una carta con un pennello. E’ qualche cosa che muove dal ‘corpo spirituale, un ricordo, un frammento del divino; questa ispirazione mi attraversa la mente per fare un incontro con l’inteligenza e la tecnica; questo incontro con il cuore è portatore di un valore morale. Dall’incontro di questi dati con il cuore posso iniziare l’opera; l’opera diventa un’offerta al divino che mi ha donato attraverso l’ispirazione. Questo metodo mi pulisce, mi nutre, per cui unisco al lavoro la scoperta della mia essenza. Tarshito (dalla conferenzatenuta alla F.T.I.S. 17.2.09)  

Il complesso materiale iconografico predisposto in questi anni da Tarshito e  documentato dal volume ‘Le culture sacre dell’arte contemporanea’ edito nel 2008 deve essere osservato e letto all’interno ed in rapporto di corrispondenza con due grandi linee metodologico-critiche; valori estetici e ragioni culturali si pongono infatti alla base della struttura esplicita di un sistema di opere d’arte in cui il tessuto connettivo è caratterizzato da significativi momenti di intersecazione e di relazione. Il primo dato sul quale mi sembra utile ed interessante partire è rappresentato dal processo di attenzione, alla luce e sulle radici della fondante natura etnografica ed antropologica dell’arte moderna e contemporanea, che il sistema dell’arte occidentale ha rivolto e rivolge alle culture extraeuropee ed orientali; d’altra parte è utile ricordare quanto sia determinante e presente lungo l’intera storia dell’arte, per piccoli frammenti già in epoca medioevale e con sempre maggiore dichiarazione nelle diverse stagioni dell’arte, l’osservazione e l’interpretazione, l’acquisizione esperenziale delle grandi culture antiche ed etnico-territoriali. Il secondo dato a cui dobbiamo fare riferimento per capire la portata e le novità dell’operazione espressiva condotta da Tarshito, si colloca nelle specificità del sistema dell’arte, nel tracciato artistico e nella figura di Paul Gauguin quale evidente progenitore; infatti rispetto alle curiosità creative di una lunga stagione dell’arte, matura rapidamente e si consolida lungo il Novecento un’acquisizione di dati non più di citazione ma di manipolazione e di gestione non solo di patrimoni iconografici ma delle tecniche e dei materiali, delle forme in rapporto alle funzioni d’uso ed ai sistemi linguistico-cromatici. Queste diverse e significative componenti, il patrimonio iconografico ed i sistemi di gestione espressiva articolati e complessi, sono un dato progressivamente presente e sempre più cosciente nella stagione contemporanea dell’arte e della cultura della progettazione, con affermazione analitico-sperimentale negli anni settanta e con spettro specialistico di approfondimento; in questo tracciato, determinato da una propria storia espressiva depositata ma ancora aperta a nuovi approfondimenti, si colloca lo sviluppo dell’opera di Tarshito e raggiunge una particolare maturazione ed una straordinaria qualità caleidoscopica. Sappiamo bene quante culture e specifiche aree culturali e settori linguistico – visivi, dagli indiani d’america alle infinite variabili cinesi ed ancora verso le popolazioni primitive, gli aborigeni di Africa ed Australia siano presenti nel DNA della cultura contemporanea e negli autori che più significativamente ne hanno tracciato il percorso ed il processo, ma in questa sede espressiva e di catalogazione, si manifesta con grande determinazione un sistema di partecipazione intellettuale ed emotiva, estetica ed etica tra l’artista Tarshito e le culture scoperte e studiate, indagate e verificate nei propri processi creativi, in corrispondenza con una cultura estetica attenta e subito prorompente, analitica ma passionale, che lascia confini certi per gli ampi spazi e l’immensa energia dell’India. L’azione espressiva di Tarshito è quella di un ‘progettista’, già maturato nella crisi etico-critica dell’Architettura Radicale degli anni ’70, ma che si trasforma per affermarsi all’interno della stretta relazione con la cultura dell’arte; l’apporto personale e la sua specificità presenta dati di diversità rispetto alle forme di più netta e fredda matrice concettuale, per andare a porsi all’interno di quel sistema di valori monografici, autonomi e personali, che in Italia appaiono significativamente rappresentati dall’opera di Alighiero Boetti e Luigi Ontani, per geografie culturali ed estetiche consonanti, ed ancora con l’attività di Claudio Costa e di Antonio Paradiso, tra forme e tecniche, depositate nella tradizione popolare e condotte al confronto con patrimonio artistico e culturale occidentale. I diversi nuclei di opere di Tarshito rispondono con qualità e lucidità progettuale ad un attento equilibrio di interscambio e contaminazione, intersecazione tra aree e patrimoni espressivi e di sensibilità estetica diversi per tradizione e nell’attualità, dove cioè l’una, la cultura antica e popolare, determina l’inizio, apporta i propri valori e quindi influenza con forza e determinazione il manufatto artistico, mentre l’altra, la coscienza critica dell’artista, agisce con assoluto rigore, orienta gli spazi e la struttura, costruisce la gestione del risultato espressivo finale. La vasta produzione che in questi anni operativi si è progressivamente sovrapposta, pur articolandosi all’interno di settori espressivi e cicli tematico-linguistici, dimostra un rapporto di continuità interna, che si tiene lontana dal concetto forviante dello ‘sviluppo’ ma che matura nell’approfondimento attraverso la staticità e la stabilità, nella confluenza condotta nella ricchezza dei valori propri di ogni nuova matrice, iconografica o tecnico espressiva, cromatica o di valenza dalla cultura materiale di un popolo e di una regione.

Il mio personale contributo di riflessione sull’opera di Tarshito fa seguito ad un itinerario di studi, di corrispondenze dirette, di processi di indagine e di sistemi critico-espositivi condotti nella molteplicità dello spazio e costanti nel tempo; d’altra parte le consonanze reciproche di interessi e di sistemi progettuali, mi inducono a collocare l’opera di Tarshito nel sistema dell’arte contemporanea ma anche più approfonditamente all’interno di una indagine militante sul concetto di contemporaneità dell’arte, vista quindi e non solo come sistema storico ma come sistema di esperienza. L’attenzione all’antropologia di cui abbiamo già accennato nelle emblematiche figure poste tra la fine dell’Ottocento e le avanguardie storiche, costituiscono e costruiscono un tessuto ed una ramificazione che va bel oltre l’esperienza espressiva monografica per diventare cultura sociale e costume collettivo; la contemporaneità di Tarshito entra in particolar modo nel concetto di comunicazione della decorazione, della ricerca degli alfabeti visivi, nella produzione degli strumenti e quindi si affaccia e riqualifica le funzioni d’uso all’interno del più ampio patrimonio di una concettualità antropologica dell’arte. Nella sua figura agiscono esperienze molto diverse che lo rendono autonomo ai grandi antropologi dell’arte contemporanea; se in Claudio Costa l’antropologia era vivere in maniera alchemica la materia e le tecniche, se in Boetti l’atto espressivo era il frutto analitico del pensiero, in Tarshito scoprire le tradizioni, scovare le tecniche, affermare i materiali e i sistemi d’immagine, si afferma un metodo per costituire la stagione contemporanea delle forme espressive appartenenti al patrimonio storico; l’azione espressiva di Tarshito sta nel processo e nell’unità del risultato operativo per poi ancora recuperare il gesto pittorico, interagire con la scrittura per poi andare a trovare sostegno alle proprie idee estetiche negli strumenti musicali e nelle funzioni della quotidianità. Un clima estetico e culturale che attraversa l’intero Novecento, che preserva la complessità sperimentale delle avanguardie storiche, si caratterizza attraverso l’approfondimento monografico ed il mantenimento di quella attenta e raffinata tensione presente nel vasto patrimonio del Surrealismo. Un ampio territorio al cui interno ancora si agita un ricco movimento di emozioni e di tensioni frutto della scoperta e dell’applicazione responsabile e sensibile alla meraviglia dell’evento espressivo. Un clima ed un territorio in cui ogni opera di Tarshito, ogni supporto o tecnica, tutto il colore e le funzioni d’uso, rispondono ad una volontà artistica avvolgente che si colloca tra la grande bottega dell’arte e le esperienze globali di oggi, tra le forme di comunicazione antropologica alle aspirazioni etiche della nostra epoca; così il viaggio dell’artista diventa lo spostamento culturale ma anche il moto che ci porta a quella esperienza che si configura nell’opera e dove i sistemi estetici traghettano la nostra sensibilità e la arricchiscono.  Nasce una gran sistema di oggetti, si moltiplicano le piante ed il mondo vegetale, agiscono tanti e diversi animali a rappresentare il sistema iconografico presente nell’intera produzione di Tarshito; le grandi anfore, gli alberi e le tartarughe con i pesci e le tigri sono il paesaggio intriso di magia, abitato dai “Guerrieri d’amore” che si impongono alla nostra presenza quali pietre angolari di un tracciato che impone al cammino una deviazione verso il ‘bene’, mentre gli strumenti musicali ed i grandi tavoli  sono presenze dell’uomo inteso nelle sue forme di individualità spirituale e di condivisione.