Il luogo privilegiato del confronto e delle relazioni.

Il luogo privilegiato del confronto e delle relazioni.

Alessandro Algardi Mario Arlati Davide Benati Fernando De Filippi Enzo Esposito Franco Marrocco Ignazio Moncada Angela Occhipinti   Marco Pellizzola Stefano Pizzi Aldo Spoldi

Ho seguito con interesse l’impianto espositivo e editoriale che Saman ha voluto dedicare al rapporto tra arte e poesia e in specifico sulle relazioni espressive solle­citate da dodici poesie di Alda Merini; la redazione di dodici quadri di grandi dimensioni offrono infatti una nuova e stimolante occasione di confronto tra due sistemi linguistici che seppur diversi si caratterizzano per una volontà di comuni­cazione delle emozioni e dei sentimenti.

Questo progetto e i risultati ottenuti, accentuati dall’ampia stesura delle tele, mi suggeriscono di ricondurre il discorso e di porre quindi l’evento all’interno della stessa storia dei rapporti tra arte e letteratura, che tanta parte della storia dell’arte, e non solo occidentale, ha influenzato; mi preme tornare a ricordare ed a rivivere con la memoria tutta una storia artistica che si dedica alla cultura letteraria attra­verso le infinite stagioni del patrimonio archeologico per poi espandersi dai libri miniati a quelli illustrati, dai grandi cicli di affreschi ai soffitti barocchi.

Descrivere e illustrare, decorare e interpretare, appaiono i vettori di un processo creativo che ha trovato nel testo poetico il luogo privilegiato del confronto e delle relazioni, che ha scelto di inserirsi in un crescendo poetico in cui si esalta l’emo­zionalità e l’invenzione, in cui si approfondisce il tormento e la disperazione, in cui si dettaglia l’indagine sulla realtà e i valori dell’esistenza; lungo questa storia, abbandonata la severa legge del processo storico tra stile e tecnica, appare affasci­nante creare tra le pagine di un romanzo e un ciclo pittorico, tra un foglio di poe­sia e uno di incisione, relazioni atemporali tra opere e autori, suggerire sconfinamenti tra processi e percorsi esperienziali, tra improvvise illuminazioni poetiche e dubbi e delusioni devastanti. Ho personalmente tentato in passato e in più occasio­ni espositive questo clima ricco di interferenze e di suggestioni, e anche questo progetto mostra una volontà di reinvenzione della ricchezza del tracciato poetico e da questa verso la ricchezza dei valori racchiusi in una sola parola, in una breve frase; in questa fase è utile ricordare che anche questa esperienza pone in evidenza l’af­fermazione di valori culturali e processi espressivi del tutto inediti rispetto al patri­monio storico dell’arte.

Rispetto al passato e lungo l’intero XX secolo, tra la stagione moderna delle avan­guardie e quella contemporanea, si allarga il sistema delle relazioni culturali ed appaiono rifondati e intensi tutti i rapporti interdisciplinari; dalle avanguardie storiche e lungo i successivi sviluppi espressivi, vengono cioè verificate le infinite variabili e tutti i sistemi di relazioni culturali rispondendo costantemente al concet­to racchiuso e raccolto nel valore assoluto della ricerca – quel processo di rinnovamento dell’esperienza dell’arte che condusse Picasso a ‘trovare’ suggestioni e idee nel Museo del Trocadero e nel patrimonio antropologico e etnografico.

Il superamento di una lunga stagione intellettuale costretta alla separazione tra le discipline, in particolare scientifica e umanistica, ha offerto il dispiegamento di un paesaggio e di un territorio d’indagine dai confini inediti e dalle soluzioni infinite; in relazione a una cultura della sperimentazione, con l’inevitabile acquisizione di diverse competenze tecniche e di comunicazione, è nato un patrimonio culturale del tutto nuovo.

La visita ad un museo d’arte moderna e la frequentazione di una collezione d’arte contemporanea, mettono in chiara evidenza, rispetto ai luoghi di conservazione del patrimonio storico dell’arte, lo sviluppo interculturale dei territori d’indagine e delle tecniche di produzione; la cultura artistica moderna ha elaborato e predispo­sto un valore della cultura dalle ampie ramificazioni, in cui ogni componente ha necessità di vivere un costruttivo stato di interferenza.

Sul territorio poetico aspro della Merini, tra immagini nette e bagliori di tensioni, in un paesaggio amaro in cui si accendono generosi entusiasmi e intense passioni si muovono con estrema libertà interpretativa gli artisti; lo sguardo d’insieme sug­gerisce la realizzazione di un caleidoscopio in movimento, di un atteggiamento espressivo dettato da un comune stato di partecipazione creativa in cui ogni grande opera è testimone di un’esperienza umana rivisitata nella propria interiorità, nella propria intima poesia.

Dodici finestre appaiono i grandi quadri provocati dalla poesia e dall’esperienza delle passioni e degli affetti, dodici fratture di colore che interrompono l’uniformità spesso accomodante del quotidiano, che destabilizzano con un patrimonio di dubbi e di enigmi il velo di normalità dell’esistere.

Alla ‘Canzone d’amore’, a quel clima di lettera privata tra ricordi e consigli, risponde Alessandro Algardi con una grande pagina di pittura, con un foglio in cui la materia cromatica si raggruma intima nella monocromaticità diffusa del bianco, solcata appena nel rilievo dalle ombre per offrirsi riservata a quella lettura estrema, al passaggio delle dita del non vedente.

Nell’Amore finito Mario Arlati estrapola e si fa interprete esemplare di quel ‘colore che non appare’, cerca cioè di dar corpo nella difforme plasticità della materia pittorica, alle emozioni che si spengono, alle immagini che sbiadiscono; dalla por­zione di muro affiorano frammenti-ricordi di accenzioni, dove a piccoli tratti ‘i colori si sbiadiscono’ per lasciare intatto il prezioso silenzio, il patrimonio intenso dell’esperienza affettiva.

L’estensione cromatica di Davide Benati premia esclusivamente il picco, il ‘vertice della felicità’ rifiutando la volgarità del dopo, abbandona la condanna del poeta per offrire attraverso la luce della pittura una parete di fiori alla donna, per recupe­rare l’energia della bellezza, la luminosità e il bagliore che è nel fiore-colore. 

Fernando De Filippi dedica al trattenuto languore della poesia l’immagine radiografica, dettagliata e netta del grande albero della vita e della memoria; il tronco e i rami, lo scheletro del dolore immerso nell’uniformità e nello spazio del monocro­mo, si pone per una diversa iconografia a rappresentare la percezione di un’imma­gine poetica che ha perso lo strazio e la violenza, che si distende nel grembo di una intensa spossatezza.

Il grande rosso di Enzo Esposito, la forza metallica ed industriale del minio appa­re il territorio esteso del confronto esasperato tra gli esseri umani, dello scontro dei sentimenti e delle passioni; un percorso della pittura che si pone nel tracciato della via crucis, che raccoglie tutte le stazioni del pianto, tra cancellazioni e sottolinea­ture, tracce ed accensioni acide, liquidità insistite e sovrapposte.

Entra nell’Ora della verità, la lirica in cui forse più drammatiche si fanno le tinte del pensiero della Merini, Franco Marrocco con partecipazione e corrispondenza, sfugge al patrimonio iconografico della denuncia, configura una condizione di apo­calisse tra la spettralità lunare ed il paesaggio post-nucleare, abbandona la condi­zione umana del dolore, annulla i confini del pianeta, e si immerge tra gli ultimi bagliori nell’impalpabile ed nell’inconsistenza di realtà in fumi.

Visionarietà e energia, entusiasmo senza limiti sono i dati che palpitano nelle gamma cromatica e disuniscono il sistema pittorico di Ignazio Moncada mentre sul fondo il racconto doloroso del poeta – ‘mi sono lasciata morire ogni giorno’ – len­tamente si spegne; anche in questa frattura tra il testo e la pittura, questo rifiuto del colore di soccombere alla condizione umana, anzi questa volontà di rilanciare l’au­tonomia vitale dei rossi, degli azzurri, dei verdi, si individua il significativo valore dell’esperienza creativa.

Il rapporto instaurato da Angela Occhipinti con il testo poetico appare esemplarmente caratterizzato dalla scelta di un sistema linguistico in cui parola acquisisce la forza evocativa dell’immagine; nello spazio ampio di una pagina non più pitto­rica, si apre il confronto difficile ma emozionale tra i frammenti del testo e una fitta rete di segni grafici introdotti con valore di sottolineatura e di partecipazione, di partecipazione al dolore ‘sulla riva della tua croca’ .

L’operazione espressiva condotta sul testo poetico da Marco Pellizzola appare caratterizzata da uno stato di partecipazione personale assolutamente particolare; colpisce la rigida presenza dell’autoritratto in grado di introdursi direttamente nel processo dell’opera con un sottile valore di partecipazione, testimone cioè di una volontà di porsi e di stare all’interno dell’operazione poetica ed artistica, di parte­cipare fisicamente attraverso la lettura, di entrare in compenetrazione nel clima del testo attraverso il proliferare di un cespuglio quale territorio di immagini e di emo­zioni.

Posizionandosi in un rapporto di relazione iconografica con i dati del testo, Stefano Pizzi apre con grande evidenza una finestra sulla realtà; il suo lavoro di trascrizio­ne accetta il rischio dell’ironia, rasenta il vuoto del cattivo gusto, interpreta la superficialità rispetto alla profondità di quei ‘capelli bianchi d’amare non sono stanchi’, libera nell’aria freschezza e leggerezza mentre intorno si confrontano tempi di guerra.

Ricco di un fascino raro appare il contributo interpretativo di Nicola Salvatore al ‘canto’ del poeta; ‘suono, porto, ombra, paura, remo, acqua, montagna…’ sono tutti insieme raccolti all’interno di una processione di segni incisi nella storia, testimo­ni silenziosi nell’immobilità del tempo, tracce che parlano nel silenzio abbagliante del bianco, forme della memoria che delimitano un vuoto ancora ricco di pensiero.

Aldo Spoldi sposta la lente dell’arte dal soggetto amaro del testo all’atto etico della donazione, individua nel il processo di donazione il soggetto autentico ed il patri­monio intenso della poesia; nell’iconografia del ‘servizio e dell’offerta’, nella sua affettuosa e pacata normalità, ed in accentuazione attraverso la memoria colta della natura morta, tra la canestrina, la tavola di quell’ultima cena ed il prezioso calice, si nasconde in tutta la sua drammatica bellezza il momento in cui ‘venivo ad inna­morarmi di te’.