Arte e Terapia. Omaggio a Claudio Costa. 2017
Arte e Terapia. Omaggio a Claudio Costa.
2017
Leggo e mi inoltro da alcune settimane nei meandri complessi di questo volume, tra le testimonianze operative ed il patrimonio esperenziale, viaggio all’interno della sperimentazione diretta e mi confronto con il deposito di una storia, verifico il sistema delle immagini con il gesto creativo, accetto il dialogo con un caleidoscopio di soluzioni nuove e diverse, mosse da comportamenti intimi e personali, verificati nella quotidianità della mia esistenza, subisco l’entusiasmo di tutti i relatori pensando al territorio di dolore da cui prendono origine e sostano per insistere e proseguire.
La lettura del volume rivela un procedere nell’accumulo, all’interno di un grande antro, di un ventre erbivoro in cui confluiscono le infinite variabili del verde, le accenzioni cromatiche dei fiori-colori, la tenerezza della nascita e la durezza legnosa del ricordo; i testi si succedono e si intersecano, ora implosi all’interno del percorso e del fare, ora contaminandosi per inseminazione della nostra attenzione e condivisione; ogni testo rimanda ad un autore con quello stato di partecipazione che gli è proprio, che filtra e si mimetizza, che cerca di offrire se stesso convincente per passione e autenticità; ogni testo-autore non è qui mai solo, e non solo all’interno del coordinamento editoriale, ma nell’album della memoria di ognuno, nella popolazione degli sguardi e dei gesti, tra le voci e le luci, nei luoghi, nell’insistenza della quotidianità, ancora lungo questo processo normale del giorno.
Testi-Autori e Testimoni-Lettori sono i due binomi che il volume tenta di accogliere, di coordinare nel confronto e nell’integrazione; vorrei che la lettura seguisse l‘itinerario predisposto dalla disponibilità e dalla condivisione, dalla ricerca e dalla curiosità diversa per competenze e specificità, ora per solitudine ma anche per socializzazione della malattia e del dolore. Conosco ora e da tempo alcuni, altri ne vado approfondendo i caratteri, altri li incontro per via di sensibilità e intuizione, e di ognuno creo un collettivo assai più ampio in cui tutta la mia vita diventa bacino di raccolta e di aggiunzione;ancora Testi-Autori e Testimoni-Lettori che vanno ben oltre coloro presenti nell’indice ma che ogni nuovo consumatore, inevitabilmente, andrà personalmente ad aggiungere, a mettere in gioco dimostrando che anche questo volume è ‘materia viva ’.
Medicina Antropologica.
Vorrei prendere inizio per le mie riflessioni ed appunti, ricordi e suggerimenti, dall’interno della materia viva -la salute- su cui ritengo sia di fatto orientato il volume e lo sforzo di indagine e di elaborazione, di chi scrive e di chi legge, ed in relazione con la –pulsione di guarigione– estratta da Sergio Marsicano dal pensiero di Sigmund Freud. Ho quindi rilevato nel sistema raccolto e coordinato di medicina antropologica non solo il più straordinario ambito di riferimento delle diverse esperienze sul campo, condotta con soluzioni diverse sia da Paolo Ferrari che da Laura Tonani e Tiziana Sacconi, e di ricerca teorica, ma soprattutto il territorio comune, l’estensione esperenziale massima per la storia e l’attualità della cultura artistica moderna e contemporanea.
Con straordinaria partecipazione personale, quindi andando ben oltre la distanza professionale, ho riscontrato e suggerisco la sovrapposizione tra ‘gli assi di sviluppo dell’Umanizzazione della Cura in Ospedale – FUNZIONE DI VITA QUOTIDIANA, AMBIENTE,FORMAZIONE,ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO –alimentazione,gioco,spazio-giorno, notte,materiali,relazione,comunicazione,accoglienza,degenza,cultura,veglia-sonno,colori,arredi,identità-ruolo, gruppi,ambulatorio,tempo” con il sistema dell’arte, con la complessa distribuzione iconografica nel processo di frequentazione dell’esistenza, dove intendo mettere in evidenza coma la cultura artistica, i linguaggi visivi e le grammatiche diverse sono dirette ad interpretare progettualmente nella redazione dell’opera risposte aperte alla fruizione. Nell’umanizzazione della cura di fatto scopro una perfetta sintonia con i processi e con il patrimonio prodotto dall’arte ed affermatosi nell’immediatezza della processualità analitica contemporanea; ogni tassello, ogni funzione e stato di questo ‘sistema e percorso’ di cura e di riabilitazione, di conoscenza e quindi di salute stanno in forma solida nell’esperienza dell’arte, sono riconoscibili nel grande Raccoglitore Antropologico dell’Arte Contemporanea, muovono dalle relazioni tra Objet trouvè e Rade Made fino a configurarsi nel sistema di accumulo dell’esperienza concettuale e d’installazione, nelle forme di percezione e di partecipazione, nella produzione materiale e nel vissuto esistenziale dell’autore e del fuitore.
La Casa. Tutto sembra ruotare intorno alla questione della ‘casa ’. Ospitale, rispondente,
Casa, Chiesa, Ospedale, Cimitero.
Esperienze e premesse.
Roma 1965 circa.
Faccio visita a mio zio Sergio ospite in un bel Collegio fuori Roma e prendo contatto per la prima volta con un laboratorio di ceramica e con la produzione di piatti ed altri oggetti vivacemente colorati da ragazzi colpiti da gravi disturbi mentali; lo zio è alto e gioviale, mi abbraccia e mi solleva per mostrarmi le sue opere che i diversi parenti dovranno acquistare; ricordo che affermava essere quello il ‘frutto’ del suo lavoro ed insisteva sul futuro della sua attività; ricordo che collegai, pur nel clima di anomalia, tale esperienza ed attività alla storia della mia famiglia fatta soprattutto di pittori di antiquari, di scrittori e di letterati.
Firenze e La Tinaia intorno al 1975.
In una cupa mattina di autunno, superato il cancello e la guardiola svuotata della sua funzione, percorro i bei viali ….. dell’Ex Ospedale Psichiatrico di Firenze verso Campo di Marte, ancora ben visibile dalla ferrovia; cerco La Tinaia in un generale stato di abbandono ipotizzando comunque la qualità architettonica dell’insediamento, la dilatazione nello spazio identico al vecchio Zoo di Roma e tra tante piccole caserme, campi di prigionia e di concentramento per ogni ideologia e dittatura del secolo scorso, ma anche sognando un campus universitario, ricordando le coeve colonie marine del Calabrone. E’ il mio primo incontro professionale con un laboratorio dedicato ad Arte e Terapia ed all’interno esamino le relazioni espressionistiche nel binomio Arte Vita; non solo ceramica policroma e carta-pesta ma opere su carta e su vecchi lenzuoli dai colori vivaci e gli sguardi felici e violenti dei numerosi artefici delle opere raccolte e documentate, in sintonia con la Stagione della TransAvanguardia e del NeoEspressionismo da un catalogo firmato da Achille Bonito Oliva; rimane in me indelebile il rapporto tra psiche e sistemi espressivo-visivi rintracciabili lungo l’intero patrimonio dell’arte occidentale, nascosto nei meandri segreti di una sinopia e nel foglio disegnato di un Maestro e nella lastra di rame di un anonimo, nella stagione della fotografia scientifica.
Genova e Claudio Costa. Tra il1990 e il 1995.
In una mattina di luce di mare a primavera accompagnavo cinquanta studenti di Brera a Quarto di Genova; l’obbiettivo era la visita ad un nuovo Museo-laboratorio dell’arte contemporanea predisposto e diretto da Claudio Costa ( ); l’architettura umbertina con la bella ed immensa facciata, il parco ricco di pini marittimi e magnolie, l’elegante cancellata ed all’ingresso un corpo di guardia gallonato accolse i giovani artisti ignari di un viaggio nel rapporto più intenso tra ‘arte e vita ’; dopo l’ampio ’sagrato’, percorriamo la scalinata frequentata da uomini e donne in camice bianco, altri con divise, pigiami e abiti dimessi; sguardi curiosi e voci inattese, rivelarono ai ragazzi attoniti e sconvolti di stare all’intero dell’Ospedale Psichiatrico di Quarto. Ci accoglie il sorriso da ‘esporatore del pensiero’ di Claudio Costa e ci accompagna entusiasta a conoscere ed a ‘mischiarci’ con i suoi allievi nel grande Laboratorio organizzato per aule e depositi, poi nel suo nascente studio, poi condividiamo la mensa ed il futuro Museo delle Forme Inconsapevoli. Vivo e viviamo l’esperienza del fare; i rapporti sono diretti e caratterizzati soprattutto in senso altamente produttivo secondo un principio di ‘accumulo’, di abbondanza, di coralità, di contaminazione, di ascolto della nota all’interno della coralità; centrale non è la ceramica o il colore, la ricerca dell’intensità espressiva che si sovrappone ma il materiale di supporto ascoltato che parla alla ‘sensibilità’ dell’artista, che suggerisce, che comunica nel silenzio. Un signore alto e magro, Raggio conduce a piccoli gruppi i ragazzi nel giardino ora ridotto a boscaglia; svela solo a loro l’ascolto delle voci nascoste nel legno, in una canna secca; poi mostra il suo magazzino di opere realizzate per bruciature attraverso la sigaretta sempre accesa. Alcuni giovani artisti lavorano alle proprie ricerche pittoriche e plastiche in piena contaminazione con gli allievi-artisti di Costa; Mauro Mercenaro è tra questi ed è tra i più entusiasti e produttivi.
Seguono negli anni le collaborazioni, le pubblicazioni ed i seminari, nasce il ‘Museo Attivo e delle Forme inconsapevoli’ in cui Costa raccogli opere di artisti ed ex allievi del suo Laboratorio.
Alla fine di Giugno del 1995 oltre trenta studenti di Brera consegnano al Museo le proprie opere raccolte in un catalogo e le istallano lungo una memorabile giornata di dialogo e di confronto di Claudio Costa; è l’ultima iniziativa di un Maestro, trascorsa con dei giovani: Claudio muore improvvisamente il 2 luglio.
Genova. Ex Ospedale Psichiatrico di Cogoleto con Paolo Bonizzoni, psichiatra ed artista.
Ancora in una soleggiata mattina di primavera torno ad attraversare l’ampio cancello in ferro battuto, supero il ‘posto di guardia ’ e percorro i viali alberati, ancora raggiungo i diversi ed eleganti ‘padiglioni ’ immersi nel verde, sosto nei laboratori di ceramica e prendo contatto con le immagini tormentate nell’argilla, dialogo con l’entusiasmo ‘offeso’ di psichiatri ed operatori. Vengo accompagnato nel cunicolo oscuro del ‘Presepe psichiatrico ’ di Cogoleto, mi soffermo lungo le ‘stazioni ‘ sotterrate di una persistente Via Crucis, lungo l’aggiornato caleidoscopio della quotidianità del figlio dell’uomo, sosto attento agli odori di muffa che divorano il paesaggio iconografico della mente, mentre fibrilla l’impianto elettrico di una poco nota Mathausen. La chiesetta del villaggio in stile neo-gotico forse si salverà con il suo patrimonio espressivo quale ultima isola dedicata al ricordo ed alla testimonianza della ‘passione’ dell’uomo.
Proviamo a predisporre un progetto di salvaguardia e di recupero, di utilizzo per l’arte e la produzione culturale, per l’investimento espositivo e dei laboratori, per una residenzialità universitaria collegata alla produzione europea dell’arte visive.
Segue il silenzio di chi ci ha invitato e di ogni ir-resposnsabile coinvolto nel disi-interesse pubblico e privato.