Emozioni pietose tra l’arte e la medicina antropologica. 2010
Emozioni pietose tra l’arte e la medicina antropologica. 2010
di Andrea B. Del Guercio.
Leggo e mi soffermo tra le ‘immagini-esperienza’ di Fausto Petrella e mi inoltro da alcune settimane nei meandri complessi di questo volume, tra le testimonianze operative e il patrimonio esperienziale; viaggio all’interno della sperimentazione diretta e mi confronto con il deposito di una storia, verifico il sistema delle immagini con il gesto creativo, accetto il dialogo con un caleidoscopio di soluzioni nuove e diverse, mosse da comportamenti intimi e personali, verificati nella quotidianità della mia esistenza, subisco l’entusiasmo di tutti i relatori pensando al territorio di dolore da cui prendono origine e sostano per insistere e proseguire.
La lettura del volume rivela un procedere nell’accumulo, all’interno di un grande antro, di un ventre erbivoro in cui confluiscono le infinite variabili del verde, le accensioni cromatiche dei fiori-colori, la tenerezza della nascita e la durezza legnosa del ricordo; i testi si succedono e s’intersecano, ora implosi all’interno del percorso e del fare, ora contaminandosi per l’inseminazione della nostra attenzione e condivisione. Ogni testo rimanda a un autore con quello stato di partecipazione che gli è proprio, che filtra e si mimetizza, che cerca di offrire se stesso convincente per passione e autenticità; ogni testo-autore non è qui mai solo, e non solo all’interno del coordinamento editoriale, ma nell’album della memoria di ognuno, nella popolazione degli sguardi e dei gesti, tra le voci e le luci, nei luoghi, nell’insistenza della quotidianità, ancora lungo questo processo normale del giorno.
Testi-Autori e Testimoni-Lettori sono i due binomi che il volume tenta di accogliere, di coordinare nel confronto e nell’integrazione; vorrei che la lettura seguisse l‘itinerario predisposto dalla disponibilità e dalla condivisione, dalla ricerca e dalla curiosità diversa per competenze e specificità, ora per solitudine ma anche per socializzazione della malattia e del dolore. Conosco ora e da qualche tempo alcuni, altri ne vado approfondendo i caratteri, altri li incontro per via di sensibilità e intuizione, e di ognuno creo un collettivo assai più ampio in cui tutta la mia vita diventa bacino di raccolta e di aggiunzione; ancora Testi-Autori e Testimoni-Lettori che vanno ben oltre a coloro presenti nell’indice ma che ogni nuovo consumatore, inevitabilmente, andrà personalmente ad aggiungere, a mettere in gioco dimostrando che anche questo volume è ‘materia viva ’.
Medicina Antropologica.
Vorrei prendere inizio per le mie riflessioni e appunti, ricordi e suggerimenti, dall’interno della materia viva -la salute- su cui ritengo sia, di fatto, orientato il volume e lo sforzo d’indagine e di elaborazione, di chi scrive e di chi legge, e in relazione con la –pulsione di guarigione– estratta da Sergio Marsicano dal pensiero di Sigmund Freud. Ho quindi rilevato nel sistema raccolto e coordinato di medicina antropologica non solo il più straordinario ambito di riferimento delle diverse esperienze sul campo, condotta con soluzioni diverse sia da Paolo Ferrari sia da Laura Tonani e Tiziana Sacconi, e di ricerca teorica, ma soprattutto il territorio comune, l’estensione esperienziale massima per la storia e l’attualità della cultura artistica moderna e contemporanea.
Con straordinaria partecipazione personale, quindi andando ben oltre la distanza professionale, ho riscontrato e suggerisco la sovrapposizione tra “gli assi di sviluppo dell’Umanizzazione della Cura in Ospedale: Funzione di vita quotidiana, ambiente, formazione, organizzazione del lavoro, alimentazione, gioco, spazio-giorno-notte, materiali, relazione, comunicazione, accoglienza, degenza, cultura, veglia-sonno, colori, arredi, identità-ruolo, gruppi, ambulatorio, tempo” con il sistema dell’arte, con la complessa distribuzione iconografica nel processo di frequentazione dell’esistenza, dove intendo mettere in evidenza coma la cultura artistica, i linguaggi visivi e le grammatiche diverse siano diretti a interpretare progettualmente nella redazione dell’opera risposte aperte alla fruizione. Nell’umanizzazione della cura di fatto scopro una perfetta sintonia con i processi e con il patrimonio prodotto dall’arte e affermatosi nell’immediatezza della processualità analitica contemporanea; ogni tassello, ogni funzione e stato di questo “sistema e percorso” di cura e di riabilitazione, di conoscenza e quindi di salute stanno in forma solida nell’esperienza dell’arte, sono riconoscibili nel grande Raccoglitore Antropologico dell’Arte Contemporanea, muovono dalle relazioni tra Object Trouvé e Ready Made fino a configurarsi nel sistema di accumulo dell’esperienza concettuale e d’installazione, nelle forme di percezione e di partecipazione, nella produzione materiale e nel vissuto esistenziale dell’autore e del fruitore.
Ponendosi all’interno e in relazione con le “funzioni della vita quotidiana” la cultura artistica ha prodotto un caleidoscopio aperto, percorribile e sul quale la fruizione agisce direttamente; Marsicano rileva, infatti, con lungimirante attenzione come ”l’artista possiede gli elementi per conoscere le emozioni, senza reprimerle, costruendo orizzonti similmente a ciò che si staglia nel risveglio del mattino e rende possibile un nuovo ingresso nella realtà umana quotidiana”. E’ in conformità di questa comunione di analisi e di speranza che il laboratorio dell’arte debba essere vissuto nei processi di quotidianità senza la frattura ambientale della galleria e del Museo, per volgere il suo obiettivo alla “casa”, così come per secoli è avvenuto senza che alcuno se ne accorgesse, ma avendo, di fatto, la “casa” come reale obiettivo del fare dell’arte e dello stare delle opere. Sappiamo e giudichiamo la “casa” un porsi dell’esperienza quotidiana, delle sue funzioni e necessità, in stretta relazione con l’esperienza estetica lungo un percorso che da Lascaux ci ha condotto al Louvre e sempre in funzione della configurazione di un habitat privato, in cui il bene, la salute è l’asse centrale delle azioni umane; così che tutto sembra ruotare intorno alla questione della “casa ospitale” cui si vanno collegando ogni tipologia di casa sociale, dalla Casa di Chiesa alla Scuola e all’Ospedale.
Le Case di Paolo Ferrari.
Seguendo questo percorso che vede la ‘casa’ fattore centrale nel mio percorso di analisi, ma con l’obiettivo conseguente e prospettico di raggiungere il concetto di “territorio” per completamento dell’esperienza umana, della sua percorrenza all’interno e in funzione del concetto di esperienza, si pone l’ampia elaborazione teorico-operativa di Paolo Ferrari “luoghi abitare e da trasformare”.
Dal Centro Studi al Museo, dalla Casa autogestita al Ristorante, Ferrari ripercorre con gli strumenti dell’arte gran parte del tracciato indicato ed estrapolato dal saggio di Marsicano; un sistema di vasi comunicanti che ci permettono una frequentazione attenta e partecipata al rapporto tra arte e vita, tra individuali forme del pensiero e della sensibilità con gli strumenti espressivi che disegnano lo spazio. Ogni luogo è affrontato di petto, aggredito dai materiali, acceso tra i macchinari, ridistribuito dalla pittura in orizzontalità e verticalità della fruizione e frequentazione, segnato nel suo tracciato dall’istallazione plastico-policroma. Ogni progetto o intervento interpreta un rapporto di comunicazione fondato sullo scambio tra mettere e togliere, introdurre per scindere, aggiungere per disattivare escludere per ricostruire in autonomia, in presenza attraverso l’assenza che ricostruisce umanità ed esperienza: “Il nostro intervento artistico-scientifico in un’unità ospedaliera quale quello che abbiamo progettato per l’Unità di Oncologia del San Carlo a Milano …tende ad operare secondo il modello del distacco o del mancare/venir meno. L’oggetto artistico-scientifico si pone quale catalizzatore/mediatore (Ko) di alterità/ulteriorità”.(P.Ferrari).
Brera e le Case dell’Arte.
In perfetta corrispondenza con il valore etico inscritto nel concetto di bellezza, cioè in qualità di sistema del bene, quindi significativamente e operativamente salvifico, si muove l’intera ‘macchineria’ didattico espressiva di Brera; un sistema di laboratori che si separano e che s’inseguono nell’estesa planimetria del Palazzo, già Convento, anche Museo e Archivio, Biblioteca, e ancora catena di montaggio dei sistemi visivi, ha visto in questi anni predisporsi conseguentemente con la sua storia creativa ma anche scientifica un’area di ricerca e quindi un Corso di Perfezionamento in Terapia e Pratica della terapeutica Artistica. I contributi presenti nel volume rappresentano solo un frammento di un percorso di ricerca articolatosi con risultati operativi straordinari, sia all’interno di Brera Accademia, cioè attore del sistema dell’arte contemporanea, ma anche all’esterno verso quelle ‘case’ in cui “vivere un momento creativo dà la possibilità al soggetto di esprimere questo stato di sospensione, grazie alla cornice che crea uno spazio illusionale, dove il tempo viene nullificato e dove l’immaginazione prende corpo” ( L.T. ). Gli interventi di Laura Tonani e di Tiziana Tacconi raccontano e completano nell’attualità e nella militanza, la presenza dei sistemi dell’arte, le forme di specificità espressiva collegate a quelle della medicina, testimonia dei compiti e dei ruoli che possono essere apportati ai programmi di cura, indicano dall’interno della creatività appresa le possibilità di espansione espressiva verso quei canali di comunicazione che ridistribuiscono e diffondono dell’Arte “la funzione di contenitore delle emozioni penose” (S.M.).
Attenzione alla forza delle “emozioni penose” perche si diffondono impietose nella storia dell’occidente, quando si inseriscono nel tessuto connettivo della società fino a terremotare l’unità della famiglia, i ruoli e gli affetti; “emozioni penose” che si stabilizzano emblematiche della condanna della cancellazione del padre: “Fra il tardo Medioevo e l’inizio del Rinascimento, attraverso la figura di Maria, la Chiesa di Roma dà forza alla Madre. Essa regge fra le braccia il fanciullo divino. Le Arti rappresentano questa coppia e poco d’altro. L’immagine dell’uomo è figliocentrica, contenuta a sua volta in quella matricentrica”. (L. Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri 2008).
Dalla Casa al Borderland.
Mi è capitato di indagare allargando lo spazio della creatività; ho vissuto lo stato di borderline attraverso la mimetizzazione della malattia mentale, il male che si ripete e che inquina, il mancato riconoscimento per diffusione e distribuzione. La solitudine di fronte al rifiuto del bello. Ho verificato il Borderline travalicando nel Borderland dell’Arte Contemporanea ed ho riscontrato un territorio di frontiera; la sua vastità continua a crescere percorsa incessantemente in lungo e in largo, con spostamento costante dei suoi confini certi verso nuovi paesaggi; confini spostati dall’artista moderno manipolatore responsabile delle infinite e diverse componenti, materiali e immateriali del reale; la sperimentazione linguistica applicata e verificata sulle presenze, evidenti e nascoste, ideali e materiali, rintracciate sul territorio di percorrenza dell’uomo, e consolidata all’interno di quei materiali di «supporto» specificatamente rispondenti al progetto creativo. Realtà come «deposito culturale» al cui interno ritrovare memoria, storia e passato; l’impegno è rivolto verso questo mare di ricordi lontani, inafferrabili e impercettibili, immediatamente vicini, e quindi riordinarli dando vita a un’ulteriore memoria collettiva, ancora più ricca e sempre nuova. Realtà è quindi anche la religione, l’epica, il racconto orale se essa non è manipolata come «citazione», il che comporterebbe il mancato contributo e rinnovamento del deposito, ma se appare nell’arte contemporanea in soluzione di «inscrizione», cioè quale fondata prassi per una nuova vitalità della realtà. Così è il «territorio» a porsi al centro di un viaggio moderno con la sua valanga di testimonianze depositate nel fluire dei movimenti naturali, nell’incedere costruttivo dell’uomo, tra i segni animali; legarsi al territorio e incedere in esso con i propri bagagli colti, elaborati in un arco breve di tempo, una progettualità che attraversa il nostro secolo, dalle diverse Avanguardie Storiche a quelle Contemporanee cui si collega un nuovo vocabolario e una nuova sintassi, e con quell’indispensabile sensibilità individuale tutto ciò che è ancora enigmaticamente reperibile nello scorrere degli eventi e del tempo, quello antico e quello moderno, tutto questo è Borderland. Borderland diventa una sede, un Luogo fisico d’incontro e di riflessione in base ad una manipolazionefruizione delle singole opere e del loro interrelarsi vivacissimo, quantitativamente prolifico; Borderland è così luogo, terreno di raccolta, una radura per l’incontro collettivo, una biblioteca della fruizione diretta di ogni radice storica e delle nuove prospettive della sperimentazione, un porto internazionale, una pista di atterraggio per carichi di mercanzie lontane, una palestra linguistica tra il persistere produttivo della memoria, singola e collettiva, antica e contemporanea, per proiezioni nel futuro.
Esperienze.
Roma 1965 circa.
Faccio visita a mio zio Sergio ospite in un bel Collegio fuori Roma e prendo contatto per la prima volta con un laboratorio di ceramica e con la produzione di piatti e altri oggetti vivacemente colorati da ragazzi colpiti da gravi disturbi mentali; lo zio è alto e gioviale, mi abbraccia e mi solleva per mostrarmi le sue opere che i diversi parenti dovranno acquistare. Ricordo che affermava essere quello il “frutto” del suo lavoro e insisteva sul futuro della sua attività; ricordo che collegai, pur nel clima di anomalia, tal esperienza e attività alla storia della mia famiglia fatta soprattutto di pittori, antiquari, scrittori e letterati.
Firenze e La Tinaia intorno al 1975.
In una mattina di autunno, superato il cancello e la guardiola svuotata della sua funzione, percorro i bei viali alberati dell’Ex Ospedale Psichiatrico di Firenze verso Campo di Marte, ancora ben visibile dalla ferrovia; cerco La Tinaia all’interno di un generale stato di abbandono, ma riconosco comunque la qualità architettonica dell’insediamento, la dilatazione nello spazio identico al vecchio Zoo di Roma, tra tante piccole caserme, campi di prigionia e di concentramento per ogni ideologia e dittatura del secolo scorso, ma anche sognando un campus universitario, ricordando le coeve colonie marine del Calabrone. E’ il mio primo incontro professionale con un laboratorio dedicato ad Arte e Terapia e all’interno esamino le relazioni espressionistiche nel binomio Arte Vita; non solo ceramica policroma e carta-pesta ma opere su carta e su vecchi lenzuoli dai colori vivaci e gli sguardi felici e violenti dei numerosi artefici delle opere raccolte e documentate, in sintonia con la Stagione della Transavanguardia e del Neoespressionismo da un catalogo firmato da Achille Bonito Oliva. Rimane in me indelebile il rapporto tra psiche e sistemi espressivo-visivi rintracciabili lungo l’intero patrimonio dell’arte occidentale, nascosto nei meandri segreti di una sinopia e nel foglio disegnato di un Maestro e nella lastra di rame di un anonimo, nella stagione della fotografia scientifica.
Genova e Claudio Costa. Tra il1990 e il 1995.
In una mattina di luce di mare a primavera accompagno cinquanta studenti di Brera a Quarto di Genova; l’obiettivo è la visita a un nuovo Museo-laboratorio dell’arte contemporanea predisposto e diretto da Claudio Costa; l’architettura umbertina con la bella e immensa facciata, il parco ricco di pini marittimi e magnolie, l’elegante cancellata mentre all’ingresso un corpo di guardia gallonato accoglie i giovani artisti ignari di un viaggio nel rapporto più intenso tra “arte e vita”. Dopo l’ampio “sagrato”, percorriamo la scalinata frequentata da uomini e donne in camice bianco, altri con divise, pigiami e abiti dimessi; sguardi curiosi e voci inattese rivelano ai ragazzi attoniti e sconvolti di stare all’intero dell’Ospedale Psichiatrico di Quarto. Ci accoglie il sorriso da “esporatore del pensiero” di Claudio Costa e ci accompagna entusiasta a conoscere e a ‘mischiarci’ con i suoi allievi nel grande Laboratorio organizzato per aule e depositi, poi nel suo nascente studio, poi condividiamo la mensa e il futuro Museo delle Forme Inconsapevoli. Vivo e viviamo l’esperienza del fare; i rapporti sono diretti e caratterizzati soprattutto in senso altamente produttivo secondo un principio di ‘accumulo’, abbondanza, coralità, contaminazione, ascolto della nota all’interno della coralità; centrale non fu la ceramica o il colore, la ricerca dell’intensità espressiva che si sovrappone, ma il materiale di supporto ascoltato che parla alla ‘sensibilità’ dell’artista, che suggerisce, che comunica nel silenzio. Un signore alto e magro, Raggio conduce a piccoli gruppi i ragazzi nel giardino ora ridotto a boscaglia; svelò solo a loro l’ascolto delle voci nascoste nel legno, in una canna secca; poi mostra il suo magazzino di opere realizzate per bruciature attraverso la sigaretta sempre accesa. Alcuni giovani artisti lavorano alle proprie ricerche pittoriche e plastiche in piena contaminazione con gli allievi-artisti di Costa; Mauro Mercenaro è tra questi e lo sarà anche in futuro, tra i più entusiasti e produttivi.
Negli anni sono seguite le collaborazioni, le pubblicazioni e i seminari ed è nato il “Museo Attivo e delle Forme inconsapevoli” in cui Costa ha raccolto le opere di artisti ed ex allievi del suo Laboratorio. Alla fine di giugno del 1995 oltre trenta studenti di Brera hanno consegnato al Museo le proprie opere raccolte in un catalogo stallandole lungo una memorabile giornata di dialogo e di confronto con Claudio Costa; fu l’ultima iniziativa di un Maestro trascorsa con dei giovani: Claudio è morto improvvisamente il 2 luglio.
Genova. Ex Ospedale Psichiatrico di Cogoleto con Paolo Bonizzoni, psichiatra e artista.
Ancora in una soleggiata mattina di primavera torno ad attraversare l’ampio cancello di ferro battuto, supero il “posto di guardia” e percorro i viali alberati, ancora raggiungo i diversi ed eleganti ‘padiglioni ’ immersi nel verde, sosto nei laboratori di ceramica e prendo contatto con le immagini tormentate nell’argilla, dialogo con l’entusiasmo “offeso” di psichiatri e operatori. Sono accompagnato nel cunicolo oscuro del “Presepe psichiatrico” di Cogoleto, mi soffermo lungo le “stazioni” sotterrate di una persistente Via Crucis, lungo l’aggiornato caleidoscopio della quotidianità del figlio dell’uomo, sosto attento agli odori di muffa che divorano il paesaggio iconografico della mente, mentre fibrilla l’impianto elettrico di una poco nota Mathausen. La chiesetta del villaggio in stile neo-gotico forse si salverà con il suo patrimonio espressivo quale ultima isola dedicata al ricordo e alla testimonianza della “passione” dell’uomo.
Proviamo a predisporre un progetto di difesa e di recupero, di utilizzo per l’arte e la produzione culturale, per l’investimento espositivo e dei laboratori, per una residenzialità universitaria collegata alla produzione europea delle arti visive.
Segue il silenzio di chi ci ha invitato e di ogni ir-responsabile coinvolto nel dis-interesse pubblico e privato.
Andrea B. Del Guercio
È Titolare della Cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea. Direttore delle Scuole di pittura. Accademia di belle arti di Brera Milano