Cappella Collegio Universitario Padri Pavoniani Milano 2012

Cappella Collegio Universitario Padri Pavoniani Milano 2012

Adeguamento artistico a cura di Maria Stella Tiberio, Michele Napoli, Maddalena Artusi. Supervisione Arch. Michele Premoli Silva.

Considerazioni iconografico – iconologiche sul suono e sulla luce.

a cura di Ida Chicca Terracciano

La Cappella dei Pavoniani situata all’interno del Collegio universitario e della Casa Editrice Ancora, è stata ristrutturata a seguito di un concorso d’idee che ha visto coinvolti gli studenti de Dipartimento di Arti e Antropologia del Sacro dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Gli interventi di qualificazione dello spazio liturgico hanno determinato un’efficace trasformazione della sua struttura interna, ma soprattutto creato un singolare risultato attraverso un’ampia e articolata interpretazione dello spazio sacro.

Più che una reale riqualificazione architettonica, iniziativa resa quasi impossibile dalla posizione della cappella inglobata all’interno di una struttura architettonica preesistente risalente all’incirca agli anni ’50, all’interno dello spazio sacro sembra essersi realizzata una nuova e “fresca” declinazione di registri formali nati dall’interferenza tra l’architettura, le arti minori, lo spazio liturgico, la citazione formale, i materiali. 

La Cappella dei Pavoniani è stata rinnovata e riscattata proprio attraverso l’articolato e ricercato sistema organizzativo interno, fatto di scansioni, segnalazioni, avvolgimenti; le soluzioni rimandano a immagini e materiali tradizionali, ma sono reinventate attraverso il diffuso uso della citazione propria delle ultime tendenze linguistico-formali giovanili dell’arte contemporanea.

All’interno di questo nutrito campo d’interferenze nasce il corto circuito che ha portato a soluzioni originali in cui l’elemento architettonico e l’arredo sacro sono interpretati con una sensibilità che li pone a metà strada tra l’architettura, l’arredo sacro e il design. 

Così il tappeto, la pavimentazione, le lampade, le sedute dei fedeli fino alla presenza più orbitante e satellitare dell’altarino devozionale, stabiliscono un forte legame simbolico e interscambiabile con l’architettura e con lo spazio. 

La finitezza architettonica obbliga, per limitatezza di sviluppo spaziale e di sorgenti luminose, a cercare soluzioni alternative in grado di conciliare i valori liturgici e teologici con la frequentazione dello spazio sacro. La componente di novità che amplifica il valore di arredi ed elementi liturgici tradizionalmente preziosi quanto in sottofondo rispetto al complessivo sistema visivo e plastico-architettonico dell’edificio-chiesa, origina da un elemento del tutto particolare. 

Dal punto di vista iconografico esso non è solo riscontrabile nel bassorilievo posto sull’altare, neppure nell’iconografia dei santi o in altri elementi rinvenibili all’interno della cappella. Si tratta della presenza delle lettere dell’alfabeto e dei fili che si succedono e rimandano la loro presenza da una zona all’altra della cappella secondo un preciso rimando di valore. 

Così la lunga vetrata in plexiglass rivisita liberamente le grandi vetrate medioevali e si trasforma in una lunga sequenza di santi che circondano ad altezza d’uomo racchiudendo lo spazio sacro; le immagini trasparenti dei loro corpi sono avvolte da una costellazione, da codici indecifrabili di caratteri racchiudenti le lettere del loro nome. All’interno delle quali si distinguono a caratteri d’oro i nomi di: Marta, Antonio, Scolastica, Agostino, Teresa, Filippo, Ildegarda, Giovanni, Caterina, Domenico, Monica, Francesco, Maria di Magdala, Ignazio, Agnese, Barnaba, Cecilia, Chiara, Paolo; tutte le lettere suonano visivamente, evocano, insieme alla figura dei santi, la memoria e la vocazione individuale di ciascuno dei presenti al banchetto liturgico. 

Questo tipo di rappresentazione realizza un continuo rimando formale al tema della luce e alle sue inevitabili relazioni con l’uso del simbolismo letterale e dei fili-raggi riscontrabili all’interno della cultura cristiano-ebraica. La stessa fonte luminosa che campeggia sul soffitto in corrispondenza dell’area dei fedeli richiama il motivo architettonico del rosone che da finestra diventa una plafoniera ricamata e in cui la sorgente luminosa artificiale è scomposta da fitti tagli materici racchiudenti dei motivi floreali.

I motivi relazionabili alla luce e al suono ritornano in maniera più evidente in zona absidale, nel bassorilievo ispirato all’opera di Andrej Rublëv “Il sepolcro vuoto” realizzato da Maria Stella Tiberio e Michele Napoli.

Vi è in quest’area un altro aspetto più squisitamente concettuale: l’intera rappresentazione riprende il motivo delle direttrici di suono che attraversano e scompongono l’immagine trascrivendo un codice divino.

In continuità di senso le inscrizioni poste sotto alle finestre laterali rimandano a una meditazione sul Verbo.

La comunicazione avviene attraverso delle linee che fungono da direttrici di senso, l’energia si propaga nella luce e nello spazio superando la dimensione del tempo, restituendo ciò che per la religione ebraica è la luce senza limiti rappresentata dalle sephirot. 

La loro irradiazione procede dal bassorilievo alle finestre della cappella e da lì con uguale funzione di struttura sonoro-luminosa passa all’ambone luogo della parola e all’altare mistero di presenza.

L’unitarietà o l’identità progettuale passa nello spazio circostante attraverso la pavimentazione composta di un grande reticolo all’interno del quale le sedute dei fedeli parcellizzano la continuità del lastricato e accolgono le mono-sedute dei fedeli, riprendendo così la frammentazione delle vetrate dei Santi.

Una riflessione a parte merita la presenza del lungo tappeto di Maddalena Artusi che introduce allo spazio sacro e nello stesso tempo si offre come simbolica soglia di attraversamento dalla condizione quotidiana a quella di raccoglimento e di comunicazione spirituale. Infatti, la singolare disposizione dell’arredo liturgico occupa lo spazio intermedio tra la porta d’ingresso e l’accesso allo spazio sacro. Ad accompagnare quest’attraversamento l’artista ha ricamato un lungo virgulto raffigurante la croce fiorita che in prossimità della cappella si trasforma in un cespuglio di fiori simbolo della comunità cristiana.

L’intera concezione artistica diventa accompagnamento alla liturgia condotta attraverso la teologica visione di fede che reputa la Croce come via alla risurrezione, alla salvezza dell’umanità, al rinnovamento dell’uomo.

La presenza del tulipano, fiore caro alla cultura islamica per il colore rosso sangue dei suoi petali, appare nella sua vera essenza quale fiore dei martiri cristiani.

Il materiale tessile proveniente da Istanbul è stato lavorato secondo la tecnica del Kilim utilizzata in Turchia per la lavorazione dei tappeti, mentre i colori viola e verdi s’incontrano unendo il tempo liturgico della passione con quello ordinario e della natura.

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