Pietro Coletta – La luce della scultura nasce dall’incontro tra il fuoco e il legno 2013
Pietro Coletta
La luce della scultura nasce dall’incontro tra il fuoco e il legno.
Le opere sono raccolte nello spazio esterno alla casa-studio di via Garibaldi e collocate in un sistema a incastro sovrapposto tra volumi e superfici, tra barre e piani, tra travi e sfere luminose; la percezione che ne ricevo è quella di un un’immensa biblioteca composta da frammenti culturali indipendenti ed al cui interno obbligo a muove l’osservazione, in maniera del tutto simile nel principio, alla ricerca di un libro tra scaffali e mensole. Le dimensioni estese dello spazio e la sovrapposizione degli elementi plastici suggeriscono un iniziale approccio, per quanto possibile, distante, affascinato dalla distribuzione di una luce-colore bruna che uniforma e dilata l’atmosfera installativa di tutta l’operazione e poi attratto dallo spuntare dettagliato dei particolari. Resto affascinato da questa fase introduttiva ad incastro e in sovrapposizione caratterizzata da quegli emozionali toni ‘antropologici’ che si dovranno diradare all’interno della futura rarefazione spaziale dell’allestimento espositivo. Ritrovo integralmente riaffermato e rafforzato dal persistere di una volontà espressiva frutto del confronto tra la cultura del materiale e quella del pensiero, il clima esperienziale in accumulo del fare arte; emozionante è l’opportunità di rintracciare nel presente i principi costitutivi della stagione progettuale degli anni ’70 da cui ha mosso Coletta e su cui si fonda il corpo centrale della scultura della nostra generazione. All’osservazione generale sostituisco il rapporto diretto, dettagliatamente epidermico, con le pagine dei grandi libri, l’aggettante struttura di lettere che come incipit vi si iscrivono e le possenti costole lignee della scultura.
Lo studio.
L’esperienza conseguita nel rapporto con il rigore monocromo e la tangibilità dell’architettura plastica viene confrontata e si arricchisce di significato tematico attraverso la frequentazione della policromia indiana della casa-scultura, con la preziosità degli arredi e dei materiali, fonte di una sacralità delle origini, in cui l’estetica è forma di salute dello spirito, di Coletta. La relazione tra i due habitat qualifica sul piano operativo, la contaminazione concettuale tra le forme del pensiero e quelle dell’esperienza culturale andando a significarsi sul piano del giudizio e della testimonianza sulla nostra stagione storico-siciale. I frutti nati dal rapporto tra arte e vita appaiono rappresentati all’interno di queste dinamiche ambientali mai casuali ma calcolate all’interno del processo di creazione artistica. All’interno di questo percorso e degli attuali risultati, con particolare riferimento alle questioni atmosferiche della luce-colore, rintraccio, con valore e ruolo di sottofondo significativo, la stagione della leggerezza e della trasparenza degli anni ’80, di un’approfondita esperienza creativa orientata ad assurgere ad una scultura in grado di comunicare l’indirizzo della luce, di un habitat plasmato dalla rarefazione, in una immaterialità quale luogo del pensiero, limitazione dell’assillante presenza fisica dei sensi. Una stagione espressiva in bilico tra felicità e languore, analitica e sperimentale, segnaletica di una volontà di spoliazione del patrimonio occidentale della storia, del ricatto ideologico. Un tracciato contrassegnato da valori a cui sono collegati la stagione intensa dei viaggi e della residenza in India, il riconoscimento di un percorso espressivo nel tessuto della spiritualità delle origini, l’elaborazione estrema del dolore, l’impostazione espressiva frutto di un ‘work in regress’ verso le attuali nuove forme iconografiche.
Ancora in questo quadro serrato tra arte-vita, sulla intersecazione stretta dei campi, si situa la presenza caratterizzante dello stesso Coletta, collocato all’interno delle dinamiche tra i due habitat ed in proiezione sociale allargata, con valore di testimonianza estetico-simbolica. La scelta di operare nell’arte senza disgiungere la propria rappresentatività – l’uomo al lavoro di punto vestito – dal dopo e dall’oltre, trasferendo la propria forma rappresentata all’intero del collettivo, avvalora e qualifica l’attraversamento, la raccolta, la trasformazione nell’opera del patrimonio esperienziale acquisito. Tutti i dati che compongono in maniera sommatoria la riconoscibilità posti alla base dell’abito-divisa, appartengono alla testimonianza globale del fare dell’arte, si inseriscono come ulteriore sviluppo e conferma della ricerca ed elaborazione della grammatica visiva posta alla base della scultura, lingua che diventa letteratura.
La luce della scultura nasce dall’incontro tra il fuoco e il legno.
Se l’impatto con la scultura si configura immediatamente nel rapporto con l’essenza predominante della materia, sia nel caso del ferro che del legno, colti in una relazione stretta, a cui si aggiunge con valore di scissione il vetro ed il bianco, si dovrà osservare, attraverso un rapporto meno emotivamente diretto, che intorno alla consistenza della luce si articola l’intera operazione espressiva di Coletta. Quest’ultimo ciclo di opere non rappresenta un normale rapporto di continuità con la storia espressiva dell’artista, ma sembra più chiaramente raccogliere ed emblematizzare l’azione riassuntiva, assoluta ed essenziale, del patrimonio di esperienze tecniche, tematiche, acquisite e depositate, verificate nell’interiorizzazione del pensiero.
Materia e luce sono le componenti linguistiche su cui Coletta ha lavorato insistentemente anche se in maniera indipendente tra di loro nel passato e che oggi si trovano condotte ad interazione e in unica produzione. La materia intesa grammaticalmente tra linea e superficie, la trave e la lastra, si conferma attraverso la consistenza del legno e del ferro; la luce si configura attraverso la circolarità nel cristallo e nel quarzo, nel volume delle pietre vulcaniche. Il dato che ulteriormente amplifica la ricerca della luce, intesa come espressione spigionata dalla materia, come energia che si visualizza attraverso il contrasto con l’oscurità, che ne orchestra le relazioni e ne amplifica i valori fino a raggiungere l’unità dell’opera è rappresentato dall’azione diretta del fuoco.
In particolar modo la funzione del fuoco è applica da Coletta sulla relazione formale che intercorre tra la superficie lignea e il segno metallico; al pari di un evidenziatore la fiamma trascrive e svela l’incontro linguistico della scrittura sul foglio; non l’ombra ma l’impronta quale segno tangibile e fonte di una memoria che attraversa il tempo passato, si impone sul presente attraverso una condizione permanente di energia. La successione dei titoli delle opere ‘Arco voltaico’, ‘Bagliore’, ‘Cerchi spezzato’, ‘Enigma’ confermano e sottolineano questo processo di analisi linguistica teso a riconoscere nella scultura il potenziale espressivo delle materie dialoganti e la configurazione visiva dettata dalla luce. A questo dato, la luce, va aggiunta una specificazione ulteriore e ad essa interna rappresentata dalla questione del colore; la carbonizzazione del legno rivela a sua volta la presenza ‘pittorica’ della luminosità consolidandosi nelle atmosfere del colore.
Un ulteriore passaggio ed un allargamento delle questioni già segnalate, un approfondimento ulteriore orientato sulla ‘fonte della visione e dell’illuminazione’, vede l’inclusione simbolica rappresentata dalla sfera di cristallo, di quella di alabastro e la sua contrapposizione con la pietra vulcanica. La sfera, sia nella sua natura trasparenza che di emanazione di luce, apre un varco diretto rispetto all’enigma della materia, il legno ed il ferro, divarica la sua natura implosa, apre un ulteriore varco verso la percezione. Alla superficie ed alla trave si aggiunge la sfera quale specifica forma della grammatica visiva andando a riorganizzare non la tradizionale volumetria della scultura ma la sua struttura architettonica. Anche in questo caso i titoli delle opere, da ‘Polifemo’ ad ‘Occhio di Dio’ a ‘Occhio mistico’ qualificano i contenuti della luce e del colore attraverso l’esperienza della visione e direi dell’illuminazione morale.
Aspira alla luce, che si proietta verso quella luce che è in essa, che si nasconde nelle sue vene…