Marina Falco. Il colore dell’architettura.

Marina Falco. Il colore dell’architettura.

di Andrea B. del Guercio

Il nuovo ciclo pittorico affrontato da Marina Falco si pone all’interno di un’ampia esperienza dell’arte attenta al rapporto con l’architettura; quella che possiamo definire una storia dell’architettura dipinta attraversa l’intero sviluppo della più ampia storia dell’arte occidentale e si colloca in posizione autonoma rispetto alla pittura di paesaggio. Lo spazio della città, la struttura architettonica urbana corre parallelo con la cronologia storica dell’arte, sia nella soluzione di una lettura distante della conformazione del centro abitato, ma anche attraverso l’approfondimento ravvicinato ed interno all’habitat fatto di palazzi e di strade. 

In relazione attiva e con soluzioni d’introspezione con un patrimonio espressivo straordinario, articolato lungo gli sviluppi stilistici, tra le geografie culturali, caratterizzato da sistemi di specializzazione del fare e del documentare dell’arte, qualificato dall’intersecazione tra diffusi contributi anonimi e di ‘bottega’ ma anche per grandi autori, si pone Marina Falco; l’intero ciclo che muove dalla fase ‘progettuale’ dei disegni a quella di una pittura lacerata, per lunghi tratti cancellata, sembra rispondere ad un’idea di rivisitazione e di attraversamento, dove l’esperienza della memoria appare atto di conferma del presente.  

Una condizione di profondità psicologica, di severa ricerca del rigore esistenziale caratterizza la fase disegnata del ciclo ‘Il colore dell’architettura’; le carte sono vergate con forza da un gesto sicuro in cui le ombre scandiscono la tridimensionalità degli spessori, il movimento di un arco, la spazio segreto di un portoncino; il segno che progetta definisce l’architettura più che lo spazio, si impegna sulla definizione della superficie e della sua struttura aggettante, percorre l’organizzazione delle funzioni porta–finestra, ma si trattiene dall’attraversamento e dallo sconfinamento nel volume. 

Il disegno appare in questi anni di lavoro di Marina Falco una forma linguistica prediletta ed insistita in grado di restituirle il valore della visione, la forza di un ricordo ambientale severo; il processo espressivo del segno è specifico e tale da non dipendere dal compito descrittivo e dall’obbligo del racconto, ma punta direttamente sulla ricerca dei valori, sull’espressione dell’essenza mnemonica dello spazio abitato dal tempo, dalle forme sovrapposte specifiche della frequentazione. Ogni foglio appare una visione che apre ad un nuovo spazio, che rivela un cortile per scorrere ad un vicolo, una facciata ad una piazza di una città in cui il pensiero si perde, in cui il sentimento insegue un ricordo; la superficie è forte e si impone alla fruizione come un muro invalicabile, la materia disegnata lascia scorrere lo sguardo senza possibilità di accesso, trattenendolo sul tracciato intimo della partecipazione psicologica.

Al ciclo dei disegni-muri psicologicamente intensi nella severità monocroma del nero e delle sue sfumature grigie, ha fatto seguito quello pittorico più recente in cui l’emozione del pensiero, la natura mobile del ricordo ambientale, il processo di contaminazione e di sfumatura, acquisisce e si arricchisce attraverso la presenza frammentata del colore; lungo questo percorso di arricchimento dell’immagine disegnata, ancora l’impiego del colore non svolge la funzione della descrizione e del racconto ma si diluisce, si distende,a tratti si accumula e si espande andando a testimoniare la successione imprecisa del tempo trascorso, delle emozioni e dei sentimenti.

I rossi, i verdi, i gialli sono portati dalla Falco con la volontà di trattenere lo sguardo distante, direi escluso rispetto allo spazio oggettivo della città; la contaminazione segno-colore nel rapporto tra la superficie del dipinto e la prospettiva dell’architettura trattiene sull’esterno la frequentazione per andare a promuovere uno stato di presenza psicologica, una partecipazione allo spazio attraverso lo stazionamento dello sguardo e l’espansione del pensiero nel tessuto silenzioso dell’habitat: all’interno di ogni fotogramma di questo ciclo pittorico sembra raccogliersi e ricomporsi l’intera storia di un grande centro storico della nostra memoria, nella contaminazione di un tessuto globale di umanità. 

 

Gli interni-esterni si arricchisco e si allargano, includono decori, particolari aggiuntivi e forme ulteriori di vita, tracce di un passaggio e funzioni dimenticate, vuoti e pieni che si succedono, percorsi e camminamenti aprono verso nuovi ambienti.

In parallelo con il processo compositivo di allargamento e divaricazione, la frequentazione psicologica dello sguardo si sofferma sulla presenza del colore, si raccoglie sull’evidente matericità di un rosso esteso, sulla compattezza di un giallo persistente, su materie cromatiche che resistono al trascorrere incessante del tempo; il colore è grattato, interrotto, cancellato, emblematicamente trattenuto dalla Falco rispetto ad un ciclo di vecchi affreschi, preservato con volontà esistenziale dallo svanire di una vecchia fotografia. 

Il colore si trattiene negli angoli, lungo le linee del disegno, per poi svelare la ‘sinopia’ di un progetto decorativo che si va perdendo. È ancora il tempo della memoria l’essenza espressiva della pittura-disegnata di Marina Falco.