Ilaria Forlini – Dall’istallazione all’opera, dalla terra che ricopre al colore sulla lastra 2010

Ilaria Forlini. Dall’istallazione all’opera, dalla terra che ricopre al colore sulla lastra.

di Andrea B. Del Guercio.

Il patrimonio di lavoro di Ilaria Forlini, fondato simultaneamente sulla sperimentazione tecnica e sull’esperienza del pensiero visivo, trova per la prima volta lo spazio della verifica all’interno dello Spazio Molteni di Milano; sulla base di una precedente e positiva esperienza espositiva caratterizzata dalla storica relazione dell’opera d’arte con la configurazione dell’habitat privato, questa mostra antologica risulta un’occasione importante, una forma di verifica sul campo, per svolgere un’attenta ricognizione sul valore espressivo della sua ricerca. 

Il percorso espressivo di Ilaria Forlini si è sistematicamente caratterizzato negli anni per diversi cicli di opere raccolte e caratterizzate dall’insistente binomio tra area tematica e dati strutturali di supporto; sin dai primi anni di presenza in Accademia e lungo le più recenti tappe l’attività si è costruita attraverso una volontà di ricerca e di sperimentazione fortemente e chiaramente coordinata, al suo stesso interno, attraverso la presenza di suggestioni estetiche frutto di un personale e meditato incontro con il patrimonio antropologico-concettuale degli anni ’70 e ’80.

A differenza della maggioranza di molti suoi coetanei, obbligati ad un faticoso e interdisciplinare processo di sperimentazione, la Forlini si è presentata, sin dall’inizio e sempre meglio determinata, orientata alla messa a fuoco di manufatti in cui il tema e l’esperienza concreta del lavoro fosse chiara, l’incidenza fisica della cultura e delle tecniche dei materiali avesse valore di affermazione, il radicamento con le funzioni d’uso degli strumenti e dei meccanismi oggetto di analisi si imponesse aprendo a nuovi ed ulteriori soluzioni e sviluppi.

Ricordo quanto la Forlini abbia saputo elaborare un linguaggio plastico-visivo attraverso un rapporto di approfondimento polimaterico e multifunzionale con la realtà degli oggetti della quotidianità, andandosi a collocare sulla linea del Gruppo Fluxus per poi andare ad indagare con specifica attenzione l’opera di Claudio Costa; su questa base dai profondi contenuti estetico-etici, ma anche politici e civili, l’iscrizione alla Scuola di Decorazione, qualificata sul piano della docenza da Francesco Correggia, acquisiva il valore interessante e significativo dell’indagine artistica fondata sul concetto di esperienza, evitando forme diffuse di auto-referenzialità della pittura, accentuando il peso della testimonianza e la responsabile attenzione ai valori racchiusi e preservati dai materiali, il ferro e la terra, e negli strumenti, la sedia e la carriola.

Sulla base di una maturità espressiva ben dettagliata si collocano le opere nate all’interno del Biennio di Specializzazione con una particolare specificazione alle questioni antropologiche dell’arte sacra; l’aura che avvolgeva il suo primo operare, ha subito in questa nuova fase una netta maturazione andando a configurarsi in maniera personale nei nuovi lavori, con accentuazione di tensioni private, con soluzioni più intime e vicine alla propria emozionalità. Sebbene il linguaggio materico continui coerente attraverso la scelta e l’organizzazione di materiali più familiari all’artista e i processi di combinazione di questi elementi resti la stessa, compresa l’esposizione agli agenti atmosferici, ciò che cambia oggi è il soggetto dell’opera.

La tangibilità dei materiali impiegati pur persistente ed incisiva, subisce progressivamente non una perdita di incisività, ma una rarefazione in corrispondenza con il gusto, direi il piacere della comunicazione pittorica; collocandosi in maniera autonoma rispetto al passato, l’incisione della lastra di ferro dolce, la presenza controllata della ruggine, l’acidatura e più recentemente l’impiego del colore sulla superficie metallica, in tangibile sostituzione della tradizionale tela, sono i passaggi che si coordinano in una serie dettagliata di cicli di opere. 

I vasti orizzonti, un tempo abitati da macchine esploratrici e da traino che scrutano e dragano, poi attraversati dalle traiettorie impazzite di aeroplani e navi dalla destinazione non ben definita, oggi ed in questa ultima produzione appaiono spopolati e distesi. Si ha come l’impressione che la stretta rete di azioni presieduta da aeroplani, sottomarini, e draghe, si sia improvvisamente rotta e dispersa. I congegni umani, veicoli ridicoli ora di una volontà di dominio, ora simboli amari del lavoro e della sofferenza, appaiono dissolti lasciando spazio a nuvole lattiginose, allo scontro tra tempeste d’acqua e  turbini di sabbia rossa, all’estensione aerea dei paesaggi del pensiero.