MY LIFE – L’arte risiede a Venezia.
Margaux Bricler et Andrea Hess, Valeria Manzi.
A cura di Andrea B. Del Guercio.
L’evento espositivo predispone e sviluppa le funzioni di un grande ‘Archivio’ dell’arte contemporanea. Utilizzando le tre grandi pareti poste in serie e proiettate direttamente sul pubblico passaggio, l’installazione è in grado di mostrare, di offrire allo sguardo del pubblico la percezione di una realtà fisicamente ‘inaccessibile’ ed emozionalmente riservata. Poste all’altezza della strada ed in diretta relazione con la vita che vi scorre, ho ritenuto utile provare a proporre un ribaltamento tra il dentro e il fuori, in cui la singola vetrina potesse restituire, in ‘conflitto’ con un destinazione ‘commerciale’, la funzione espositiva dell’interiorità personale, e nello specifico di tre distinte ‘vite vissute’, calate nella vita alla pari con coloro che attraversano pensosi e/o spensierati il quartiere verso le diverse destinazioni.
Sicuramente ha giocato un del tutto inedito e ‘fuori norma’ incontro dell’arte con questo ‘strano’ luogo posizionato in maniera evidente nel quartiere di San Polo a Venezia, dove scorre l’inarrestabile flusso turistico internazionale, parallelamente al vissuto quotidiano dei suoi abitanti. L’opera d’arte in forma di installazione, quindi di racconto per frammenti, attende il passante quando, voltato l’angolo, inaspettatamente, protetta dal ‘grande vetro’, secondo la lontana lezione di Marcel Duchamp e la cultura dadaista, incontra il suo sguardo, attrae la sua attenzione e curiosità.
Tre artiste europee, Margaux Bricler francese Andrea Hess tedesca, Valeria Manzi italiana, sono state invitate a predisporre, lungo il tempo di un soggiorno veneziano di riflessione, il racconto per immagini della propria esistenza d’artista, articolando lo spazio espositivo tra esperienze intime e riflessioni emozionali, tra reazioni partecipative e giudizi di merito nella società contemporanea. Escludendo la dimensione globale di un’opera unica e totalizzante, si è privilegiato un processo artistico fondato sull’accumulo di porzioni simboliche diverse, tra soggetti indipendenti tratti dalla relazione tra diverse fasi di creatività. Un processo narrativo che invita il visitatore, colui che decide di affacciarsi su ogni singolo habitat espressivo, ad una osservazione attenta, orientata, su base personale, alla ricerca di relazioni.
Il processo di frammentazione, quale memoria attiva del collage da cui l’arte moderna trae le sue origini, appare il processo linguistico che caratterizza il lavoro delle tre artiste, impegnate a ridisegnare sulle grandi pareti di fondo, il caleidoscopio della proria esperienza di donna e di artista.
Margaux Bricler pone l’attenzione sul ‘mettere a nudo’ la propria esperienza fisica, all’interno di una essenziale sala da bagno, che potrebbe appartenere a un marginale contesto sociale, dall’albergo alla casa di perferia ; gli elementi di conforto e di cura del corpo sono minimi e concepiti quasi al limite della sopravvivenza che per una rigenerazione fisica. La realtà dell’ambiente è talmente scarna e lontana dal confort da arrivare a suggerire l’eliminazione dell’intimità, facendo del racconto autobiografico uno stralcio vuoto. La natura concettuale della ricerca di Margaux Bricler la distingue, nella particolare modalità di gestire lo spazio, riducendo al minimo la distanza degli oggetti in primo piano dal filtro protettivo offerto dalla vetrina.
Andrea Hess si sofferma sulla dimensione affettuosa di una umanità posto ai margini e indipendente rispetto ai processi diffusi del sistema sociale. Una coppia di amantiaccompagna la visione di ‘guestosi’ quadretti affettivi, incorniciati da una forma ovale preziosa, la cui iconica presenza rimanda inevitabilmente al gusto per l’elemento decorativo ; un ricordo e un’intimità protetta che ci riconduce a quegli antichi ‘ciondoli a cassa’ nei quali erano presenvate le reliquie o le foto di persone scomparse. Questo elemento contrassegna per la forma geoetrica associabile al volto, ricorre in forma più grande all’interno dell’arredo domestico sotto forma diffusa di una ritrattistica nella cultura europea di fine ‘700 e lungo la stagione borghese dell’800. Cosi l’associazione tra il minuetto amoroso e l’affettività raccolta in un interno privilegiato, sacralizzato dall’oro, diventa dialogo dei sensi e ironia del gioco ; i gesti e le pose declinano le differenti formule del sentire, frammentandosi lungo lo sviluppo di un racconto che si libera nello spazio rinunciando alla sequenzialità del racconto, suggerendo la circolarità del tempo nell’eterno ripetersi dei sentimenti e delle emozioni. .
Valeria Manzi distribuisce e rivela la frantumazione iconografica della sua esistenza contrassegnata dall’impegno nella poesia. La presenza di carte piegate, unite a giochi chiaroscurali nati dal dialogo della superficie materica con la luce, lo scompaginarsi dei fogli all’insegna della sua sola sensibilità, rimanda a un profondo sentire del valore morale della memoria letteraria e di una sensibilità colta. La componente autobiografica dell’artista è data dalla messa in comune conl’osservatore del significato prezioso delle carte quale documento e medium culturale trans-teatrale. La carta non è più solo il luogo della memoria ma il tessuto, la membrana vivente nata da un processo di osmosi tra il reale e la dimensione percettivo-sensibile ; le superfici sono abitate dalla parola scritta e sopratutto dall’ombra della piega in grado di creare sottosquadri, varchi in profondità, improvvise e imprevedibili aggettanze e cambi di direzione…
Il risultato che abbiamo difronte e che documentiamo in questa edizione, si è dimostrato in grado di cogliere, lungo sei mesi di programmazione, l’attenzione attiva di un pubblico posto in maggioranza troppo spesso lontano dalla percezione della cultura artistica contemporanea; con grande attenzione e rispetto di un equilibrio estetico sviluppatori tra racconto e riflessione, tra dichiarazione e suggerimento, le tre ‘grandi pagine’ d’arte sono riuscite a ‘parlare’ di intimità, in una stagione in cui tutto è urlato, in cui la volgarità sembra imporsi sulla percezione collettiva.
Un evento espositivo costruito su tre distinte voci che si pone in emblematica sintonia con la dimensione di collegialità, di incontro internazionale tra gli artisti che specifica l’origine e la storia della Biennale di Venezia ma anche un’esperienza che apporta un contributo dall’interno di un habitat vissuto dalle nuove generazioni universitarie, fondato sulla frequentazione nel tempo, luogo privilegiato di studio e di ricerca anche per l’arte contemporanea.
Un evento introduttivo teso a promuovere la diffusione di un sistema di Residenze d’Artista dedicato alle nuove generazioni dell’arte al femminile nella città di Venezia.