Mauro Staccioli – Materiali della scultura italiana 60-90
Di Andrea B. Del Guercio
Il processo storico espressivo proposto da Mauro Staccioli si presenta in termini di straordinario rigore e si propone all’interno di un processo logico per brevi e lungamente verificati spostamenti.
Rispetto alla babele linguistica proposta dalla seconda metà degli anni 70 e ad una impoverita stagione postmoderna depauperata daî suoi originali valori, il rigore che abbiamo indicato per Staccioli va caratterizzato e qualificato in termini di sviluppo e processo teorico da cui dipende una serrata evoluzione formale. Un progetto culturale profondamente radicato nel rinnovamento linguistico‑visivo degli anni 60, internazionalmente riconosciuto e depositato in una complessiva area minimal, che a livello italiano e specificamente per Staccioli, trova radici ideologiche nelle avanguardie russe e nei suoi sviluppi arte‑architettura della prima metà del ‘900. Ora si può anche osservare come queste radici moderne e contemporanee ne abbiano articolato il percorso formale. Si tratta cioè di una grammatica costruttiva che sempre ha tenuto un rapporto attivo e diretto con le entità di spazio con le sue caratteristiche ora di ambiente naturale, caratterizzato paesaggisticamente, ora di realtà urbana, qualificata architettonicamente e rispettato nelle funzioni d’uso. Questo rapporto immediato con l’habitat, precisato espositivamente anche negli ultimi interventi, pone in evidenza la volontà dello scultore di segnare, di marcare il territorio, qualificandolo, provocando una percezione ed una fruizione inedita ma collegata con il paesaggio sensibile, e contemporaneo. Risulta un processo espressivo nella doppia qualifica di scultore/architetto con redazione di grammatiche geometrico‑solide, in una fase iniziale, caratterizzata da trasgressività, da una vivacità espressionista ‑ Barriera 1969 ‑ ed in anni più recenti vivacizzata tra assottigliamento, alleggerimento, disequilibrio. Una evoluzione quindi anche al suo interno sempre e comunque controllata da una redazione progettata e da una strategia di installazione dai caratteri progettuali; ogni manufatto presenta infatti tutti i dati di una moderna ed industriale produttività con accentuazione dei valori costruttivi emblematizzati dall’uso del cemento armato, e supportati dalla deretoricizzazione delle fasi di produzione tipicamente artistiche.
Complessivamente i risultati del lavoro di Staccioli fanno parte della cultura del lavoro e quindi di una specifica cultura materiale ed ancora in sintonia con la cultura del costruire, dell’architettura.
«Il cemento di Uncini, il gesso e caolino di Manzoni, lo smalto di Schifano, le resine sintetiche di Lo Savio, tra il 1958 e il ’59, sono il primo segno limpido e inconfondibile dell’alfabeto artistico che porterà al differenziato articolarsi degli anni Sessanta», pone in evidenza Accame; un alfabeto di ricerca in cui sono impegnati valori espressivi e contenuti simbolicoproblematici, insistiti e sottolineati tra specifiche qualità cromatico‑formali e testimonianze dirette del contemporaneo paesaggio civile.
Un alfabeto cromatico‑strutturale che si qualifica nella manipolazione del cemento armato tra il 1959 ed il 1963, per brani di superfici‑pareti rigorosamente grigio‑scure, spessorate volumetricamente oltre il virtuale dal sensibile movimento delle ombre, che si specifica nell’impiego del mattone in «Arco con ombra» del 1970 scandito tra il caldo dei rossi e la severità dei grigi, che si sviluppa nello spazio attraverso i valori analitici della linea, con utilizzo della longarina e del tondino di ferro per,un costruire architetture, dalla «Finestra con ombra» del 1964 agli «Spazi di ferro» degli anni ’80.
Sono quindi estremamente precise le premesse linguistiche, rigorosamente scandite da una produzione lontana da compiacimenti sovrastrutturali, ma anche senza corrispondere a processi di azzeramento e riduzione tipici della stagione minimal. Unificante problematicamente é per Uncini la lettura interpretativa, lo studio e la frequentazione produttiva della cultura del costruire, dei suoi moderni caratteri comunicativi tra umori metafisici, della sua incidenza in un paesaggio quotidiano. Un paesaggio architettonico, quello di Uncini, a lungo progettato e sperimentato per brani modulari, in sintonia con i processi costruttivi, per campioni diversi in grado di acquisire corpo e dimensione interagente con lo spazio, riqualificante le funzioni d’uso e la percezione estetica.
L’ampio dibattito, lo scontro vivace anche recente sulla dicotomia arte/architettura, nell’interagire strutturale dell’indagine plastica, del suo confronto con l’habitat, esterno‑interno, ritengo in questa prospettiva, tra questi risultati di Uncini, sia stato decisamente scavalcato, sia sul piano della ricerca linguistica, riferita ai valori estetici dei materiali impiegati, ma anche in fase di impiego diretto, sempre nel momento in cui si sarà consolidata una nuova cultura ed una diversa politica della Città.