Pietro Coletta
di Andrea B. Del Guercio
Ad una prima lettura la storia di questi anni di lavoro può apparire un procedere lineare scandito analiticamente tra i valori distinti di una scultura che è presenza nello spazio attraverso il corpo e la sua ombra, il volume e la sua superficie, il dato fisico con la sua energia tangibile ma anche il limite invalicabile oltre il reale verso lo spirito.
In questa fase di osservazione si percepisce l’attenzione rigorosa e senza sbavature formali, il conseguimento di tensioni specifiche nel tentativo di comprendere la natura spaziale interna ad una realtà, la scultura come sistema plastico determinato dalla
definizione del proprìo confine, il suo muovere i piani attraverso un ideale ed affascinante movimento di levitazione.
Ogni `azione’ di Pietro Coletta sulla scultura, dalle primissime travi in legno degli anni ’70, all’impiego del tondino e della lastra di ferro degli anni ’80, ai più recenti confronti tra ferro e cartoni, costruisce un processo che tende ad operare non su quelle tensionì espressive tipiche della stagione minimal, ma sembra perseguire e valorizzare il significato esistenziale del fare la scultura; matura e cresce lungo questi anni infatti un progetto espressivo attraverso la liberazione della fisicità da se stessa, quindi del peso e del volume ma anche del `particolare’, per giungere, attraverso la presenza nel vuoto, alla definizione spirituale della natura della scultura.
Ora ritengo che all’interno di questo clima espressivo rigorosamente analitico, nelle opzioni formali e nei processi di redazione, si debba individuare la compenetrazione esemplare di una interiorizzata poetica della sperimentazione e quindi con valore di `filosofia dell’esistenza’; cosi ciò che ha significato dall’azione della trave, dal disequilibrio della lastra al suo fluttuare nello spazio,allo strappo del cavo, è il movimento verso quel nuovo territorio che si pone oltre la cultura della memoria per farsi condizione intellettuale all’arte.