Enrico Scippa in una stagione di ‘fiori di ferro’

di Andrea B. Del Guercio

Ho conosciuto Enrico Scippa ed il suo lavoro, più che per continuità e per rigore culturale, all’interno di una serie di occasioni improvvise e per ‘frammenti artistici’ legati alla vitalità della sua personalità; solo rispettando e quindi inoltrandomi in di questo suo apparire e scomparire, tra implosione ed esplosione dei sentimenti e del colore, delle scoperte e delle forme della materia plastica, in corrispondenza con ricerche e sperimentazioni, ritengo di aver percepito ed imparato ad apprezzare i particolari valori e l’autenticità del suo lavoro, che quest’ultimo ciclo di sculture è in grado di emblematizzare significativamente.
Ritengo conseguentemente che l’intera azione creativa di Enrico Scippa risponda ad una curiosità esistenziale tradotta attraverso l’interazione tra un eclettismo intellettuale ed esasperati processi espressivi, decisi sul piano della configurazione formale, dell’apporto tecnico e, spesso, della funzione d’uso.

Milano Via Solferino 11

Anche in questa sede editoriale dedicata ad uno specifico ciclo di recenti sculture e quindi priva di quei compiti antologici, che sono da ritenere comunque fondamentali per poter penetrare all’interno della natura espressiva e quindi dei valori culturali di Scippa, mi sembra utile ricordare introduttivamente la nostra prima stagione di contatti frequenti, collegati logisticamente alla presenza e frequentazione dello studio in via Solferino.
I nostri incontri a Milano, un viaggio a Lugano per un’intallazione ambientale, furono in gran parte dedicati ad una stagione della ricerca e della comunicazione di Scippa che risultava caratterizzata da un impiego mirato della pietra ed in particolar modo rivolta alla forma dei sassi e dei ciottoli di fiume, con attenzione cioè alla valenza simbolica e tematica dell’uovo.
Alcuni ‘nidi’ di ferro, anche di grandi dimensioni, furono imbastiti ed imbottiti da Scippa per ospitare levigati ciottoli di fiume, testimoni muti di una vita che non si svolgeva nè si svelava dall’interno ma che si era sviluppata, in una proiezione immensa del tempo, dalle originarie liquidità magmatiche all’interminabile fluire delle acque.
In una fase subito successiva e strettamente conseguente sul piano formale e costitutivo si colloca un curioso ciclo di sculture, di più maneggevoli dimensioni, raccolte nel titolo ‘Le pietre ritrovate con una favola’;.
Disseminati all’interno dello studio, ogni ciottolo ovolidale, facilmente riconoscibili attraverso un’ improvvisa e vivace policromia, era stato affrontato da Scippa con una volontà espressiva tesa verso l’azione di disvelamento, di rivelazione di una natura poetica interiore.
Ogni singolo uovo-scultura rispondeva cioè, anche con grande auto-ironia ma con mirata volontà espressiva, ad un’ipotesi di processo alchemico, configurandosi significativamente attraverso un enigmatico sistema di ‘pietre filosofali’.
In quello studio, in cui il tempo e le stagioni espressive si erano sommate e moltiplicate, depositando un patrimonio di idee ed un’articolata produzione, la sperimentazione allargata ai materiali di supporto ed alle diverse tecniche di lavorazione, potei comprendere come si ponevano in un curioso e personale rapporto di relazione e di interferenza con i viaggi e le conoscenze, con le letture e gli incontri espositivi disseminati in Europa; è in di questo turbinio vitale che Enrico Scippa ha saputo approfondire e rapportare la propria creatività alla povertà ed essenzialità del ferro, alla preziosità dell’argento nell’elaborazione dei gioielli e delle pietre dure, alla policromia della porcellana ed ai suoi sviluppi vivaci applicati agli specchi…

In una stagione di ‘fiori di ferro’.

Il ciclo recente di grandi lastre, dedicate, o forse più correttamente, sollecitate dalla rinnovata lettura dei ‘Fiori del male’ di Charles Baudelaire non può non porsi in stretta relazione con quel particolare clima culturale ed espressivo che si tentato brevemente di ripercorrere e che caratterizza la storia artistica di Enrico Scippa; è infatti all’interno di un rinnovato rapporto di continuità che appaiono i valori specifici di un progetto fondato sulle relazioni tra l’esperienza della sensibità poetica ed i contributii dell’azione espressiva sulle forme e sulle tecniche della materia plastica.

La lastra, il gesto ed il fiore.

La lastra di ferro deve essere ricordata quale uno dei temi strutturali per una storia della scultura contemporanea rinnovata nella sua totalità di valori, nella sua riconquistata unità inscindibile di forma e di contenuto; Scippa dimostra con questo ciclo scultoreo caratterizzato dalla centralità della lastre, ma anche dall’ulteriore sottolineatura introdotta dalla presenza della trave – una porzione di rotaia ferroviaria – di assumere un rapporto di relazione costruttiva con una coscienza della comunicazione artistica determinata da mirati processi analitici .
La volontà di auto-dichiarazione, di un’espressività subito e dichiaratamente disvelata nella sua natura immediata, si pone in evidenza attraverso il fattore della superficie piana, del foglio di carta, della lavagna; la grossa lastra di ferro è infatti testimone di una lucida intensità narrativa ch si costruisce e si articola in un’inquietante clima di auto-spaesamento, di abbandono delle riservatezze e di quei segreti per secoli racchiusi nel volume, nella massa materica.
La successione insistita delle lastre, che l’acidatura sottolinea attraverso la distribuzione cromatica ed esalta l’unità poetico-emozionale, scandita dalla tensione dello spessore e quindi del peso, si propone sotto forma di spaginamento del racconto, articolandosi tra la concentrazione sul singolo segmento e lo sviluppo d’insieme sul piano unico ed in continuità visiva. La lastra nella posizione singola che in sviluppo e successione di più superfici, assume nell’azione creativa di Scippa, la configurazione ed il ruolo di dato strutturale, per poi proiettarsi attraverso la successione e l’insistenza dei fogli; attraverso la ripetizione dell’icona materico-formale, nel ‘valore aggiunto’ della processione, del percorso per stazioni, l’intero nuovo ciclo sembra volersi concettualmente aprire verso una interiore luminosità, testimone di una condizione certezza, che aspira ad una volontà di classicità, di sicurezza tra percezione e riflessione nel tempo.
Il gesto portato con forza sulla lastra, assume nell’opera di Scippa, il dettato stutturale e non quello liberatorio, funzionale e non decorativo, conferma il valore di uno schieramento espressivo di cui si sono già indicati i contorni nell’area analitico-minimale; il tema sommesso della ferita congiunto con quello inscindibile della segreta sessualità, appare portato con spirito di segretezza, di frammento dell’enunciazione, ed è testimone di una cultura artistica e di una sensibilità espressiva che, sotto ed al di là della spettacolarità del paesaggio artistico, si pone nello spazio di confluenza e d’integrazione di ironia e mimetizzazione, di collateralità e di spiazzamento,di enigma quale testimone di ricchezza e di complessità, di riservatezza come bacino della vitalità e dell’energia.
E’ all’intero ed in relazione con questo clima sfaccettato della cultura artistica contemporanea e della scultura in termini di specifica avventura linguistica, che il patrimonio complesso e segreto, contradditorio come deve essere in ogni essere umano attento alla sensibilità, delle emozioni e dei sentimenti trova spazio per una affermazione nitida e diretta, rigorosa e quasi disarmante: il ramo e le foglie, lo stelo ed un boccio di rosa forgiato nel ferro.