Progetto Scultura
di Andrea B. Del Guercio
Firenze, marzo 1991
Il progetto critico, risultato di un procedere consequenziale di iniziative editoriali ed espositive diverse scandite sistematicamente in questo quinquennio, e che orchestra l’intero “Progetto Scultura”, e questa prima tappa, potrà essere direttamente avvertito dal fruitore nel moto attento di frequentazione del predisposto percorso espositivo articolato tra quattro personalità tra “stazioni” e “paesaggi”.
Il percorso espositivo è infatti esso stesso una componente ed una costante strutturalmente determinante nell’unità complessa del progetto critico stesso, per cui sul piano sia teorico che effettivamente realizzato, si osserva un superamento di prassi espositive asettiche, per isolamento e separatezza dal contesto ampio dell’opera, ma tende a favorire e predisporre interrelazioni, processi di sovrapposizione, ricchezza e vivacità di un processo, di un incedere tra ostacoli diversi, tra rimandi per una fruizione frequentazione attiva e partecipe.
La cognizione dei valori incidenti nello spazio di ogni volume, in grado di realizzare una nuova configurazione ambientale, mi hanno confermato la predisposizione di una lettura dell’arte non per brani espressivi isolati in un contesto vuoto, ma nel quadro di un processo e di un incedere articolato, anche complesso e che si auto rinnova nel singolo lettore.
In questo clima a cui riconosco una determinante importanza per la compiutezza del messaggio culturale, si collocò sempre a Reggio Emilia il complesso progetto espositivo “Borderline borderland” che nel suo titolo evidenziava interamente le sue intenzioni alla predisposizione di un territorio dell’arte contemporanea; in questo clima riconfermo con specificazioni l’intero Progetto Scultura e questa prima tappa caratterizzata dal radicamento territoriale nel collocarsi nel Museo Civico Spallanzani.
Un radicamento museale non retorico, ma effettivo per le complesse componenti, e non solo di conservazione, di un patrimonio non solo artistico, ma anche archeologico, naturalistico, e complessivamente caratterizzato dallo sviluppo delle diverse cognizioni scientifiche fra otto e novecento.
Un percorso espositivo contemporaneo che si colloca quindi all’interno di un più complesso e sfaccettato percorso visivo, articolato e non separato tra bellezze e brutture del pianeta, radicato effettivamente quindi in una visione ampia del “territorio”.
Ancora una conferma, così come avvenne nell’89 per vasi comunicanti tra la collezione naturalistica ed il percorso espositivo di barbagianni impagliati, di un procedere critico non per separatezze ed isolamento, ma per confronto, per reinvenzione.
Il percorso espositivo che questo documento accompagna ed interpreta, muove all’interno e tra due termini di riferimento relatori di valori espressivi autonomi, per cui il movimento sarà articolato tra “stazioni” e “paesaggi”.
Le prime “stazioni” sono di Alcide Fontanesi di fronte alle quali la fruizione si fa per stazionamento mobile, per soste rotanti, con lo sguardo che corre lungo le imperturbabili superfici a lungo patinate uniformemente per poi soffermarsi per le brevi fratture, tra le sbocconcellature della lastra, e poi continuare il percorso visivo verso l’unità plastica, il volume redatto e realizzato per costruzione.
Una percezione che così si articola e che si ipotizza frequentazione tattile, è da porre in relazione e conseguenza con una progettazione ed una volontà espressiva che ha selezionato la “superficie”, la lastra, la manipolazione del foglio, che ha scavalcato il “volume” come segretezza del blocco, per avviare una comunicazione aperta. Volumi costruiti per saldatura di superfici, sono le sculture di Fontanesi che nella severa architettonicità in elevazione si installano segnaletiche nel percorso espositivo per “stazioni” predisposto.
In un clima “architettonico” differenziato ed articolato sul piano dei materiali di supporto e delle funzioni, si installano gli elaboratori di Antonio Lo Pinto. Per lo scultore fiorentino le “stazioni” prevedono una fruizione che ulteriormente si progettualizza e se è ancora la superficie monocroma del ferro, del rame, dell’argento, in elevazione alleggerita nella struttura e nelle dimensioni per sfuggire la seppur minima retorica, ecco che si osserva l’intervento inedito di supporti espressivi, il marmo, relatori di animati racconti. Dalle steli alle maquettes, per comprendere nell’unità le strutture di appoggio, per inseguire emozioni enigmatico metafisiche in una estetica che si fa anche funzione d’uso, tutto appare lucidamente controllato da una mirata progettazione plastica.
In un momento che da “stazioni” mai statiche, atte a rinnovarsi costantemente, muove verso “paesaggi” vi si riconosce il lavoro di Gabriele Giorgi e di Christian Cassar. Di Giorgi, pur in un clima dai principi formali carichi di una aggressività costante, radicata in profondità, emotivamente antica, le opere presentano all’origine una progettualità, sia interna che esterna, che le proietta in un contesto ampio, oltre ogni asetticità, per conseguire una fruizione diretta, attiva, partecipe. La grande “Balestra”, forte e mobile, i “Pozzi”, severi e trasgressivi, per inquietanti sonorità, prevedono la partecipazione, la costruzione di un “paesaggio” per una frequentazione itinerante. “Percorsi” di Christian Cassar conclude con una foresta di segni simboli la ricerca di un “paesaggio” nel fuitore; la scultura, intesa nell’articolazione e moltiplicazione di una componente di base, costruita su un principio meccanico di effettiva mobilità, è essa stessa habitat di un attraversamento tra le spinte contrapposte, fra il costruire ed il distruggere, tra la volta celeste e la linea di terra; “Percorsi” è il costruire per filiforme leggerezza, è incisività lucida eleganza, mentre in lontananza gravano pareti per “paesaggi” di pietra.