Antonio Ievolella nella scultura contemporanea

di Andrea B. Del Guercio

Ponendomi di fronte ai progetti di distribuzione urbanistica delle opere monumentali e ai rendering relativi al confronto con lo spazio architettonico e alle relazioni di fruibilità, ritengo necessario porre il mio contributo di riflessione e di lettura antologica dell’opera di Antonio Ievolella, nel solco della storia della scultura contemporanea e nel tracciato contrassegnato da uno specifico sistema espositivo che ne ha interpretato l’espressione dei caratteri per poi favorirne lo sviluppo e l’applicazione. Intendo quindi porre in evidenza come i valori estetici delle opere di Ievolella rientrino all’interno del sistema dell’arte fatto di continuità e di innovazione, di rigore culturale e di responsabilità civile; temi e principi sui quali si è costruita la storia dell’arte occidentale. Non è casuale che abbia utilizzato, sin dalle prime battute di questo testo, la definizione antica di ‘opera monumentale’; infatti, il legame con la storia del patrimonio artistico esprime la volontà della scultura contemporanea di riprendere possesso dello spazio pubblico, delle relazioni di fruizione collettiva, di rappresentatività di una stagione socio-politica attraverso i linguaggi visivi.
Non meravigli che le valenze inserite nella definizione di ‘monumento’ e l’accezione di ‘monumentalità’ siano stati dati culturali ed esperienziali lungamente avversati nella stagione concettuale, per poi tornare a essere al centro di un sistema di creatività dalle ampie direttive e diverse componenti linguistiche, subito recepite, a livello internazionale, sul piano dell’installazione urbana. Anche in Italia, seppure con processi e tempi ridotti rispetto al resto d’Europa, possiamo osservare la ricomparsa della scultura in quelle piazze che avevano visto configurarsi la storia del monumento equestre, l’articolata incidenza di una centralità plastica rappresentativo del sistema simbolico collettivo, scandito lungo le tappe della storia e della cultura visiva; questo processo di acquisizione di un patrimonio contemporaneo, seppure caratterizzato dalla convivenza con forme espressive desuete, testimoni di processi estetici svuotati degli originari significati, vede la presenza significativa delle opere di Ievolella, frutto di un impegno condotto lungo questi ultimi trent’anni.
Anche in questa sede, per dare l’esatto valore dell’operazione condotta da Antonio Ievolella, sia nel caso espositivo specifico, che nel quadro della sua storia creativa di scultore, la si dovrà collocare all’interno di quel rapporto di continuità iniziato nel 1962 attraverso l’istallazione nel Centro Storico di Spoleto di un complesso sistema di opere plastiche contrassegnate da grandi dimensioni, da mirate relazioni con la spettacolarità dello spazio urbano e dialoganti con la stratificazione storica dell’architettura medioevale e rinascimentale della città umbra. Il progetto espositivo introduceva nel panorama italiano il superamento della retorica monumentale esasperata negli anni del regime fascista sulla base dei processi espressivi tardo-ottocenteschi, ponendo al centro l’indipendenza linguistico-tematica della scultura, la sua libertà sperimentale sintomatica della sensibilità contemporanea.
Non deve sfuggire che questo straordinario evento, contrassegnato dalla presenza delle ‘nuove generazioni’ della scultura italiana, uscita dalla guerra e dalla cultura accademica, e contrassegnata dall’introduzione qualificante degli ‘processi di produzione industriale’ condotti da Alexander Calder e David Smith nei Cantieri Siderurgici di Terni e di Genova, sia dovuto alla lungimiranza critica di quel Giovanni Carandente. Al critico romano si deve, infatti, a distanza ma in un rapporto di continuità dei principi estetici, la ‘scoperta’ e la collocazione espositiva di Antonio Ievolella, accanto ai grandi della scultura contemporanea, da Eduardo Chillida e George Segal, da Mark Di Suvero a Giò Pomodoro, nella Biennale di Venezia del 1988, per la Sezione Scultori ai Giardini, curata da chi scrive; anche in quel caso decidemmo di confermare l’incidenza nel percorso espositivo di uno spirito di produzione ‘ingombrante e possente’ e di una collocazione spaziale e ambientale mirata: “Le tre possibili “colonne” di Ievolella, liberate da qualsiasi significato storico e da ogni retorica, si qualificano e maturano nel valore di “segnale” di più ampia portata storica, con sottolineatura del senso dell’insediamento e traccia segnica di una umana presenza. Tre strutture essenziali, plasmate con rigorosa attenzione e stemperamento di ogni passaggio espressionistico o trasgressivo; l’uso di materiali antichi e carichi di storici umori quali il legno, e su di esso la grafite ed il piombo a sfoglie contribuisce incisivamente a raggiungere una lucida ed intensissima forza espressiva”.
Sulla base di questa fondamentale esperienza espositiva, ha avuto sviluppo un articolato sistema di relazione tra la scultura e la città e, progressivamente, non solo tra la scultura e gli spazi industriali ma anche in contesti naturali incontaminati. Lungo lo sviluppo storico si è osservato un alto numero di eventi in cui la scultura è andata ad occupare sia per lunghi periodi espositivi, sia con collocazione permanente, contrassegnando una diversa percezione dello spazio, le aree della funzione d’uso e della fruizione collettiva. Un significativo sviluppo e un allargamento delle diverse problematiche insite nel concetto di ‘scultura urbana’, sia con approfondimento delle questioni più precisamente socio-politiche nella linea critica iniziata e condotta da Enrico Crispolti con Volterra ’73, sia nella linea da me perseguita con i Progetti di Alatri nel 1989 e Reggio Emilia nel 1997; progetti contrassegnati dalle questioni dell’antropologia nella società umana e della cultura materiale, al cui interno lo stesso Antonio Ievolella ha avuto ruolo e spazio di creatività.
All’interno di questa successione di esperienze, in cui la scultura ha avuto la possibilità di sviluppare, nel rapporto con le realtà incontrate le proprie soluzioni formali e dichiarare le tematiche dei propri autori, si collocano anche specifici approfondimenti monografici iniziati, sempre da Carandente con la Mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze nel 1972. In relazione con quello straordinario inizio promotore della ricerca delle relazioni tra opera plastica e spazio architettonico, ritengo si debba porre l’istallazione predisposta da Ievolella in Santa Maria dell’Incoronata a Napoli nel 2013 e oggi, con più ampio sviluppo urbano, a Padova.

Ievolella interprete della cultura dei materiali e delle loro funzioni.

Vorrei prendere inizio, prima di proiettare la mia attenzione sulle opere ‘monumentali’, dal ricordo visivo ed emozionale di una collezione di sculture di piccole e medie dimensioni; sulla base di una selezionata collezione di opere, sia tridimensionali che bidimensionali, ricevuta da Ievolella in relazione al sistematico rapporto di scambio e di aggiornamento tra di noi intercorso. In quella Raccolta trovai conferma della presenza di alcuni dati costitutivi presenti nel suo lavoro: la monumentalità quale principio energetico dei materiali organizzati dalla manualità organico-vitale dell’uomo, la fisicità comunicata attraverso la tangibile cromia dei supporti, la valenza progettuale della società umana quale principio fondante del fare dell’arte. Ogni ‘frammento’ espressivo, controllato attraverso l’insistito rapporto tra equilibrio e disequilibrio, mobilità e staticità, rivelava la conferma profonda dei principi metodologico-linguistici del collage cubista, la strutturale organizzazione della saldatura e dell’imbullonatura, ed ancora lo spirito di visionarietà dadaiste, l’incisiva tracciabilità dell’object trouvé e il suo esteso sviluppo verso i territori dell’antropologia.
Sulla base di tali principi di metodo creativo, interpretati e vissuti con una partecipazione autentica, acquisiti quali autentici valori antichi, nasce ogni manufatto espressivo di Ievolella, frutto dell’unione della cultura materiale e tecnologica presente nell’officina del fabbro e della grande siderurgia, nella cantieristica industriale, nelle segherie e nei laboratorio di falegnameria, nelle vetrerie. Ogni maquette e successivamente per le grandi opere monumentali, tutto appare il frutto di un processo sperimentale di aggregazione tra materia e forma, ma anche evidente espressione dei processi di intuizione creativa, ora contrassegnata da un’attenta auto-ironia, ora da amarezza e partecipato dolore, ora dal prezioso equilibrio tra allegria e languore, tra forza e leggerezza, tra aggressività e gioco. Valori che Antonio Ievolella esprime da sempre nei nostri rapporti e che vidi applicati con un autentico tasso di creatività nel rapporto dell’artista con l’artigiano ciociaro di Alatri maestro d’ascia e costruttore di botti di rovere, impegnati insieme nella ‘dolorosa’ costruzione di tre Croci per la Porta del Condannato; un clima e una cultura del lavoro dell’arte che ho riscontrato in Claudio Costa e in Eliseo Mattiacci, in Giuliano Mauri, Antonio Paradiso, Pietro Coletta e Vittorio Corsini.

Ievolella e la monumentalità.

Sebbene non sia questa la sede editoriale per affrontare la complessa realtà della scultura monumentale moderna e contemporanea, le sue dinamiche e le diverse personalità che pure abbiamo brevemente segnalato, ritengo utile chiarire la collocazione dell’opera scultorea di Antonio Ievolella nel contesto di una creatività che intende configurarsi attraverso un’entità indipendente e autonoma, frutto di un patrimonio ereditato, riletto e rivisitato, ma espressione di un nuovo pensiero e propositivo di diversa esperienza nella collocazione spaziale e nella fruizione individuale. La monumentalità è di fatto insita nei processi della cultura meccanica, nella relazione tra le componenti materiali, il legno, il ferro, il piombo e il vetro, collegate nel raggiungimento del dialogo tematico; la monumentalità genera il movimento, sia inteso sul piano fisico che su quello percettivo, produce volume ed esprime il rumore, sollecita l’attenzione attraverso l’esperienza della teatralità, parla attraverso le grandi dimensioni fino a raggiungere la spettacolarità spaziale della città. La scultura monumentale, frutto di memoria e di sensibilità, di Antonio Ievolella è tale in quanto forma complessa di esperienza attiva:’Ghirbe’ rappresenta il più straordinario intervento plastico-policromo quale primario soggetto simbolico della cultura alchemica, testimonianza di una forma per eccellenza dell’esperienza umana, fondata sull’acquisizione e sull’offerta, sul ricevere femminile e sul consegnare maschile; ‘Tessitura’ conferma il ruolo della comunicazione attraverso l’estensione della superficie, del foglio e della parete rispetto al segreto racchiuso nel volume.
‘Il giardino dei venti’ introduce il cancello sul magico segreto del giardino, filtra la luce attraverso la vegetazione, alza e trattiene il movimento dell’aria, mentre ‘Eolo’ gioca come le guglie neo-gotiche dell’architettura con vitalità del vento, distende le sue vele e le sue pale eoliche. ‘Fontana’ conferma attraverso il valore simbolico della circolarità l’esperienza della generosità e dell’offerta. ‘Al Sole’ sostiene attraverso l’andare e il venire, del Giorno e della Notte, dello scorrere senza posa del Tempo oscuro, dichiarando la sua rotondità completa attraverso il volume metallico e sonoro frutto dell’unione tra il Sole e la Luna. ‘Il giorno del porco’ dettaglia nel pigmento rappreso della ruggine di ferro e nell’anatomia delle superfici l’estensione plateale del sacrificio, non solo animale ancora in questi giorni di violenza. “I guardiani della dormiente’ nelle due distinte versioni, quella mobile e quella statica, colgono il vertice espressivo del silenzio, l’emozione e il raccoglimento, la forza dell’affetto testimonianza della conservazione del ricordo, preservazione e trattenimento del messaggio, luogo indelebile del patrimonio familiare. ‘Paranza’ e ‘Pesca miracolosa’ introducono nello spazio energia e vitalità attraverso la forma e il volume, moltiplicano attraverso uno sviluppo lineare la propria estensione nello spazio fino a invaderlo, ad ingombrarlo pienamente; un clima di sconfinamento nella città che assume i caratteri dell’aggressività medioevale nel ‘Guarracino’, mentre l’istallazione di ‘Magica’ è in grado di contrassegnare attraverso la linearità insistita dell’icona ripetuta il movimento del pensiero, forse del sogno e del desiderio.