Giuseppe Gattuso Lo Monte, Raffaele, Giovanni Ragusa
di Andrea B. Del Guercio
1983
La Mostra di Gattuso, Raffaele e Ragusa presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Forte dei Marmi segue a poca distanza di tempo quella ordinata nel recente ottobre dall’Assessorato alla Cultura (nel quadro più ampio del “Made in Florence”) del Comune di Firenze nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, ma rientra anche nel tentativo di avviare con maggiore stabilità e futura programmazione la circolarità nella regione tra aree diverse, di momenti espositivi di particolare significato e sopratutto quando essi sono dettati dalla volontà di indagine e documentazione di fenomeni critico creativi significativi con valore emblematico di intima innovazione e corrispondenza con situazioni nazionali ed internazionali. La Mostra, ulteriormente avvalorata dal recente e significativo precedente, viene quindi a ricollegarsi sotto forma di ulteriore tappa, e quindi come momento di completamento di una indagine condotta nel paesaggio artistico toscano, con le Mostre “Aspetti della figurazione in Toscana” del 1981 e “Nuovi aspetti dell’astrazione in Toscana” del 1982; tale strategia espositiva emblematico collettiva nasce dalla coscienza di responsabilità collettiva propria della gestione di uno spazio pubblico e quindi tesa a favorire, rispetto al paesaggio artistico contemporaneo tanto complesso, la massima articolazione d’informazione e quindi predisporre al lettore il piano della circolazione delle idee e delle esperienze tra operatori diversi; mai come in questi ultimi anni infatti la creatività si è dimostrata un fenomeno collettivo e sempre meno un fenomeno isolato in una personalità; l’interscambio tra i sistemi culturali e di pensiero si è venuto a costituire sotto forma di condizione di costume, nel significato più civile e responsabile del termine.
In più occasioni espositive e sedi editoriali è stata documentata la preveggenza creativa, rispetto al fenomeno attuale della Nuova Pittura, e la sua specifica natura espressiva che la mettono soprattutto in stimolante rapporto e confronto con i principi teorici della transavanguardia “non esiste soltanto l’estrazione alta delle avanguardie storiche, ma anche quella bassa delle culture minori, di un gusto proveniente dalla pratica artigianale e dalle arti minori. (A.B.O. ’83) dimostrata dai tre artisti aggregatisi a Firenze sin dai primissimi anni ’70. È qui necessario ricordare che in quegli anni si verificava il momento di massima diffusione di una pratica artistica dai forti e costitutivi intenti e natura progettuale, ereditata dal Dada e dal Futurismo, e frazionatasi progressivamente su diverse aree tematiche, spesso conflittualmente dislocate rispetto ad esse, dai settori della comunicazione visiva accelerata e quindi dal mondo dell’elettronica ad impegno naturalistico e recupero della natura primaria della condizione umana, Land e Body.
Ora rispetto a questo complesso paesaggio e senza per questo scegliere atteggiamenti di fronda e di riduttivo distanziamento ma caso mai forse penetrandone gli aspetti più profondi, di elaborazione culturale, sia Gattuso che Raffaele e Ragusa hanno scelto, ognuno con un suo precisissimo campo di indagine, l’avventura di una narrazione riferita strettamente alla propria privata emozionalità, nella quale l’immagine riconoscibile trova ragione d’essere nella sua primaria apparizione e valore nel suo stesso esistere. L’anticipazione di una forma espressiva il cui attuale sviluppo è diventato un fenomeno di costume, una condizione collettiva d’espressione, deteneva sin dagli inizi ed oggi sviluppa ed allarga approfondendo il rapporto con i diversi fenomeni artistici accumulatisi tra gli anni ’60 e gli anni ’70, e quindi riconosce l’incidenza di un deposito culturale interiorizzato e privatizzato, per cui i risultati creativi devono essere osservati in condizione di approfondimentocontinuità, recupero senza ripetizione, autonomia senza dipendenza da conseguenze formalistiche riconoscibili.
In questa prospettiva deve essere osservato il recupero dell’immagine come di forme tecnico espressive tradizionali, cioé in condizione libera rispetto alla citazione storica e colta ed a quella recente e presente nel paesaggio industriale quotidiano, per cui il fenomeno creativo rappresentato da Gattuso, Raffaele e Ragusa assume caratteristiche assolutamente autonome, privatizzate. Una qualità che deve essere quindi osservata, superando il primo stadio del fenomeno culturale, specificatamente per singolo operatore, tanto forte è infatti l’individuazione di una autonoma provenienza e costituzione culturale e quindi ancora dei diversi campi tematici prescelti.
Differenze geografiche ed ambientali, il Sud d’Italia con le sue forme culturali colte, letterarie e storiche, per Gattuso, un ambiente familiare artistico mitteleuropeo e d’avanguardia per Raffaele, radici lontane, girovaghe ed internazionalizzate tra oriente e Stati Uniti per Ragusa, sono fatti determinanti per singolo artista ed alla base si pongono della loro autonomia.
La scultura di Gattuso riprende dalle sue radici siciliane con il tema dei villaggi dei pescatori, le barchette come gusci di noce in un mare sul quale lo spirito ironico ed umanamente privo di retorica interviene a limitare furore e violenza, rendendone mansueta la natura anche nei suoi peggiori momenti; un atteggiamento interpretativo della natura riportato anche nei paesaggi dell’interno, agricolo ed emblematizzato da un albero, massimo tre e folti su una superficie arsa, brulla ed argillosa. L’uso di materiali caldi ed antichi, la terracotta, il legno, anche tanto poveri, la pietra ed il bronzo, individuati anche alla luce di quelle lontane esperienze progettuali antropologiche a cui accennavamo ma anche intimamente relazionabili ad uno spirito finemente rivelatore d’emozioni che fu di Arturo Martini, ben rispondono alle esigenze narrative di Giuseppe Gattuso.
II percorso di Raffaele, eclettico ed interdisciplinare sul piano tecnicoespressivo tematico, muove da un vivo rapporto con la natura, intendendo un atteggiamento attivamente partecipe, con forme di studio e di ricerca, e tale da aver favorito una manualità versatile, con soluzioni artigianali ed una pratica di miniaturizzazione pittorica. Dopo una lunga stagione dedicata alla scultura, con predilezione per il legno ed il mondo animale sul piano tematico, Raffaele pone nella pittura, secondo una tecnica che fu già fiamminga, il confluire libero di immagini lontanissime per provenienza geografica e pure estrapolate da livelli di realtà diverse; dislocazione tra’fatti diversi, citazioni, fantasie e sogni, sono quindi alla base delle tavole miniate di Raffaele, popolate fittamente le prime, ridotte ad un racconto più attento le ultime, mentre nell’insieme è vivo uno spirito storicamente attuale, ironico e sensibilissimo.
La personalità di Ragusa ed il lavoro condotto fino ad oggi è dei tre il più enigmatico ed ogni decifrazione conseguita rischia la sua messa in discussione immediata da parte di una nuova scultura o da una tavola dipinta. Il bagaglio linguistico risulta infatti assai più ricco di quello tematico memorizzato con la conseguente predilezione per un eclettismo espressivo nel quale si combinano articolatamente momenti di narrazione introspettiva storicamente riletta ed attimi di accenzione e violenza cromatica. Il passaggio tra queste ultime forme, che sono andate negli ultimi tempi riducendosi per prediligere soluzioni, più ricche di umori e palpitazioni segrete e profonde, testimonia in ogni caso come possibile comune denominatore, a volte anche visivamente riconosciuto, un clima ed ambito culturale medievale, storicamente per sua natura eclettico, contrastato da accenzioni, profondi vuoti e silenzi angosciosissimi. Riaffiorano durezze barbariche, ‘°la casa del vento”, citazioni architettonico gotiche, “Dopo la pioggia”, languori da vago sentore sironiano, “Dimenticato”, ed attimi più intensamente magici, “Linda line”.
La Mostra quindi ha presentato, da un’ottica particolarissima ed autonoma, un fenomeno creativo oggi intensamente diffuso e sviluppato, soprattutto in Italia e con caratteristiche decifrabili nel bagaglio storicoartistico nazionale, che anche in Toscana ha seguito con autonome qualità anche presso le più giovani generazioni.