Stefano Ruta
di Andrea B. Del Guercio
1994
L’ area estetica, al cui interno intendo collocare con questo contributo critico l’attività di Stefano Ruta, sia per ragioni cronologico istituzionali, sia per valori espressivi, è quella che si pone tra la seconda metà degli Anni Cinquanta e gli Anni Sessanta e che oggi si dimostra, per le mirate voci che vi possiamo riconoscere, un’area di significativo interesse. Mi riferisco a quella complessa e combattuta fase del dopoguerra in cui la pittura e, quindi, anche la scultura con caratteristiche diverse, muovono verso il completo rinnovamento della loro natura, sia nei dati di riferimento con la realtà figurata, ma anche con attenzione ad interne ed autosignificanti caratterizzazioni. Andrebbero riosservate le varie fasi di passaggio da un patrimonio figurativo a nuove invenzioni informali, ora nella componente neo naturalistica e quindi lirica, ora in un’area astratta segnata da durezze: ancora fasi di passaggio verso la scoperta e l’evidenziazione di spazi espressivi nel confronto interno alle grammatiche visive, grazie alla presenza di un patrimonio ampio di dati di supporto inediti per il mondo italiano dell’arte. Una stagione che ha vissuto la revisione delle avanguardie storiche, in particolar modo del cubismo e del costruttivismo, che ha recepito la carica problematica dibattuta tra il ready made e I’objet trouvé. Particolare attenzione va rivolta a quelle soluzioni linguistiche fondate e quindi costituitesi sull’acquisizione diretta di materiali di supporto, di strumenti, tecniche e processi di produzione; si tratta di un periodo breve, ma essenziale per gli sviluppi di una cultura visiva fondata, negli Anni Sessanta Settanta, sulla carica comunicativa dei materiali reattivi ad autonome ed intense sensibilità. In tempi rapidi assistiamo, ed in crescendo, alla moltiplicazione sperimentale dei dati d’impiego in un caleidoscopio di prove e di valori che costituiscono oggi un patrimonio depositato nella cultura estetica contemporanea. Con questa premessa intendo indirizzare la mia lettura su una porzione specifica nella più vasta produzione di Stefano Ruta; si tratta, cioè, di individuare, tra i diversi cicli espressivi, tra le aree di interesse l’attività rivolta dall’artista ad una prassi qualificata da supporti plastici quali il ferro, e l’alluminio. Questa mia scelta specializzata non esclude l’apprezzamento per la ricca e qualificata attività pittorica, caratterizzata da una astrattizzazione informale, vivace cromaticamente e sempre condotta con grande e preziosa sensibilità; una pittura che vede l’impiego del collage, organizzata per estese superfici modulari monocromatiche.
Composizione ferro assemblage
II ferro predomina e determina questo ciclo di opere, severo nella sua monocromia, solo a tratti vivacizzato da piccole accensioni di colore. Si tratta di oggetti forti, di semplici ma duri sistemi meccanici ordinati da regole funzionali che, sul piano artistico visivo risultano, ora nel movimento ritagliato di porzioni di superficie, ora nello sprofondamento e nell’abbassamento delle quote. Lo stesso Ruta parla di “antiche serrature”, racchiuse in una rinserrata struttura in forme di concentrato ordine costruttivo in cui il gioco di articolazioni, affidato all’alternarsi di aggetti e rientranze, si modella in una scarna luce che ne rivela i profili taglienti. Si tratta di una scultura che rinuncia ai volumi, per articolarsi tra brevi pareti metalliche e segnici meccanismi in un drammatico alternarsi di forti accenti chiaroscurali. Non rapide convergenze o divergenze di linee, ma combinazioni di geometrie che esigono un’attenta fruizione, invitando il lettore a penetrare, a disvelare segreti habitat. Stefano Ruta con un ciclo così fortemente caratterizzato sul piano formale, anche in opere di limitate dimensioni, da cui risultano in accentuamento il progetto e la volontà espressiva che le ha determinate, va a collocarsi a pieno diritto in quel percorso dell’arte contemporanea che ha rinnovato profondamente la natura della scultura, ha suggerito nuove strade sicuramente più vicine al paesaggio dell’uomo, paesaggio di oggi, ma anche radicato nella memoria collettiva.
Composizione alluminio satinato
Un ciclo autonomo perseguito lungo tutti gli Anni Ottanta ed in particolare sintonia con l’esperienza pittorica astratto-informale strutturata su scandite superfici autonome cromaticamente; un ciclo che sul piano dei riferimenti storico artistici trova origine nella migliore eredità che fu delle avanguardie storiche, in particolar modo nelle ricerche costruttiviste, nell’indagine di Picasso con le “piccole chitarre” del 1912 13. Un complesso di esperienze centrale per la storia di una nuova scultura, che Ruta, in questo ciclo, indaga, sperimenta e quindi imposta con estremo rigore. La pittura, le sue superfici distese vengono sostituite dalle pareti monocrome dell’alluminio, ritagliate da geometrie informali e quindi orchestrate tra una diversificazione di livelli; rilievi che compongono un diversificato processo narrativo che in alcuni casi si esprime in una minimalizzazione e quindi in una riduzione delle componenti strutturali ed in altri vede il moltiplicarsi vivace, per sovrapposizione, per interferenza di dati linguistici di uguale natura formale. In entrambe le soluzioni, per pareti sagomate da angolature tagliate e per piani mossi da sinuosità e morbidezze, interviene a tratti, con valore di sottolineatura, di accentuazione visiva, il rosso, mentre è una calcolata distribuzione della luce ad animare tra superfici accese, angoli bui, e più morbidi grigi, l’intero piano dell’opera. Stefano Ruta ci propone quindi due cicli, due aree d’indagine comuni sul piano di una plasticità della superficie, ma autonome nel processo e nel risultato narrativo; l’intensità del microcosmo, della macchineria espressionistica come paesaggio segreto dell’anima di un uomo per “Composizione ferro assemblage”, l’impenetrabile poeticità di più piani scanditi, il racconto che si sviluppa tra superfici mosse in morbida sequenza.