Due secoli di incisione – La riapertura dopo il 1925

incisione

di Andrea B. Del Guercio

1996

GIUSEPPE GUIDI
La riapertura dopo il 1925

L’incarico di docente di Incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Brera viene affidato nel 1926 e con­fermato con la nomina di ruolo nel 1929 a Giuseppe Guidi.
È difficile conoscere le ragioni che portarono alla scelta di un artista giunto a un buon livello di ricono­scibilità nell’ambiente milanese at­traverso un percorso forse inedito e segnato da passaggi espressivi ed esperienze culturali diverse; possiamo ritenere comunque che il Guidi si fosse imposto all’attenzione dell’Ac­cademia e all’interno della vita arti­stica cittadina attraverso un sostan­ziale apprezzamento per la scelta ri­gorosa effettuata nei primi anni Ven­ti, per i valori espressivi specifici dell’incisione e quindi per l’ap­profondimento e la conoscenza di quelle tecniche.
Colpisce la presenza nel curricu­lum di Guidi, ricostruita da Valerio Donati nella monografia edita dal comune di Castelbolognese, di un’intensa storia politica giovanile, tra l’adesione ai movimenti anar­chici e la vita errabonda di pittore autodidatta, prima a Budapest e poi a Vienna tra il 1904 e il 1905, dove espone al Salon dei Secessionisti, e nell’area mitteleuropea scossa da quei conflitti dei quali sono testi­moni le tendenze espressionistiche; un percorso formativo proseguito significativamente con il soggiorno a Parigi tra il 1905 e il 1907, dove partecipa al Salon degli Indipendenti, e ancora indicativo di una tradizionale fase di ricerca tra scuo­la di vita e attività artistica, che s’in­dirizza nell’esperienza di disegna­tore e illustratore per l’informazio­ne e l’editoria.
Un percorso quello di Giuseppe Guidi simile a quello di tanti artisti “minori” giunti, tra varie traversie, a vivere rari momenti di affermazio­ne; nel 1916 e nel 1917 partecipa al­la Esposizione Permanente e nel ’23 giunge a una meritata esposizione personale di cinquanta incisioni alla Galleria La Vinciana di Milano (tra queste il foglio Il trasporto di San Francesco che in questa sede docu­mentiamo).
Accanto alla particolare attenzio­ne rivolta all’attività grafica, si deve ricordare di Giuseppe Guidi l’ulte­riore specializzazione espressiva nell’arte degli smalti; questa espe­rienza dal sapore antico e raro, te­stimonianza di valori dedicati al sa­cro e al gusto di una certa prezio­sità, gli offre riconoscimenti ulte­riori e una collocazione in quell’area vasta di un tardo simbolismo deca­dente, presente in un ritorno di in­teresse per le arti decorative.
Nel 1924 presenta alla Galleria Pesaro di Milano sessantaquattro smalti tra cui spiccano le quattordi­ci stazioni della Via Crucis com­missionata da Gabriele d’Annunzio per la chiesetta del Vittoriale, dove tuttora si trova; nel ’25 è invitato all’Esposizione Internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi e infine nel 1930 alla XVII Biennale Internazionale di Venezia nella Mostra dell’Orafo.
L’anno successivo, il 7 novembre del 1931, Giuseppe Guidi si spegne­va improvvisamente.
Queste brevi informazioni, volte a ricostruire la figura artistica di Giu­seppe Guidi, presentano con valore emblematico i fattori determinanti e costitutivi del sistema culturale e dei valori estetici nazionali nei decenni posti tragicamente tra le due guerre, e in relazione a essi ci permettono di decifrare, anche nel grigiore e nelle ambiguità, la storia dell’Accademia di Brera e del suo tessuto culturale.
Di fronte a questa storia e al gri­giore diffuso di quella stagione, si tratta di trovare un equilibrio al giu­dizio critico e una valutazione spe­cifica, fondata sulla coscienza pro­blematica della contemporaneità e quindi non ripiegata su un filologi­smo di maniera, ma che sia anche te­stimonianza del gusto e del costume, quale espressione di una cultura po­sta all’interno delle ambiguità di una fase storica difficile e di passaggio, tra spinte innovative determinanti per il futuro e un vasto e complesso siste­ma di forze arretrate, spesso insab­biate su valori culturali, problemati­ci e formali, svuotati dell’originale carica e tensione e appiattiti su for­mule di maniera.
Quanto abbiamo già indicato per ricostruire la figura di Giuseppe Gui­di, in stretto rapporto con il clima storico culturale in cui operò, può essere utilmente verificato ed em­blematicamente compreso attraverso la lettura dell’opera Il trasporto di San Francesco, trovando tuttavia an­che in essa valori di sensibilità au­tentica e sincera.
Il foglio, proveniente dalla Fonda­zione Morcelli Repossi a Chiari, e fa­cente parte di quella raccolta di cin­quanta incisioni esposte nel 1923, prima alla Galleria La Vinciana di Mi­lano e successivamente alla Bottega d’Arte di Livorno, presenta un rac­conto caratterizzato dall’espressione estrema, scarna anche nel dolore, di quella semplicità e povertà che fu la regola di Francesco d’Assisi.
Il rigore compositivo risulta fatto­re poetico qualificante e messaggio dell’opera di Guidi; il taglio della scena segnala l’asciuttezza compo­sitiva di una moderna fotografia e in particolar modo l’aver colto il pro­cedere mesto dei frati all’interno del­la fascia centrale del foglio; così al­le tre luci in basso risponde la lumi­nosità velata del cielo per irradia­zione di santità del Santo mentre al centro, scanditi come quinte severe e colonne portanti, si collocano, sot­to il peso della storia, i valori di oscurità della morte.
Guidi muove anche sul piano cro­matico alla ricerca dell’unità espres­siva e quindi, all’interno dello scan­dire dei neri, distribuisce la più am­pia articolazione dei grigi; una rete segnica che tutto avvolge e tesse co­me nebbia, un grigiore che smussa le tensioni estreme del dolore per qua­lificare la morte quale ineluttabile te­stimonianza della condizione umana.

LUCIANO GATTI
Nel Terreno della poesia e dello scontro

Se si osserva il lavoro pittorico e gra­fico, dal bulino all’acquaforte alla ce­ra molle all’acquatinta, di Luciano Gat­ti si dovranno riconoscere i diversi fat­tori linguistico visivi e le componenti tematiche proprie di uno sprofondare espressivo verso il concepimento di una materia aformale in cui il pensie­ro e l’emozione sembrano liricamente diluirsi e perdersi, ma sotto la cui su­perficie, mimetizzata nel suo spessore intensamente tessuto, in realtà si agi­tano umori e tensioni forti.
La redazione nelle opere pittoriche appare portata da Gatti attraverso una stesura subito intensa e ricca, per sovrapposizioni di colore e una fitta rete di segni; le ampie stesure monocrome dei neri, dei verdi e dei bianchi, quali aree organiche di con­fronto simbolico, sono il risultato di una sovrapposizione policroma in cui interagiscono, per infinite sfu­mature e per improvvisa accensione, i gialli e i rossi, i marroni e i viola.
Il colore appare, in questo partico­lare processo espressivo, non solo ste­sura lirica ma fattore segnico, cioè con valore d’individuazione e sottolineatura delle diverse realtà interagenti nella superficie cromatica; un colore segno quale contributo a una redazione at­traversata da una conflittualità mime­tizzata ma presente sul piano psicolo­gico; un colore forma animato attra­verso valori anche astratti e simbolici di una pittura che è testimonianza di un processo espressivo complesso al suo interno e nella profondità di se­grete ragioni e inaccessibili verità.
Se la narrazione cromatica risulta qualificata da ampie emozioni liri­che, le brevi e intense accensioni e soprattutto l’apparato segnico sono ri­velatori di fattori di forza e simboli di incisività tematica; tensione e dram­ma affiorano per configurarsi, con sempre più lucida incisività, sul pia­no di una riconoscibilità figurativa ma più significativamente attraverso gli umori drammatici che l’avvolgono.
Alla luce di questi dati, ritengo la vo­lontà espressiva di Luciano Gatti fon­data su un sistema di relazioni posto tra due livelli di narrazione e quindi di percezione; la comunicazione pittori­ca tenta di interagire tra una compo­nente lirica, risultato comunque di una fitta manipolazione linguistica, e una condizione di giudizio e di partecipazione, non urlata ma dolorosamente intensa, al reale e alle sue durezze.
Questo clima espressivo, testimone della sofferenza dell’uomo e del pia­cere dell’artista, ma potremmo opera­re anche un interscambio dei dati tra l’artista con la sua solitudine e l’uomo con le sue passioni e i suoi amori, qualifica la condizione di ricerca pit­torica e di elaborazione attenta delle tecniche d’incisione.
Dallo scorrere dei numerosi fogli realizzati in questi ultimi anni, con so­luzioni tecniche diverse e in sovrap­posizione tra loro, quanto si è osser­vato per la pittura risulta confermato e avvalorato; una condizione costante di liquidità e di groviglio, di lirica libertà e di interiore tensione appaiono come dati diversi di confronto interattivo all’interno di un tessuto narrativo por­tato per segni e per morsure.
1 titoli ai fogli La fabbrica immobi­le del `96, Punto di osservazione e In­gresso al giardino segreto rivelano una condizione psicologica e uno stato interiore in bilico tra stabilità e dise­quilibrio, certezza e dubbio; l’uso del colore, il nero, il verde con l’ocra, in una delicata terra di siena, i microse­gni della vitalità policroma, il rosso mattone e un verde acqua, in frantu­mata accensione, vengono a suggeri­re un racconto che tende a perdere ogni confine e ogni soggetto certo: un terreno per la poesia e per lo scontro.

ANGELA OCCHIPINTI
Tra disvelati segreti e rivelati enigmi

Complesso è penetrare all’interno dei tanti volti colorati, delle soluzioni formali e delle aree temati che che Angela Occhipinti ha elaborato attraverso le diverse tecniche grafiche: dall’incisione alla xilografia, dall’acquatinta alla litografia lungo trent’anni di ricerca e sperimentazione animata da partecipazioni entusiastica e lucida progettualità espressiva.
Anche di fronte al troppo breve spazio di questa pagina è utile ricordare che gli inizi artistici dell Occhipinti furono caratterizzati dallo straordinario supporto tecnico dalla grande passione creativa per le arti grafiche comunicatele direttamente da Pietro Parigi nella Firenze degli anni Sessanta; ritengo che il grande Maestro della xilografia, testimone di una tecnica che richiede e propone un vigore espressivo diretto, abbia introdotto quei caratteri di volontà creativa sui quali la Occhipinti ha poi potuto costruire i suoi diversi sistemi linguistici e un’entusiastica poli­cromia.
La cartella Per te, composta da cinque xilografie, edita nel 1972, è già relatrice di un’esemplare co­noscenza tecnica e soprattutto di un’autonomia espressiva elabora­ta attraverso un’avvolgente flui­dità formale del segno, con ac­cumulo organico di valori icono­grafico simbolici, e quindi indi­cativa di una libertà compositiva per più immagini nello spazio del foglio, e ancora imponendo a queste ultime improvvise acce­zioni segnico cromatiche: dal ros­so vivo della freccia, alla solarità del giallo carico, alla luminosità avvolgente dell’azzurro.
Rispetto a quella prima stagione gli sviluppi linguistici della Occhi­pinti sono caratterizzati da un com­plesso di esperienze e processi dif­ferenziati a carattere astratto, dove s’intendono scelte creative di strutture geometriche e apparati segnico­grafici, ma dove anche si riconosce la tendenza verso l’articolarsi di su­perfici ampie e di piani costante­mente animati, fittamente tessuti e a tratti palpitanti di energie.
La scelta accurata di colori caldi, spesso impastati e ricchi di sfumatu­re e contaminazioni, si traduce spes­so in una condizione di tangibilità di una materia attiva e di una superficie con valore epidermico.
Dalla progettazione alla redazio­ne dell’opera Angela Occhipinti ap­pare quindi impegnata, nella pit­tura come nelle ricerche plastiche e grafiche, in un processo di speri­mentazione sulle tecniche e sui ma­teriali di supporto che ha valore di autoaffermazione dell’esperienza creativa.
L’attività grafica diventa, lungo gli anni Ottanta, non solo libertà speri­mentale ma raggiunge un clima a tratti magico e tanto intrigante da apparire l’indagine di un alchimista disvelatore di segreti e al contempo relatore di enigmi.
In questo clima si inserisce il ciclo dedicato agli Stendardi dei primi anni Ottanta, e quindi agli Aquiloni tra il 1985 e il 1988; lungo l’affasci­nante delicatezza tattile delle carte birmane e nepalesi le calcografie del­la Occhipinti, proiettate in estensio­ne fino ai due metri, arrivano a per­dere quella condizione di staticità della superficie incisa e assumere i valori della tridimensionalità di un corpo estetico.
Se gli Stendardi, attraverso il ricordo medioevale, si proponeva no come atto di grande libertà; espressiva e di autonomia rispetto alla tradizione occidentale e quindi con valore di acquisizione d nuove funzioni estetiche per la calcografia, i grandi Aquiloni affermano il conseguimento di uno stato di fluidità policroma: il racconto si dipana per microsegni e simboli, tracce e incisioni, lettere e numeri di un nuovo vocabolario per essere tutto avvolto tra le morbidezze e le accensioni, le liquidità c i grumi del colore.
Ogni nuovo lavoro grafico, dalle piccole alle grandi dimensioni de foglio, assume per Angela Occhipinti il carattere di luogo privilegiato per la verifica delle diverse ipotesi tematiche e di quei nuovi progetti espressivi; nascono lungo quest’ultimo anno un sempre pii ampio e costante lavoro di confronto e di relazione fino al conseguimento di un’unità espressiva tra i diversi linguaggi e le grammatiche visive; così la pittura e l’attività grafica tendono al rigore compositivo attraverso una sempre più spiccata tridimensionalità della superficie dovuta anche alla presenza qualificante di materiali dai forti valore comunicativi, quali il rame, la cera il legno, l’oro.

LAURA PANNO
Il Tempo della memoria oggettiva e dello sfumare del ricordo

La realizzazione di una raccolta di acqueforti nell’unità organica e di qualità di un volume (Indizi, edito da Giorgio Upiglio) testimonia in termini precisi le qualificate carat­teristiche insite nel rapporto tra Lau­ra Panno, il suo mondo espressivo, e le tecniche d’incisione, testimoni nella redazione di valori comuni­cativi specifici.
Ritengo che questo volume ven­ga a raccogliere, per poi esaltare in termini di autonomia linguistica, un lungo lavoro condotto dall’arti­sta ancora intorno al persistere e sin dall’inizio dell’affermazione di coscienza di quel complesso di va­lori racchiusi nell’unità del corpo umano.
L’indagine visiva sul nudo è sta­ta in questi anni affrontata dalla Panno non come mera descrizione iconografica, ma con il dichiarato intento di portare avanti e affonda­re il progetto creativo all’interno di emozioni e pensieri che, estrapola­ti dalla contingenza del tempo e dall’occasionalità del quotidiano, siano testimoni del presente.
Un procedere, quello di Laura Panno, che in questi ultimi anni si è caratterizzato anche attraverso una tridimensionalizzazione delle forme, ma che in realtà aspirava a porsi, alleggerito dalla pesantezza della materia, all’interno di quel territorio in cui centrale risultava il vigore dell’emozione e la forma del pensiero.
Rispetto all’impiego nel passato di superfici a maglia metallica di una prima fase, che apparivano già te­stimoni di una sensualità tattile de­licata ma anche con significato di negazione del volume come im­percezione del segreto della mate­ria, oggi la continuità del percorso espressivo, l’approfondimento e l’in­dividuazione di nuovi valori ed emozioni avviene attraverso solu­zioni di superficie in cui interagisce la pittura, l’incisività del segno e la sottolineatura, introdotta per fram­menti, del collage.
Nel volume di acqueforti, e con ulteriore sottolineatura nell’ultima ed espressiva grande puntasecca, si avverte il passaggio lento, a trat­ti dichiarato con maggiore preci­sione, a tratti per piani sfuggenti e per sovrapposizione e legame tra più immagini, di una contestualiz­zazione del nudo maschile, dove di esso non si afferma l’attributo sessuale ma la dichiarazione di for­za e di eleganza della testa, delle braccia e del torace, del bacino stretto sulle gambe e i piedi.
La ricerca dello spazio, del dia­logo e del confronto con una realtà che circonda e avvolge, ritengo sottolinei positivamente la storia di questa indagine di Laura Panno; l’immagine perde sempre più chia­ramente l’emozione del piacere na­scosto per affermare con vigore la tensione e l’energia, anche del pia­cere stesso, ma trasportato in un contesto più complesso di rimandi, dove coesiste il tempo della me­moria oggettiva e dello sfumare del ricordo.
L’aver raccolto in un’edizione i risultati linguistici e gli umori con­seguiti lungo un percorso espressi­vo costruito su una materia sfug­gente è fattore emblematico del rag­giungimento di risultati importanti, e per i quali Laura Panno indivi­dua lo spazio preservato del volume raro, sceglie dei fondi monocromi in grado di assorbire il grigio e il ros­so, le tensioni del segno.
Il grigio e il rosso ci ricordano la porosità calda della pietra serena e quella del cotto, di superfici sulle quali la traccia portata dall’artefice sembra fare parte come per antica memoria.
Una volontà espressiva che sce­glie il silenzio del soggetto e l’atte­sa della nostra emozione.

FAUSTA SQUATRITI
Il disagio e la consapevolezza

1 diversi risultati espressivi condot­ti da Fausta Squatriti nell’attività gra­fica e serigrafica negli anni Settan­ta sono caratterizzati da una condi­zione di lucido rigore nell’ambito della ricerca plastica. Dall’osserva­zione della documentazione foto­grafica e dal confronto diretto con le opere ancora conservate in studio è possibile cogliere a pieno lo sforzo espressivo di un’artista tesa ad at­traversare e percepire il tessuto complesso dell’esistere.
Ogni struttura in ferro, nel valore se­gnico degli elementi, lungo la linearità di una nuova e vitale geometria, rac­coglie ed emblematizza la ricerca at­tenta di un istmo tra le grandi realtà del pensiero e dell’emozione. Umbro Apollonio osservava già in quegli an­ni i risultati importanti di un procede­re in grado di «<garantire una più stret­ta unità al complesso, che si articola quale organismo intrecciato in tutte le sue componenti, disposte per l’ap­punto a rispondersi vicendevolmente».
In un rapporto di continuità e svi­luppo con l’esperienza plastica le ri­cerche in campo serigrafico seguono con valore autonomo, ma anche indicativo di un percorso basato sul­la progettualità gli sviluppi espres­sivi conseguenti a un sistema anali­tico rigoroso, ma sempre qualificato anche nelle tappe di più chiara in­dagine linguistico formale e croma­tico spaziale da una condizione di partecipazione emozionale diretta al­le sollecitazioni del reale.
La Squatriti poneva già in evidenza e ha quindi confermato lungo l’intero sviluppo espressivo emozioni e valo­ri di partecipazione caratterizzati dal­la presenza intensa del colore, dove il rosso, l’azzurro, il giallo, il verde so­no il frutto di un lavoro diretto di se­lezione e redazione delle carte, e quindi da un elaborato fotografico tratto dal reale, attraverso la cui auto­noma problematicità simbolica l’artista costruisce i diversi cicli tematici.
I segni del conflitto del 1990, 1 ferri del mestiere del ’93, il Nel Regno animale e Nel Regno Vegetale del ’94, rappresentano momenti signifi­cativi di una volontà espressiva ri­spondente a un clima di «disagio e consapevolezza», come lo definisce la stessa Squatriti; un clima culturale e una sensibilità interiore sempre più partecipe che, attraverso il rigore de­gli strumenti visivi utilizzati, trovano l’unità inscindibile dell’opera e queivalori forti racchiusi nei titoli.
Intervengono con incisività la foto­grafia, l’acquerello, la serigrafia, la ce­ra, la grafica e di volta in volta la pre­senza tangibile del marmo, del grani­to o del ferro, a volte per acceso con­trasto a volte per linearità di dialogo, e in ogni caso con quell’estrema essen­zialità di valori e per riduzione di so­vrastrutture cromatiche e formali, che esaltano la profondità problematica.
Lo spazio, quell’area di interazione progeuuale tra i soggetti, appare la conquista espressiva di maggior si­gnificato nel processo tentato dalla Squatriti; ritengo cioè qualificante per l’incisività dell’opera la coscienza con­cettuale della “superficie di lavoro” e quindi la frequentazione in essa del frammento tratto dal reale e dell’ela­borato decorativo estratto dall’emo­zione, l’attenzione all’incidenza estre­ma dei rapporti di contrasto tra il bianco nero e il colore, la ricerca del­le relazioni enigmatiche con il ma­nufatto tridimenzionale, il cubo o la croce greca, esterno alla superficie.
Questi diversi dati e il clima culturale che concorrono alla redazione di una lunga serie di lavori sempre caratteriz­zati da rigore, ma anche da grandi passioni, sono riscontrabili pure in una mirata produzione di opere sengrafiche e comunque di stampa, quale lo stes­so procedimento fotografico.
Gli spazi stretti di intervento del­la serigrafia rispetto a soluzioni polimateriche di redazione e l’asciuttezza dei suoi sistemi di co­municazione, in realtà, esaltano la qualità di incidenza della volontà espressiva della Squatriti.
Sono particolarmente evidenti questi caratteri nelle serigrafie rac­colte nel ciclo I segni del conflitto; a ogni confine, agli infiniti segni di delimitazione tracciati dall’uomo, ai passaggi come agli sbarramenti, alle frontiere e agli ostacoli e quindi all’innaturalezza imposta dall’uomo all’uomo e alle sue stesse libertà, Fausta Squatriti reagisce e risponde trascrivendo con incisività il segno­colore di una scrittura ,percepibile alla sensibilità.
L’opera grafica di Fausta Squatriti appare così fondata sulla dualità dia­logante e conflittuale tra la condi­zione di tensione percepita con for­za e sottolineata con rigore.