III Biennale Nazionale di Scultura – Comune di Stia

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di Andrea B. Del Guercio

Edizione Palagio Fiorentino, 1986

Ho rivolto ai problemi della scultura contemporanea gran parte dei miei interessi critici e quindi sia sul piano della riflessione teorica che su quello espositivo.
Riosservando la storia artistica di questo secondo dopo-guerra è facile rivelare la prolungata assenza dagli spazi esterni, la piazza il quartiere, dell’opera d’arte come rappresentanza di una «stagione» o di un «fatto» nei confronti di una futura archeologia.
Il mancato storico rapporto tra scultura e paesaggio urbano lasciato spoglio e privo di qualsiasi segno creativo, mi appare quindi un dato allarmante; se ciò poi viene messo in relazione con quanto avviene su questo rapporto in altri paesi europei ed americani il risultato conferma la grave arretratezza civile del nostro paese rispetto ad epoche storiche.
Tornare a volgere attenzione critica a questa complessa materia, ai suoi specifici linguaggi, alle sue complesse inter-relazioni con livelli e componenti diverse della società nuovi risoluzioni tecniche, mi apparve sin dall’inizio della mia carriera un dato di grande importanza culturale e di responsabilità civile. Avviai quindi un lavoro di recupero delle diverse componenti che si pongono alla base della redazione scultorea, e prima di tutto andando a ricercare le diverse soluzioni tecniche ed i segreti che hanno avuto tanta importanza nel passato, per il completo successo di un progetto creativo; parallelamente con la verifica di leggi e grammatiche espressive ormai nella più gran parte perdute presso le nuove generazioni, che pure di recente tornano a confrontarsi con la scultura, operai la verifica delle ultime ricerche contemporanee su quelle grandi problematiche che sono alla base della storia antica della scultura.
Questo filologico impegno mi portò a segnalare in varie occasioni editoriali la particolare importanza del rapporto esistente tra l’opera, la sua promozione culturale e quindi i problemi di collocazione e di utilizzazione.
In particolar modo promossi l’attenzione verso problemi e dati di rapporto strutturale e quindi di architettonici ed urbanistici, e quindi sotto il titolo «scultura ed arredo urbano» raccolsi le ricerche di coloro che riconoscono alla scultura responsabilità di ampio valore collettivo.
Il tema della scultura con chiare interferenze d’uso comportò la rilevazione di un complesso articolato di contributi culturali e scientifici; ogni opera, e soprattutto tutta l’articolazione degli studi preparatori, delle relazioni indicano la presenza di scienze come la psicologia e la sociologia, la matematica e l’ingegneria.
L’attenzione verso questo complesso nodo culturale è il risultato da parte della critica d’arte, assai scarsa e personalità fondamentali nella storia della scultura moderna e contemporane sono scarsamente conosciute nel nostro paese; l’amministrazione pubblica nei suoi specifici settori ha dimostrato disinteresse anche verso questo ambito di ricerca, rendendosi conseguentemente responsabile della perdita di un patrimonio di idee e di progetti sicuramente utili alla collettività.
Mi sembra interessante segnalare in questa sede l’opinione emblematica di alcuni scultori italiani augurandomi, che su questo tema si allarghi la discussione e il dibattito.
Arnoldo Pomodoro «…nella mia scultura c’è sempre stata una possibilità e impossibile architettura, e una evoluzione verso la grande dimensione ed anche verso un vivere dentro l’opera… voglio dire che il lavoro di integrazione fra architetto e scultore è una cosa interessante e contiene sempre uno stimolo reciproco al quale io mi sento disposto».
Pietro Consagra «…con il Meeting di Gibellina mi confermo scultore interessato a partecipare direttamente ai problemi dell’architettura entrando dalla parte giusta, accertando che oggi solo dai processi vissuti nell’arte si può arrivare alla architettura e non dal desing, né dalla visitazione di schemi e logiche del passato».
Nicola Carrino «…è necessario superare la progettazione aprioristica dell’oggetto o dell’azione plastica, per giungere ad una proggetazione-produzione, dell’assetto territoriale e della configurazione urbana, alla base, sin dall’inizio del suo formarsi e costituirsi».
L’impegno a lungo svolto si è però scontrato con un dato che non è possibile alla luce di tali riflessioni scavalacare o far finta di dimenticare; mi riferisco ad un dato che va posto a monte di uno specifico impegno per visualizzazione e studio della storia dell’arte; la costante inadempienza dell’amministrazione pubblica per la predisposizione di strutture scientificamente indicate. Questo è il motivo della completa revisione dei miei programmi espositivi inerenti la scultura.
Rifiuto quindi di sopperire a tale inadempienza ed inesistenza in quanto i temi e le leggi della scultura mi si sono svelati di una tale specificazione da non poter più essere manipolati nella precarietà e nella confusione.
Sono numerose le iniziative, spesso volenterose di superamento di dette difficoltà, ma di valori e le mancate selezioni; tutto quindi risulta permesso e soprattutto dell’opera si presenta l’aspetto puramente formale, la meraviglia tecnica, e mai il processo di redazione teorica che ne giustifichi l’atto su basi corrette.
Questi problemi sono fondamentali soprattutto perché per comprenderne il reale significato e messaggio è necessario offrire al pubblico la filologica revisione dei passi progettuali; ciò valga per un’opera figurativa, con la visualizzazione di dati letterari e filosofici, che astratta con le sue componenti analitiche e funzioni d’uso.
Questa mia posizione mi ha portato a rivolgere un’attenzione soprattutto teorica ai problemi della scultura contemporanea, in attesa che prendano forma strutture museali scientificamente predisposte e cresca la maturità politica che renda possibile la presenza nell’architettura e nell’urbanistica delle ricerche tridimensionali condotte sino ad oggi.
Ho accettato di collaborare a questa iniziativa espositiva promossa dal comune di Stia perché oltre a permettermi di esprimere in questa sede editoriale la mia valutazione della situazione, ha anche accettato il suggerimento di inserire una piccola sezione sperimentale dal chiaro valore emblematico, oltre che per le singole qualità degli interventi realizzati.
Corrispondente a quanto sopra dichiarato, si è trattato di individuare alcuni spazi architettonici all’interno dei quali l’artista, venisse a trovarsi nella condizione di uan completa reinvenzione degli stessi.
Non si è trattato cioè di una presentazione al pubblico dell’opera singola e delle sue specifiche caratteristiche ma di introdurre una collocazione che fosse significato di nuove ipotesi di lettura; a tal fine mi sono basato su tre artisti nei quali per singole esperienze o per più complessivo deposito culturale risultassero inclusi elementi di progettualità.
Alessandra Bonoli, Franco Ionda e Fried Rosenstock non presentano quindi una scultura ma un’ambiente, quindi un’opera dal più ampio significato tridimensionale e molto minori interferenze causali esterne.
Alessandra Bonoli, progetta un’ambiente all’interno del quale vivono e dialogano strutture antiche per valore rappresentano dalla terracotta ma soprattutto per quelle segrete sonorità che sono conservate all’interno. L’artista costruisce una scorza intorno al suo segreto fatto in questo caso no solo di terra ma adesso anche di un habitat.
Il visitatore si arresta sulla soglia rispettoso di questa struttura chiusa e che appena si dischiude verso sensibilità rare ed autenticamente disponibili alla ricezione: «…uno spazio interno da origliare, spiare immaginare che lascia lo spettatore nel dubbio, a metà strada tra l’aver visto e l’aver creduto di vedere…il fango spesso rato che ricopre e rimodella gli strati più nascosti, costituisce la pelle interna del lavoro, sviluppando un percorso sotterraneo fatto d’ombre, ombre collettive, pensieri».

Franco Ionda, della ‘scultura dipinta’

La tridimensionalità ha significato per Ionda una costante di impegnativa verifica delle sue acquisizioni culturali e tecnico espressive. Si tratta cioè di diversificare la riceca e porre ostacoli alla comunicazione e promuovere intime reazioni e conflittuali suggestioni. La pittura è impegnata su superfici diverse, dove prevedere le zone d’ombra e i punti di appoggio e ciò è occasione della sua naturale esaltazione. Ciò è quanto avviene anche in questa occasione con la istituzione di uno spazio adatto al dialogo tra elementi tridimensionali e ricchi di una palpitante superficie pittorica.
Il dialogo è in questo caso enigmatico ma subito vivace e apertamente scandio dalla verticalità delle componenti: «…l’autenticità della finzione. Essere nel mondo della simulazione con lo scopo di ritagliare uno spazio di reale autonomia. Consapevole del deperimento delle cose, della metamorfosi della materia, l’artista in teatro è sul palco. Consapevole di essere anch’egli un’illusione creata dal teatro stesso…La finzione poetica è secondo me l’unica condizione vitale ed in movimento costante attraverso l’opera scritta e stratificata».
Fried Rosenstock, provenendo da una lunga e qualificata attività di performer, vive oggi la tridimensionalità in condizione di una enigmaticità segreta e racchiusa in piccolissimi oggetti. L’oro è occasione di segnalazioni antiche ma il singolo oggetto e le loro combinazioni hanno ancora oggi una voce incisivamente contemporanea.circa quaranta piccole sculture dialogano ed inviano segnali lungo una via infinita: «…durante un noioso viaggio in treno potrei sempre chiedere al mio vicino (estranendo un legno dorato dalla tasca) scusi le interessa un documento?
La nausea del grande formato. La consapevolezza che la piccola forma può contenere in se una monumentalità immaginaria infinita…Come il lavoro dell’alchimista che alla fine scoprirà la pietra dentro le sue ossa, già trasformata trasformandosi egli stesso».

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