KRIPTODIE
di Andrea B. Del Guercio
1984
Il primo dato che mi sembra importante rilevare è quello relativo alla promozione culturale dell’iniziativa espositiva ‘Kriptodie’ proveniente direttamente da due artisti e condotta con la volontà di corrispondere con scelte emblematiche all’articolazione ricca della creatività contemporanea.
Da tempo e sempre più nitidamente osservo presso le nuove generazioni una presenza culturale qualificata riconciliabile, nell’evoluzione costruttiva del costume collettivo e con doti di auto responsabilità, a forme di confronto e di dibattito in situazioni intergenerazionali ed unitarie tra le diverse componenti del sistema delle arti visive. L’esigenza quindi di tornare a trovare gli artisti attivamente presenti nelle commissioni per grandi e piccole esposizioni corrisponde per quanto mi riguarda ancora ad una valutazione dell’artista quale figura d’intellettuale con stimolanti e preveggenti doti di elaborazione teorica e di proposta estetica ed il cui isolamento ha significato il progressivo impoverimento delle ragioni profonde della creatività ed aperto la strada a settarismi critici scarsamente giustificabili di fronte alla ricchezza espressiva del momento. Senza voler qui ripercorrere la storia della presenza artistica nei diversi livelli e funzioni strutturali della società, nè dar adito ad adesioni acritiche alle utopie del ’68, ed ancora rimandando ad altra sede la denuncia degli errori perpetuati con ingordigia dalla stagione ‘effimera’, mi sembra che il recupero attivo e produttivamente influente dell’artista nella gestione dell’intero sistema sia più che mai necessario di fronte al diffondersi di una prassi critica che presso le nuove generazioni si fonda sostanzialmente su principi di auto gratificazione, mentre la contrattualità dei livelli ‘togati’ si perde tra le strategie dipendenti dal mercato straniero americano in particolar modo, e deprimenti battaglie personalistiche tipiche di un provinciale ‘divismo’.
La scarsa credibilità per un ruolo di rappresentazione del paesaggio critico nazionale, inteso per grandi linee e riferito ad un fenomeno diffuso e di costume come degenerazione, non offre certamente l’indispensabile tranquillità alle possibilità di ripresa complessiva e di riaffermazione costruttiva del settore nelle sue diverse voci (svolgimento ampio e specifico per voce in ‘Creativa. Foglio libero d’arte e cultura’ n. 1 Maggio 1984).
Non si intenda in queste parole un generico richiamo moralizzatore, già tipico e non sempre a torto dai settori accademizzati della creatività degli anni ’60, ma un chiaro invito ad una revisione matura con caratteristiche di articolazione e di prospettiva dialetticamente profonda.
La Mostra ‘Kriptodie’ proposta da Gian Piero Cerichelli e Carlo Grifone, coraggiosa perché nasce a Roma e quindi al centro delle maggiori tensioni, deve essere osservata con caratteri di rinnovamento nei rapporti tra le componenti diverse del settore, mentre nello specifico tutto ciò si qualifica nel tentativo di andar oltre « l’eccesso di chiarore e di visibilità odierna » per inoltrare lo sguardo « nell’abisso delle superfici del mondo contemporaneo».
Da queste dichiarazioni dei due artisti romani si ha subito e netta la sensazione di una volontà di ricerca che rinunciando anche alle gratificazioni del l’individualità creativa, tenta la strada dell’enigma e si impone di rintracciarne l’origine; tentativo creativo a cui lavorano da anni predisponendosi ad un’espressività con soluzioni collegiali e quindi attraverso una pratica che deve essere osservata in rapporto di corrispondenza tra depositate esperienze già tipiche delle avanguardie storiche e soluzioni di comunicazione collettiva, senza per questo intendere fenomeni esclusivisticamente racchiusi da barriere nazionalistiche, attualmente diffuse nella prassi creativa soprattutto delle nuove generazioni. Dalla volontà di penetrazione oltre la superficie delle cose è diretta una manipolazione che dà vita ad una miriade di segnalazioni abbreviate, che si affermano e si negano, si riconfermano e si contraddicono provocando ulteriori interventi. Fantasia, emozionalità, gusto e volontà di tentare tutte le strade dell’espressione profonda si pongono alla base .dei risultati migliori di Cerichelli e di Grifone ma credo anche come dati caratterizzanti le diverse presenze espositive invitate.
In questo clima tanto intenso predisposto dagli artisti romani inserisco il mio contributo con alcune proposte attraverso le quali intendo operare con valore emblematico e senza presunzione di completezza la lettura del paesaggio creativo nazionale espresso dalle giovani generazioni. In altre sedi ho già illustrato la mia opinione sull’articolazione dei contributi espressivi e di quanto ricco sia il deposito d’esperienza che liberamente è attraversato e percorso nella redazione dell’opera. Usando per comodità l’ambiguo termine ‘post moderno’, attraverso il quale individuo un fenomeno di costume e di atteggiamento presente tra i più diversi strati sociali si può infatti constatare l’abbandono di quella lunga tradizione espressiva e quindi espositiva tesa a conservare la separazione dei linguaggi, formalisticamente intesi, e quindi collegare ad esse aree tematiche d’interesse specifico, pervenendo ad un collage culturale aperto ai più lontani contributi ed alle problematiche più intimamente individuali. I tre artisti segnalati apportano quindi rispettivamente, testimonianza autonoma ma anche riflessione impegnata su esperienze che sono rintracciabili nella stagione decisiva per la contemporaneità, intendendo gli anni ’60/’80: Gianni Asdrubali, Franco Ionda, Marino Vismara.
Gianni Asdrubali detiene della stagione informale il gesto ma ne opera un’analiticità controllata pervenendo ad un risultato ‘romantico’ assoluto; un vocabolario essenziale dal quale l’artista esclude qualsiasi sbavatura di comodo e d’accademia per raggiungere l’immagine emblematica del profondo.
Franco Ionda predilige una polimatericità informale dalla stratificazione profonda, tipologicamente riferita alla linea italiana, cioè letteraria ed esistenziale, ma anche arricchita della carica ironica indiscutibilmente attenta alla lezione di trasgressione introdotta dall’ottimismo vitalistico degli anni ’68/’72, al quale si aggiunge una qualità cromatica più tipicamente toscana, espressionistico rosaiana, senza intendere alcun riferimento neo novecentista tipico di altre equipe; ogni opera nasce così da un insistente amore per la superficie, per il crescente maturarsi, solidificarsi, fino al raggiungimento dello spessore reale dell’ombra del ricordo.
Marino Vismara ha coscienza del rapporto di continuità con 1′ esperienza concettuale degli anni ’70 accentuando la produzione d’opere con dati di manipolazione; intendendo una caratterizzazione del fare artistico attraverso materiali di superficie e rilevando di essi il retroscena espressivo; è il caso antropologicamente depositato rappresentato dalla pelle di seppia che nella carta copiativa esalta i sottostrati d’auto scrittura.
Gianni Asdrubali, Franco Ionda, Marino Vismara rappresentano quindi autonome soluzioni ed ulteriori contributi di creatività nel complessivo confronto con le stagioni recenti della comunicazione visiva.