Sistemi linguistico‑visivi contemporanei
di Andrea B. Del Guercio
1996
Giovanni Campus, Carmengloria Morales, Gianfranco Pardi, Giorgia Monetta, Vincenzo Marsiglia, Samanta Severgnini.
Il titolo subito impegnativo dell’esposizione ha il compito di introdurre un fruitore non specializzato all’interno della cultura moderna e delle regole che la determinano come sistema analitico di osservazione e valutazione del reale, dove, nella complessità del reale, l’individuale atto artistico assume il valore di un’ auto problematica esperienza comunicativa, indipendente sia da tematiche esterne alla stessa condizione e farsi dell’arte, sia da categorie espressive depositate dal tempo e consolidate nella tradizione; un sistema intellettuale auto regolato da atti cromatici e formali e complesso per coesistenza con le esperienze e le emozioni più intime, impalpabili ed a tratti indecifrabili, dell’individuo.
Il progetto culturale della Mostra ruota con chiarezza emblematica e mirata specificazione intorno alle esperienze linguistico visive caratterizzate al loro interno della coesistenza di autonomi spazi di creatività e responsabili interrelazioni con il complesso dell’esperienza artistico analitica moderna, di tre artisti, Giovanni Campus, Carmengloria Morales e Gianfranco Pardi, e per ulteriore approfondimento attraverso le esperienze di tre giovani, Giorgia Monetta, Vicenzo Marsiglia e Samanta Severgnini impegnati nella messa a fuoco ed organizzazione di personali grammatiche linguistico visive.
Le due distinte generazioni osservate in un rapporto di continuità e relazione, che analizzeremo nell’individuale specificità, segnalano la coopresenza delle due fasi di ricerca espressiva autonome e profondamente interrelate nell’unità dell’opera; nell’inscindibilità dell’atto espressivo l’artista prevede infatti la messa a fuoco di una grammatica analiticamente estratta dal processo culturale storico moderno, e concepita quale percorso evolutivo autonomo dell’atto formale attraverso una personalizzazione fondata sulle intenzioni poetiche dell’autore.
L’opera appare quindi il risultato di un’esperienza visiva né causale, come irresponsabile forma liberatoria, né appiattita e svuotata da gratificanti contestualizzazioni, ma incidente nel concetto di attualità.
Gli strumenti della pittura, il colore, la tela ed il legno del telaio, diventano i materiali di una comunicazione che, scissa da dipendenze esterne all’artista, si colloca all’interno di una cultura artistica in grado di aprire dal suo interno i più ampi e problematici confronti con quel complesso di questioni, tra sfumature e contrasti, che fanno la realtà contemporanea.
Ogni linguaggio visivo, caratterizzato dalla sfera emozionale e di partecipazione individuale, prende forma ed afferma i suoi valori di comunicazione nell’incontro con un mondo di segni e di superfici, dalla manipolazione di stesure limpide e grumi di materia, dal soffermarsi attento sullo spazio e dall’organizzazione del volume; si tratta di una ricerca in progress, fatta di attenti passaggi, predisposta secondo un sistema in cui la progettualità assume un valore culturale altatamente percepibile in fase di fruizione dell’opera.
Giovanni Campus pone al centro del suo lavoro il concetto di spazio, sia nel carattere di superficie che di luogo; nel primo caso la parete di juta pesante, assorbendo a tratti e per estensione controllata un colore denso, il nero e il rosso, caratterizza l’opera attraverso un significato di un’espressiva matericità, mentre nel secondo contesto le linee guida, tracciate nello spazio venendo a definire l’agibilità concettuale di spazio, impostano strutturalmente l’area emozionale della fruizione.
Dal rigoroso processo estetico di Campus costruito ora per brevi e significativi atti lineari, ora per masse compatte ed impenetrabili ricaviamo le indicazioni e i dati di un’esperienza culturale radicata nel concettuale significato di realtà.
Carmengloria Morales volge per intero la sua attenzione e volontà intellettuale al colore come realtà del pieno e del vuoto, della presenza e dell’assenza della materia, forse della realtà universale stessa; nell’organizzazione dei dittici e dei polittici, nell’unità dei tondi si osserva il rapporto con il colore caratterizzato dall’accordo e dalla mirata compenetrazione tra una decisa e partecipata espressività ed il rigore di una gestualità trattenuta dalla concezione analitica dell’arte; alla stesura di un giallo risponde la stesura di un blu, poi di un rosso in un costante processo di accumulo e configurazione materico progettuale della superficie policroma… a cui risponde, intensa a latere, la pagina bianca, il silenzio e l’attesa.
Gianfranco Pardi opera sull’articolazione di un sistema di indicazione segnica, rigoroso sul piano formale e netto nelle soluzioni cromatiche, organizzativo della superficie pittorica e di definizione dello spazio nella redazione plastica; nelle due esperienze linguistiche la coesione del rigore dell’elaborazione progettuale con la sensibilità intima dell’uomo coordinano ed orchestrano con volontà strutturale quella porzione di reale che dall’immaginazione creativa della pittura si trasferisce nella tangibilità della scultura. Il colore, osservato ed impiegato come sistema di valore autonomo, torna ad affermare l’originaria funzione architetturale dell’esperienza artistica.
Giorgia Monetta, Vincenzo Marsiglia e Samanta Severgnini, iscritti all’ultimo anno dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ponendosi in un ideale rapporto di affinità culturale e di stimolante confronto espositivo con l’attività dei tre artisti, segnalano una volontà espressiva caratterizzata dal senso della ricerca come esperienza problematica e della sperimentazione linguistica, sia nel diversificato impiego dei materiali che nella gestione mirata del colore come intensa realtà auto comunicativa. Mentre la Monetta ricostruisce attraverso il simbolico impiego della corda l’esperienza estetica femminile relatrice alla nostra sensibilità di emozioni nascoste, Marsiglia naviga attento nelle liquidità dei verdi e dei blu rintracciandovi affioranti tracce di una memoria lontana e non svelata, la Severgnini organizza masse in movimento di colore, distribuisce, secondo la geografia della percezione, estese superfici di una materia cromatica viva e prorompente al proprio interno.