Nuovi aspetti dell’astrazione in Toscana
di Andrea B. Del Guercio
1983
II trasferimento della Mostra «Nuovi aspetti dell’astrazione in Toscana» dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Forte dei Marmi (nov. ’82) negli spazi espositivi , scientificamente predisposti nel rispetto del suo peso storico artistico del Castello di Certaldo, mi offre la possibilità di affrontare in questa sede editoriale non soltanto i diversi temi specificatamente posti dal tema della mostra attraverso le singole personalità coinvolte ma anche i temi attualissimi e relativi all’organizzazione espositivo museale regionale.
È bene ricordare come all’origine di questa Mostra ponevo su un piano critico metodologico la volontà di documentare fatti artistici~recenti e nuovi prodotti in Toscana ma contemporaneamente e fondatamente rapportabili e sintomatici di un clima culturale e di un dibattito internazionalmente condotto; la mostra quindi si legava in un programma di completezza d’indagine alla prima sezione «Aspetti della figurazione in Toscana», con Bartolini, Benucci, Doni, Falconi, Fallani, (lug. ’80) nella quale si mettevano in risalto istanze e fonti d’ispirazione toscane con spirito unitariamente riconoscibile nella Figurazione internazionale caratterizzato da riscaldamento dell’immagine; ora se per l’analisi della Figurazione intervenivano dati storico letterari estratti in particolar modo dal XIX secolo, nell’attuale sezione «Nuovi aspetti dell’astrazione in Toscana» si osserva attraverso un particolare clima creativo per singolo operatore il ritorno all’espressione pittorica, intesa come diffusione ampia e libera di espressione cromatica con caratteristiche Neo informali, gestuali, segniche e nelle cui più profonde viscere cresce e si chiarisce un clima nar rativo, ora condotto per trascri zione di intime emozioni (R. Guar neri, M. Barzagli, S. Scheda). or< serrato su ampie pagine dalle di verse grammatiche espressive W Fusi (P. Masi); assai stimolante m sembra la riunificazione di cinque operatori in questo particolare momento storico critico condotti attraverso l’originaria «stagione informale» frequentata dai tre operatori fiorentini negli ultimi ann ’50 ed a questa pervenuti per la prima volta ma con provata ragia ne dai due più giovani artisti d Marradi.
Evidentemente alla base di un oli ma creativo nuovo sono diversificatamente per singolo autore, e in particolar modo per Fusi, Guarneri e Masi,riconoscibili e rintracciabili i dati di cultura e di ricerca precedentemente condotti e storicamente interni ed attivamente partecipi della complessa antolo gia critica del decennio ’70.
E bene ricordare come da quelli prima comunicazione violenta e immediata, indispensabile in cui percorso di liberazione espressivi ed autenticamente condotta d fronte alle stimolazioni esaltanti ricche di inquietudini offerte da paesaggio politico internazionale si passasse poi ad un lavoro di indagine minuziosa delle diverse componenti del linguaggio visivo la luce, il colore, lo spazio, i materiali, le tecniche, secondo un pei corso quasi scientifico di ricomposizione dei mestiere del pittore vorrei meglio definire dell’intellettuale data la frequente presenza nelle singole dichiarazioni de gli operatori, quale specifico atto di responsabilità culturale nei confronti del sociale, di richiamo alla promozione didattica; «lo scopo evidente della pedana “Segnaritmi” è di carattere didattico: esemplificare oltre l’operazione estetica, il percorso dello spostamento del segno, controllabile sia mentalmente, attraverso un piccolo calcolo, che materialmente con l’atto dello spostamento materiale… Si compie cioè (in un senso un po’ diverso da quello della epoche nusserliana) una specie di “neutralizzazione” di quel significato artistico in qualche modo fissato dall’opera “come appare” per restituire ad essa un’estetica diversa tramite l’operazione ricreativa del fruitore» (W. Fusi 1978); «il problema dello spaziocolore luce, deve ipotizzare a mio avviso un nuovo modo di vedere allargando aumentando il campo di percezione» (R. Guarneri 74); «II carattere pedagogico contenuto nell’abitudine a ricevere, decifrare e assecondare gli stimoli primari, è uno degli aspetti per cui lo stimolo primario (linea, punto, colore, luce) visivo, non riconducibile a codici culturali, è energicamente disinibitorio e possibilmente comunicativo oltre le divisioni del linguaggio» (P. Masi ’72).
Ora avere coscienza di mutare situazioni ed atteggiamenti nel gusto e nelle esigenze estetiche è fattore che va a tutto merito di quanti pur non tradendo ma rispettando ed esaltando la propria privata creatività portano un nuovo personale contributo culturale. Questo è il caso di Fusi, Guarneri, Masi di cui abbiamo ricordato l’integrità metodologica, l’autonomo percorso creativo ed alla luce di ciò, la validità di questi nuovi lavori.
Ovviamente la restrizione su i nomi di Fusi, Guarneri e Masi per la realizzazione di questa mostra ha significato emblematico e non totalizzante rispetto alla storia artistico astratta e progettuale toscana e quindi senza che ciò debba significare esclusione di artisti che in questo clima operano con riconosciuta intelligenza e tra i quali ricordiamo con Vinicio Berti, Moretti, Tamagnini, Lanci, Puliti, e fra i più giovani Chiarantini, Dorigo, Rogai, Cardini.
La presenza di due pittori, Massimo Barzagli e Stefano Scheda, assai giovani e quasi inediti sul piano espositivo ha il significato in questa occasione di introduzione nel paesaggio artistico italiano di nuove proposte e nuove personalità, seguendo così una tradizione di apertura verso i giovani e le nuove espressioni culturali. Curiosamente la provenienza formale ed il breve percorso creativo di entrambi risulta caratterizzato da un impianto figurativo, e quindi in posizione diametralmente opposta rispetto a Fusi, Guarneri e Masi e senza che si possa prevedere per il futuro una disposizione verso meccanismi di ricerca analitica o sperimentale.
Possiamo in ogni caso sottolineare il passaggio coraggioso da una figurazione che per entrambi si era dimostrata ricca di possibilità e promettente sul piano qualitativo, caratterizzata già da evanescenze espresse per via di una pittura incorporea ed informale, verso soluzioni espressive più libere, dove il raccontare non fosse imbrigliato dalle forme chiuse di una realtà presuntuosamente certa. I risultati di questo passaggio sono altresì osservabili in rapporto, e per ognuno con particolari specificazioni, con quel clima nuovo che agita la pittura italiana oggi e che abbiamo visto interpretato e condotto da Fusi, Guarneri, Masi.
Ma in questa sede possiamo anche tentare di sciogliere il valore e significato simbolico di una condizione creativa ampia e nuova e rapportata ad un paesaggio artistico critico nazionale ed internazionale emblematizzato in questa Mostra.
Ritengo cioè doveroso rilevare con giudizio e metodologia critica interdisciplinare e dialetticoconflittuale come le condizioni di «riscaldamento» complessivo, tecnico espressivo e culturalmente fondato, contestuale ai diversi movimenti o tendenze dell’arte, abbia ragioni nel complesso rapporto instauratosi tra elaborazione teorico critica, e di questa la costante osservanza e riflessione per ragioni culturali e di sviluppo di un mercato internazionale d’arte, con la programmazione diretta e indiretta e le condizioni costitutive per un costume collettivo.
La crisi «ideologica» consumatasi in questi ultimi anni, evidentemente con significato articolato e non esclusivamente politico del termine e quindi allargato ad un rapporto di creatività condotto e giustificato secondo fattori specifici, ha promosso nel campo delle arti visive soluzioni di recupero completo dei dato pittorico inteso come fonte esclusiva di espressione, gestita soprattutto per ampie superfici, tra soluzioni cromatiche e materiche, e specificato differentemente per via di espressioni artistiche nazionali e tipiche del nostro secolo; il ‘900 in Italia, da De Chirico a Sironi, l’Espressionismo in Germania, il Cobra e Jorn nei paesi scandinavi, il primo periodo Pop negli Stati Uniti.
Ora ritengo che i maggiori risultati prevenienti da tanta libertà pittorico cromatica (eredità informale) e neo figurale (l’espressionismo) possano essere riconosciuti in quegli artisti che hanno condotto l’espressione in un intenso clima di introspezione psicologica od operando su base emotiva i dati linguistici accumulati nelle stagioni informale ed astratta.
Ma la vitalità riflessa nei nostri giorni di quel lontano periodo di crisi che fu il Manierismo, e le note problematico emblematiche del ‘900, devono anche essere storicizzate attraverso alcune poco frequentate figure ma sinceramente anticipatorie degli attuali rinnovati sentimenti.
Si deve infatti tornare a fare i nomi di Emilio Vedova, veneziano e tintorettiano per eccellenza, unico padre riconosciuto ed accolto in tutte le occasioni incentrate appunto sul ritorno ad una pittura di tipo informale ed espressionistica, ma necessario mi sembra anche in questo contesto sottolineare il lungo e tormentato percorso di Giannetto Fieschi, un pittore che ha attraversato tutte le fasi storiche del nostro dopo guerra nella costante ricerca dell’infinita precarietà della vita, animato da una forza ed un coraggio esistenziale costantemente tradotto in una pittura mai statica, mai ripetitiva e sempre proiettata avanti nella penetrazione del reale, oltre la superficie del corpo, oltre e tra gli strati della realtà dell’anima: «… una straziante Deposizione spiccava su un fondo neutro, in una luce violenta.
Non si capiva come, eppure era dipinta; ma le figure avevano la gravezza d’un piombo su cui le pennellate s’impastassero dolorosamente, come spremute da una tavolozza crudele.
Io penso che le mani di qualche defunto dovevano averla sorretta». (F. Arcangeli ’65). Un debito difficilmente colmabile e da noi tentato con valore emblematico rispetto ai nuovi tempi manieristi con una succinta personale nell’estate dell’80, verso le intuizioni di questo assoluto maestro italiano, interamente autonomo ed alieno da facili aggiornamenti o riduttive citazioni, ma per il quale costantemente filtrati nel presente sono gli umori del passato senza le forzature attualizzanti imposte dalle mode, come dalle ideologie, ma seguendo gli stessi intenti di svelamento del dato e sua ricomposta validità enigmatica.
Ancora Sergio Vacchi deve essere qui introdotto come dato anticipatorio del presente momento che nel gennaio ’80 assunse, con Arnaldo Pomodoro il compito di sorreggere la volontà nostra di «memoria» (Della Memoria: riflessioni tra storia e metastoria, Prato ’80): «riconferma delle condizioni diverse di convivenza e compenetrazione e quindi arricchimento riassunte nell’opera d’arte attraverso i termini di storia e di metastoria, cioè nella complessità delle componenti presenti nel reale anzi nei diversi livelli della realtà… ed è ancora da parte nostra l’intento di ricercare, nelle caratteristiche di oggettualizzazione, il rapporto antico ed ereditario dell’uomo con la creatività artistica; si tratta sempre più evidentemente di riconoscere ed esplicare con naturalezza le intersecazioni, difficilmente programmabili, dei messaggi culturali, delle notizie e degli stimoli segreti, ripescati tramite le radici del pensiero ereditario nel passato individuale e collettivo, poi raccogliere emblematici ritorni e preveggenze attraverso la sensibilità e l’intuizione profonda nell’ambito di una coscienza ritenuta ancora irrazionale».
Pur di fronte a queste emblematiche presenze, e ad altre che potrebbero essere ricordate, penso ancora a Novelli e Romagnoni, quindi a Scialoia, Dorazio, Cavaliere, Moreni, il meccanismo delle rivisitazioni, storico artistiche e metastoriche, diventa per i numerosi artisti divisi tra le varie proposte critiche, la «TransAvanguardia» di Achille Bonito Oliva, «Magico primario» di Flavio Caroli, i «Nuovi Nuovi» di Barilli, la particolare attenzione per la nuova pittura americana di Celant ed ancora un numero imprecisato di artisti rimasti esclusi per fattori e leggi di mercato dai maggiori e più protetti collettivi, rivisitazioni dicevamo quali banco di prova di abilità contraddittorie, una teatralità figurata che possiede frequentemente un richiamo irripetibile, luoghi stimolanti di proiezione emotiva, libera trascirzione di immagini accumulatesi nella memoria e riportate con spirito di ricostruzione e reinvenzione di un’originaria autenticità; è il caso nel quadro toscano di Raffaele, Ragusa, Giovanni Gattuso Lo Monte, Franco tonda e Maurizio Fanelli.
Purtroppo, pur di fronte ad una creativa stagione ricca di entusiasmi e di nuovi stimoli, malgrado le ragioni drammatiche e le sconfitte che tutto ciò precede, mi sembra in ogni caso necessario conservare giudizio negativo per un Manierismo acidamente travisato (per Bonito Oliva non si tratta di una rapportazione problematica, ma di un riprendere con cinismo), per un De Chirico e Metafisica depauperati del loro significato profondo ed inquietante da un riduttivo gusto «Post Moderno», per «Gli Anni trenta: arte e cultura in Italia» (Milano, Palazzo Reale, Palazzo dell’Arengario, Galleria del Sagrato) riscoperti tra «troppi buchi, vuoti, assenze. Per non curanza, sciatteria, mancanza di informazioni o di interessi, calcoli… Manca, del resto, un brivido di orrore» (A. Arbasino, La Repubblica, gennaio’82): sono infatti alcuni esempi di quell’Humus nel quale prolifica il gusto contemporaneo, dove si avvertono le vere novità e più frequentemente gli aggiornamenti dell’ultima ora, quelli privi di reale profondità, quando si creano mistificazioni e mediocri miti pubblicitari.
Alla base in ogni caso dell’attuale rinnovata situazione di espressione e ricerca hanno trovato luogo proposte critico aggregatine che non credo assolutamente rispondano responsabilmente ad una naturale evoluzione del costume collettivo internazionale ed alle esigenze espressive diversificatamente per provenienze stilisticoideologiche e generazionali segnalate da alcuni artisti.
Abbiamo notato e constatato anche in diverse occasioni espositive più o meno recenti svolte in Toscana come la risposta critica, dai maestri agli epigoni, ad una nuova condizione creativa artistica e critica abbia prodotto, conseguenzialmente alla sua curiosa natura umana e culturale, per Achille Bonito Oliva non si tratta di una rapportazione problematica, al Manierismo come al ‘900, ma rispondere con cinismo, un giudizio ed una risposta di volta in volta frustrante e sviante la liberà ricezione profonda e la loro soluzione di trascrizione nonché il contributo culturale di verifica e approfondimento richiesto soprattutto dai più giovani operatori, ricattabili su un piano di potere contrattuale commerciale. Un’accelerazione ed una attitudine critica che per sue ragioni storicoculturali non crediamo possa Bifronte ad un «ritorno all’espressione pittorica» condurre al conseguimento di reali e positivi risultati, intendo capacità storicoartistiche tipiche della profondità svelante del mistero creativo.
Persistente mi sembra infatti su un piano metodologico operativo la volontà che mosse nel decennio ora trascorso meccanismi critici, soluzioni espositive, e caratterizzatatesi da spirito di morte e di odio, da certezza presuntuosa e unilaterale, che nulla aveva recepito della tragica esperienza di Wols e di Pollock, della concentrazione poetica di Morandi, della memoria indagata tra i frammenti dei presente di Romagnoni e Novelli; responsabilità che furono e sono fondamentalmente nel tradimento perpetuato nei confronti della propria intimità, della propria sensibilità, rinunciando alla sincerità, rilanciando la propria mediocrità ed accogliendo meccanismi critici ed espositivi privi del desiderio di libertà a cui tendeva Francesco Arcangeli, lui longhiano, caravaggista, aformale quando apriva a nuove tendenze le porte della Biennale di Venezia «… È inutile infine che vi parli dell’area del comportamento, quando quest’area è inprevedibile per definizione? Perché Mario Merz ha chiesto per la sua azione un vecchio barcone veneziano? Sarà lui a motivarcelo… Quello che importa è che anche in questi aspetti che affondano le radici nell’area ludica e possono perciò sembrare evasivi entro l’espressione storica forse terribile nel suo progredire nel tempo che stiamo vivendo; quello che importa è che l’arte di comportamento sia anche essa un richiamo reale di libertà, una nuova proposta umana» (FA. La Biennale di Venezia 1972).
All’inizio di questo intervento mi prefiggevo di relazionare anche alcune riflessioni promosse dallo spostamento di sede espositiva di una mostra internamente alla regione Toscana ed incentrate sulla condizione irrazionale dell’organizzazione espositivo museale.
Indubbiamente è ancora costante la condizione delle nostre città e di tutta la regione di una scarsità di strutture stabili, scientificamente predisposte, consone ad una ricezione proiettata ad allargarsi, e quindi ad una rete di stabili rapporti di confronto e collaborazione. Anche la progressiva moltiplicazione e frammentazione degli spazi, spesso osteggiata anche se talvolta giustificatamente per la frammentazione delle specificità culturali e di prèdisposizione, non ha dimostrato di far tesoro della vasta cultura museologico contemporanea consolidatasi nei paesi del centro e nord Europa come degli Stati Uniti nei suoimaggiori centri fin nella provincia con i musei della comunità.
La possibilità infatti di pervenire ad una programmazione culturale espositiva che preveda al suo interno condizioni di scambio non solo di informazioni ma anche di elaborazioni specifiche mi sembra un fatto di estrema importanza e di indispensabile accoglimento nel perdurare della crisi e riduzione delle possibilità finanziarie dell’intero apparato pubblico. Una mostra come «Aspetti dell’astrazione in Toscana», costruita con valore emblematico di una condizione creativo critica più ampia ma facente perno su valori rintracciabili sul territorio regionale, rapida nella sua organizzazione complessiva, ed altre sugli stessi principi realizzate realizzabili in futuro credo si prestino quasi per loro natura ad una percorrenza attraverso aree diverse.
Mi limiterei a queste normali «raccomandazioni» se non avessi precisa coscienza ancora della disinformazione più o meno sincera su i temi e le proposte insite in quella cultura museologica a cui accennavo precedentemente, e che prevede, per grandi linee, come indispensbaili tali spazi collettivi, diversificatamente predisposti rispetto ai problemi di risoluzione dei complessi problemi che, oltre a quelli strettamente artistici, caratterizzano oggi il corpo sociale solitudine e droga, crisi ideale e morale presso le nuove generazioni, teppismo e sottocultura collettiva. Mi sembra quindi utile ricordare come la moderna impostazione delle gallerie d’arte contemporanea preveda nei grandi centri come nei piccoli comuni e nei quartieri periferici dei primi, un rapporto stretto e costante tra questa realtà culturale particolare con le altre voci della comunicazione, dello studio, del tempo libero, nonché dello sport- biblioteca, ludoteca, sale d’ascolto, laboratorio, galleria, caffetteria.