Incontrerò il grande capro, rosso, antico e bianco…
di Andrea B. Del Guercio
1983
«…la frequentazione assidua sul piano culturaleesistenziale degli spazi e delle architetture medievali e storie che le hanno abitate, raccontate sulle pareti delle chiese e dei palazzi, scolpite nel legno e nella pietra, hanno esaltato la ricerca, il desiderio di incontro con lo spirito che tutto questo ha messo e che ancora fluttua nell’aria e si conserva intatto fuori dalle mura, lontano dai percorsi battuti…».
Nel momento in cui ho ricevuto l’incarico di programmare e realizzare una Mostra che si relazionasse al tema del Convegno «II sogno del Medioevo. II revival del Medioevo nelle culture contemporanee», nel quale diversi relatori avrebbero da specifici punti di vista osservato un fenomeno storico diffusosi nelle diverse forme del costume collettivo, dalla letteratura al cinema, dalla moda alla musica, ebbi chiara coscienza, seppure i limitatissimi tempi operativi avrebbero impedito e negativamente segnato il completo svolgimento del progetto espositivo, che non si sarebbe potuto avviare, anche col solo e pur creativo valore emblematico, un qualsiasi sforzo di indagine se non ci si fosse disposti a ripercorrere il paesaggio artistico contemporaneo secondo la geografia storico culturale Medievale. Si rendeva indispensabile per raggiungere quindi un risultato sufficentemente emblematico, di abbandonare soluzioni di verifica tematicamente riferita al solo paesaggio italiano e predisporre un ‘bagno visivo’ dai più diversi umori, promotrice di reazioni contrastanti, rispecchiante le conflittualità conseguenti l’incontro tra l’antico mondo mediterraneo, epico solare e la nuova area nordica, barbarica ed epico silvana.
La Mostra esclude così le responsabilità di una catalogazione di quegli operatori che al tempo storico preposto ed ai suoi significati culturali abbiano fatto specifico riferimento, ma accetta l’impegno di tentare con un materiale articolato, privo di esclusivo valore rappresentativo di posizioni critiche castiganti una creatività più ampia, di riunire le diverse spinte emotive che hanno risentito all’interno dell’attualità del Medioevo del costume collettivo. Con questa scelta di conduzione critica è stata anche calcolata una perdita a livello espositivo di giudizio strettamente riferito al lavoro singolo artista coinvolto (recuperato in sede di catalogo) e sostituita una predisposizione delle opere secondo un percorso forzatamente disarticolato, profondamente conflittuale nel tentativo, responsabilmente giustificato da più generale scelta critica, di ridurre possibili «certezze» e «verità» limitative della complessità del tema e dell’intera valutazione della realtà. Un atteggiamento creativo a cui San Gimignano ha dedicato largo e significativo spazio con le mostre di Giannettó Fieschi e Sergio Vacchi, due autori tanto vicini al tema della mostra. Ricordiamo del Maestro genovese la libertà del gesto e la sua incisività espressiva, insistenza e linearità del segno, aggregazione multi materica drammaticamentte ereditata da un’antica stagione Pop, e poi ancora di lui tutta la schiera delle divinità classiche abitate dal dramma, tutte le figure dei Santi, le numerose Crocifissioni. Ed ancora di Vacchi il percorso e le tappe preveggenti; lungo le spiagge del Nord e sotto cieli fuliginosi, come in un tempo sospeso tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento, l’Età aurea del fantastico e del Nero, come soggetti raccolti dalle pagine della Blixen.
La Mostra cerca quindi di rapportare ad un fondamentale momento storico il complesso lavoro svolto tra la seconda metà degli anni ’70 e questi primi anni ’80 da diversi autori europei e tentare una valutazione penetrazione dell’attuale natura dell’espressione visiva; la riconduzione al Medioevo «dell’arte giovane risponde col recupero del genius loci, delle radici antropoligiche del territorio culturale abitato dall’artista» (A. Bonito Oliva ’82) e suggerisce la comprensione della caratterizzante forza «espressivo pittorica non più da un dipendente clima espressinistico» ma dall’originaria vitalità barbarica, cosi come gli interessi antropologici (Vostell) e Land svolti negli anni ’70 trovano confronto e luogo di verifica nei costumi e nelle abitudini di quei nuovi popoli apparsi sulla scena mediterranea. II riferimento ad una stagione storica, naturalisticamente incontaminata (Beuys) e socio culturalmente originaria, «il Medioevo», và valutato, tra progettualità ed oggettualità pittorica (1970 1980) quindi sotto la più complessa soluzione di un costante deposito metodologico espressivo, inalienabile perché entrato a far parte di una chiara eredità culturale.
Dall’energico «bisogno di provocare shock si espresse nella esasperazione di reazioni sensuali e corporee: riti sacrificali celebrati mediante l’impegno teatrale dei corpi di vittime sostitutive (animali, persone collaboratori)». (M. Kunz Venezia’80) al fervore espressivo pittorico, dall’assoluta sgrammaticatura cromatica e segnica dei giovani pittori, significatisi soprattutto per valore collettivo, appare chiaramente un comune clima di riconoscimento nelle tappe della storia medioevale.
Forte carica espressiva, sconvolgente desiderio di lacerazione nel racconto del quotidiano, contemporaneo e storico, segnalazione insistente di 10 stati di violenza diffusi in tutte le forme della natura si riuniscono nell’unità di lettura di tanta nuova pittura e svela chiaro il desiderio di recuperare quell’espressività vitalistica originariamente presente nella vita feudale.
L’intero clima neo medioevale apparirà così tra soluzioni formali e linguistiche diverse: sono forme grammaticali primarie e violentemente gestuali, nitidamente simboliche o ricche di carica neonarrativa, soluzioni polimateriche ambientate, brani di analitica concettualità, spunti e riedizioni storiche (anacronistiche), forme di grafismo metropolitano.
Ora accanto a questi più evidenti fenomeni trovano preciso spazio ricerche sulle quali intervengono interessi espressivi condotti da una violenza lucida, priva di stati emozionali immediati ma sempre riconoscibili in un clima antico. Si aprono quindi su i temi della morte e della vita, le grandi fotografie di Klauke; sul mondo dell’alchimia, sull’antica scienza delle erbe e dei filtri magici si focalizza il lavoro di Claudio Costa. La manipolazione di oggetti, materiali frequentemente di scarto e la loro ambientazione da parte dell’artista genovese si muove nella direzione di quell’antica cultura, scienza senza progresso, che tenta la penetrazione dell’anima della natura.
Luciano Bartolini sembra raccogliere sulle carte impreziosite dall’oro un coacervo di stimolanti motivi la cui unitaria lettura rappresenta forse l’immagine di un Medioevo mediterraneo, illuminato da uno spirito lucidamente analitico. Motivi decorativi visualizzazione della sonorità simbolica attraverso, grammatiche segniche, sono fatti riportati alla luce da Bartolini con intatta, tutta l’antica carica enigmatica.
In un clima metodologicamente comune muove Corneli tra ombre del più profondo e inquietante Medioevo fino alle attuali soluzioni caratterizzate da tensione percettiva di antiche, forse mai esistite, architetture: ipotesi e sogni, piante di abbazie e templi mussulmani.
Il lavoro di Notargiacomo espressamente eseguito per la mostra rappresenta emblematicamente lo spirito con cui è condotta la mostra; intendo riferirmi alla volontà di narrare pittoricamente, attraverso un linguaggio nel quale confluiscono ben precisi segni medioevali, su un paesaggio tematicoquotidiano e quindi rapportandosi perfettamente a quell’eredità depositata nella memoria che fu la stagione Pop: in «Oh meravigliosa armatura» l’artista romano facendo uso di una grammatica segnica minacciosa, arricchita e contemporaneamente colta in una situazione di astrazione per mezzo di un fondo argento opera con una ironica carica concettuale la trascrizione di uno strumento d’uso quotidiano, differentemente prefer8ite in tutte le stagioni dell’uomo.
II recupero di una primaria condizione culturale medievale viene effettuato da numerosi e diversificati per oggetto specifico di interesse ma sorretti da comune atteggiamento espressivo, operatori quali Penk con opere di valore segnaletico in ripetizione, dalla Eigenheer presente in questa occasione con un’opera nella quale sono enumerati da un duro gesto grafico un’oggettistica quotidiana, illustrativa quasi di una realtà vissuta. Sempre nell’ambito di una ridotta grammatica segnica si pone il lavoro di Lorenzo Fontanelli nel quale sotto una chiara impostazione progettuale si attua una espressione simbolica collettivizzata forzatamente dalle grandi dimensioni; recuperando motivi decorativi di impianto medioevale ottiene una narrazione allargata negli spazi ed infinita nel suo svolgimento e tale da poter essere respirata come momento di magico stato d’animo.
Lo spazio di maggiore vitalità espressiva, violentemente sgrammaticata nelle soluzioni figurative fino a prodursi in grumi informali di colore sono il campo prescelto dai vari Kever, Middendorf, Melcher, Zucker, D’Argenio dove all’interno di uno spessore mitologico teutonico si agita l’interesse per la natura violenta insita nelle diverse forme della natura.
La volontà di produrre una comunicazione caratterizzata da umorio psicologici profondi, lasciati al loro libero scorrere senza l’incubo dello svelamento di significato è alla base delle grandi carte di Van’t Slot e Di Rosa e Mosbacher, mentre il più immediato referente medioevale sono gli antichi bestiari, la favolistica popolare, la simbologia militare. II racconto si fa più lineare, venato da languore in Zimmer, diretto da intimo fervore creativo da Barcelo: nel primo sagome umane in una pittura notturna sono relatrici di una narrazione neomitologica, mentre il secondo si racchiude come un’alchimista nelle segrete stanze, preso da febbre creativa ad imbrattar i fogli, rotolando su di essi disposti ormai a strati.
L’aggressività espressiva di Schmalix, di Bommels, di Borofsky si ritrova intatta nella sua istintiva carica nel più giovane Krips nelle cui carte si accumola una quantità infinita di segni, di tracce, di piccole immagini per l’antica storia della comunicazione umana.
Torna ad accendersi di spettri medioevali il racconto nelle alte bande pittoriche di ]onda dove un cavaliere solitario, una figura del ricordo e dell’immaginazione segue un tragitto di nebbia. Così pure Rdtelli si dispone al ricordo, recuperando immagini di fantasmi in fuga; l’incorporea soluzione espressiva vuole qui testimoniare momenti segreti anche in contrasto con la nostra recezione abitualmente superficiale e riduttiva.
Non deve essere dimenticato lungo questo percorso tra i meandri della cultura visiva l’attenzione al nostro tema storico, per grammatica espressiva o per interesse tematico, di una creatività strettamente riferita alla civiltà metropolitana; da Adamski a Boisrond e Bauch, da Angerman a Mc Lean ed in questa occasione espositiva soprattutto in Pellegrin con l’opera «Con l’invincibile Diabolik» dove avviene la sostituzione dell’antica Divinità con la sua attualizzata controfigura, fornita di tutti gli strumenti che competono alla sua carica; così un Daibolik sorge dai fumi sulfurei della moderna barbarie, ad interpretare lo spirito della contemporaneità.
Su un versante opposto operano coloro che valutano il significato della citazione storico artistica tratta e quindi ricostruita dal Medioevo; un tentativo di rappropriazione dell’antico messaggio, il giottismo di Cucchi, le durezze del trecento pistoiese in Barni; ora a livello strettamente tecnico simbolico, la sinopia e l’antica pittura ad encausto, ora come riappropriazione e riproposizione della grammatica espressiva, degli enigmatici valori simbolici, indecifrabili rispetto alla preparazione culturale collettiva. È il caso ‘anacronistico’ di Bussagli con il ciclo l’Opera e il Cammino II Tempo di Flora (Albedo) Epifania Senza Tempo (Auredo), dove sono ricostruite componenti linguistiche dell’alchimia.
Le grandi sinopie di Bovani diventano la sede preferenziale di una narrazione rispettosa del nobile passato tra patrizi e patrizie scene bucoliche e di gioco e tracce di decorazione: un’età dell’oro ormai irrecuperabile ed improponibile se non per via della sua concettualizzazione.
Le tavolette ad encausto di Fanelli ripercorrono il paesaggio espressivo trascorso tra la pittura pompeiana e le articolate soluzioni medioevali, l’ambito cortese, quello religioso, quello della magia e dell’alchimia. Un impegno condotto in nome dell’introspezione profonda della poetica, della sensibilità medioevale e quindi di una sua riproposta con valore simbolico per la nostra contemporaneità.
Quando il vecchio capro, rosso, antico e bianco finì il racconto…, allora ci rendemmo conto di quanto fosse necessaria una diversa coscienza delle infinite componenti culturali che confluiscono nel gran complesso della realtà. Quel magico racconto che abbiamo trasferito e verificato nel nostro presente e la troppo rapida rilettura dei fenomeni creativi tanto diversi posti al suo interno, deve a questo punto, arrestarsi, ma se uno scopo e quindi un merito ha avuto questa mostra e questa edizione, credo debba essere nell’aver suggerito una comune origine culturale, un depositato bagaglio metodologico espressivo, nella ricerca artistica contemporanea nel suo conflittuale insieme.