Un viaggio a Rho nella scultura di Franco Fossa
di Andrea B. Del Guercio
1999
L’attenzione critica rivolta all’opera artistica di Franco Fossa trova personale origine in una prima diretta visita a Rho ed ai due distinti studi dello scultore; vorrei provare a ricordare quel viaggio riproponendolo in questo saggio con quell’insieme di forme scoperte, di osservazioni sugli sviluppi e sui processi estetici e problematici rilevati.
All’immediatezza della conoscenza con i suoi valori di intuizione ed invenzione, di collocazione all’interno di un processo storico ed ancora alle diverse ipotesi sull’attualità e l’incisività del valore espressivo, si aggiunge la particolare suggestione di una percezione delle opere inserite nel loro contesto specifico ambientale; particolarmente per la scultura la collocazione delle opere all’interno dello studio è infatti occasione per un confronto assai più ampio di valori, frammenti e testimonianze di un processo, sempre lungo per specifiche ragioni tecniche, di redazione, di relazioni inedite con diversi elaborati autonomi rispetto alla cronologia ed al gusto estetico. Il primo dei due studi di Franco Fossa visitato in un soleggiato pomeriggio di fine settembre mi introdusse con estrema immediatezza all’interno del processo espressivo inteso sotto forma di lucida globalità di intenzioni e di valori; l’ampio e luminoso sviluppo uniforme dello spazio imponeva un percorso scandito da tappe particolarmente ravvicinate per cui opere di diverse natura formale, materia e datazione si percepivano attraverso un sistema di relazioni accelerato; ad un primo rapido attraversamento in cui la curiosità del nuovo suggerisce una fruizione d’insieme, nel tentativo di rintracciare il seno di un’avventura umana e da qui ad una verità artistica globale, faceva seguito un più attento e filologico percorso di ritorno.
Sul fondo dello studio e forse un po’ in ombra, appartati e temuti con l’autorità della loro antichità sia di data che di origine estetica di riferimento stanno i grandi legni scolpiti da Fossa negli anni ’50; l’impatto mi sposta immediatamente dalla contemporaneità intesa come stagione della modernità verso la testimonianza storica ed all’interno del senso antico del tempo umano; il legno, la patina di una materia viva, predispone con la sua stessa natura antica emozioni subito molto forti, fatte di memoria e di qualità del messaggio popolare, ma non drammatiche perché distolte dall’immediatezza del presente.
Ma mentre mi pongo alla ricerca di un filo di sviluppo estetico conseguenziale con l’intensità ieratica degli antichi legni, imbatto nell’aggressione violenta ed estrema, condotta su chi riceve ma anche espressa come dramma rivolto all’interno, nella presenza di un certo numero di figure animali bestiali; lo stravolgimento espressivo dell’immagine testimonia subito una volontà espressiva tesa verso l’uscita dai rigori della forma e proiettata verso l’esasperazione di essa; un’azione che mi colpisce non tanto per la brutalità del povero soggetto, quanto per il gesto portato sulla materia e per l’energia improvvisamente portata.
Allineate con ordine lungo una mensola come muto pubblico di una memoria antica, che ha perduto i dettagli e conservato solo l’emozione ed il frammento di un’espressione, ho assistito alla successione espressiva delle teste e dei ritratti nati alla fine degli anni ’60; sono volti che il ricordo ha solo accarezzato con delicatezza, evitando sottolineature e durezze, strappi ed aggressività; volti che non parlano, che osservano da molto lontano tutto il muovere di una realtà di cui si disinteressano; la mia osservazione fu inevitabilmente attenta a questo ciclo fatto di rari e minimi spostamenti della superficie e della materia plastica .
Al centro del grande studio, prendendo possesso di gran parte dello spazio con le soluzione plastico architettoniche più rigorose, sono costretto ad un confronto, nuovo sul piano delle percezione della scultura, con una serie di manufatti caratterizzati dall’impianto forte della struttura; i nuovi volumi dal forte carattere di invasione dello spazio determinano la progressiva scomparsa di una consolidata centralità del soggetto, sia nella descrizione figurata che nell’analisi geometrica, costringevano ad una osservazione `archeologica’ di quanto in essi si racchiude e trova esistenza e sviluppo.
1 `Contenitori e Passaggi’, prima anfratti sofferti degli anni ’70, poi `Scatole’ degli anni ’80 caratterizzate dai volumi architettonici al cui interno la vita in essi sembra ridursi, creavano attraverso l’inevitabile dislocazione ravvicinata e spesso in sovrapposizione e contaminazione la significativa sensazione di una realtà urbana articolata ed organica, al cui interno potevo circolare per rilevare nuove realtà estetico spaziali e contesti espressi di valore esistenziale dai chiari contorni sociali.
Quel valore di città che risultava dalla collocazione d’insieme dei singoli volumi plastici veniva completamente ribaltato attraverso la scelta espressiva di questi ultimi anni per la superficie piatta dei `Piani’ che ancora la lettura d’insieme sottolineava portandomi ad immaginare un’unica opera con i connotati di un’ampia spiaggia.
Giunto con questo mio primo percorso all’ultima produzione di Fossa ed ancora incuriosito con il desiderio di approfondire le diverse ragioni di una natura espressiva sicuramente interessante, forse di fronte alla manifestata esigenza di approfondire ogni distinto passaggio estetico accoglievo l’invito dello scultore di soffermarmi sulla prima stagione artistica, quella caratterizzata dai primi grandi legni, recandomi in visita ad un precedente studio in cui ancora erano depositate le sue prime opere.
La nuova tappa della mia visita presentava alcune giovanili sculture in legno ed in gesso, anche di grandi dimensioni, immerse in un clima ambientale del tutto diverso dalle asetticità della maturità artistica precedentemente osservate; quei valori formali testimoni di culture ed esperienze popolari in cui vige un’intensità espressiva in un’immobilità primitiva che riconoscevamo nei grandi legni degli anni ’50 appaiono qui confermate e sottolineate attraverso l’interazione con un habitat ricco di testimonianze dirette della vita quotidiana.
Anche l’antico studio rappresenta il tassello significativo ed utile per meglio e più direttamente comprendere la nascita e gli sviluppi di un’esperienza creativa nata sullo stretto rapporto tra arte vita, un rapporto mai scisso da Fossa e perseguito con il rigore di una sensibile coscienza critica.
Fossa: “La cruda realtà della guerra ha portato gli intellettuali a sondare vari aspetti dell’esistenza dell’uomo.
Posso dire senza ombra di dubbio che il realismo dei films del dopo guerra abbia interessato una generazione di giovani artisti. Così è successo per quanto concerne il `realismo esistenziale’ tramite i concetti filosofici espressi da Sartre, Brecht,…
In questo ambito storico filosofico ha avuto inizio la mia formazione artistica in cui l’uomo nella sua essenza viene considerato un pianeta da esplorare.”
Premessa per un saggio dedicato alla scultura di Franco Fossa.
È del tutto inevitabile ed aggiungerei indispensabile che dall’incontro tra due generazioni distanti quali quelle di Franco Fossa e di chi scrive nascano soluzioni di giudizio e di valutazione utili ad un riesame non solo di una specifica avventura artistica ma anche del suo inserimento all’interno del giudizio storico artistico.
La lettura dell’antologia critica dedicata all’opera plastica di Franco Fossa lungo quest’ultimo mezzo secolo appare infatti oggi forzatamente e sproporzionatamente orientata all’interno di una generale tendenza figurativa caratterizzata da un esasperato impegno sociale; ora ritengo che se quel sistema di giudizio presentava ragioni storiche per la sua definizione ed in parte anche riscontri con il patrimonio artistico per la sua affermazione, oggi necessita una sostanziale revisione attenta a recuperare di quel patrimonio espressivo valori e qualità sottostimate e particolarmente riconoscibili entro dell’opera stessa, all’origine di caratterizzazioni linguistiche, di scelte tecnico materiche e prassi significative per interessi narrativi che si rinnovano sistematicamente lungo l’esistere.
Non voglio per l’opera di Fossa disconoscere l’impegno espressivo dedicato alla condizione umana, agli aspetti più umiliati ed offesi ma scoprire che intorno a questa condizione, all’origine di essa e parallelamente con il suo sviluppo si collocano altri principi e nuovi valori.
Non si tratta oggi di cancellare giudizi che attengono ad un realismo estetico e ad un impegno sociale anche spesso esasperato ed in grado di avvolgere ed annettere indiscriminatamente forme ed espressioni estetiche ma orientarli su fattori e proporzioni specifiche; d’altra parte abbiamo oggi un quadro della storia della scultura figurativa assai più preciso per ciò che riguarda i suoi effettivi sviluppi ed in particolar modo appare sostanzialmente ed amaramente stravolto gran parte di quell’iniziale giudizio `politico’ sostituito in maniera dichiarata da un generale, lento accomodamento espressivo su una cultura di citazione, di un arretramento rispetto alle tensioni espressionistiche e da una predilezione a favore di soluzioni estetiche di accomodamento al gusto e ad un accademismo di ritorno.
A questa storia più recente e `disimpegnata’ che ha minato dall’interno la validità,pure importante, di un pensiero critico `impegnato’, Franco Fossa non ha aderito né si è uniformato; le ragioni sono da rintracciare in un’autonomia espressiva che includeva in se stessa altri valori culturali.
Fossa: ‘La scultura oggi non si identifica nella `statuaria’. Sta sparendo l’uso del modello (uomo e donna) nelle Accademie di Belle Arti. Con questo non voglio affermare che non si debba considerare la figura umana. Occorre cambiare punto di vista; non più la statua come elemento essenziale per fare scultura’.
Non la statua per la statua, ma l’ambiente nel quale la figura o figure liberamente sostano o si muovono. Lo spazio inteso come luogo di vita, di sosta, di attesa, di speranza.”
Dai legni e dalle ‘Figure’ del 1957/60 alle Bestie’ in gesso del 1960/66
Il primo ciclo di opere redatto da Franco Fossa co impiego significativo del legno assume un ruolo ch deve essere ritenuto particolarmente importante pe i valori specificatamente espressi ma anche per 1 tracce profonde che dovremmo percepire lungo l’in tero sviluppo creativo dello scultore; il ciclo dei le gni ha peso, cioè attraverso la memoria in evoluzio ne di quei primi valori formali, ma soprattutto sott forma di patrimonio culturale e per ragioni di un ra dicamento interiore su ogni nuovo passaggio lingui stico e tematico.
Ciò che colpisce in particolar modo per assumer un valore non semplicemente tecnico ma pi profondo è l’approccio del giovane scultore al legnc un’atto linguistico che agisce sotto forma di grand concentrazione alla luce del sistema linguistico c incidenza .
La produzione dell’opera, come prassi manifesta ap pare più nitidamente l’effettivo frutto di un sistem estetico segnico di definizione della materia che 1’e l fettiva descrizione del soggetto figurato; la ricono scibilità del reale nella figura dalle sembianze uma ne o animali, appare sicuramente la conclusione d una serie di passaggi che hanno un proprio specifi co peso estetico ed una valenza culturale testimo niata nel suo radicamento nell’interiorità di Fossa. La superficie scandita con la costante e perseverant forza di una subbia che asporta materia per costrui te un esteso tessuto uniforme animato dai segreti ri svolti dell’unità plastica è testimone di una pras_< espressiva che lavora sul suo stesso esistere lingui stico, su un travaglio interiore nella definizione del la propria essenza tattile e visiva; un processo espressivo che il giovane Franco Fossa ha subito intuito ed elaborato sul piano delle intenzioni teoriche attraverso il riesame attento dall’esasperazione metodologica dei valori linguistici perseguiti da Medardo Rosso e da Brancusi, rintracciati in Picasso e in Giacometti.
Il raggiungimento di alcuni straordinari risultati da osservare particolarmente nella `Figura’ del ’58, nell”Angelo’ e nei `Tre filosofi’ del ’59, nelle diverse redazioni del `Cane’ tra il ’57 e il ’60, hanno in realtà alle spalle, con valore di affascinazione profonda ed avvolgente condizione emozionale, l’essenza di un patrimonio culturale, visivo e letterario, e di esperienza popolare atemporale distribuito oltre le specificità archeologiche più colte; dalla lettura di questi grandi monoliti lignei ritengo ancora in essi stessi possibile rintracciare la dichiarazione di un rapporto con la memoria in cui si rispecchiano i fantasmi persistenti di un antropomorfismo antropologico testimoniato dalla storia della scultura.
II nuovo ciclo di sculture prodotto lungo la prima metà degli anni ’60, caratterizzato dall’introduzione manipolatoria del gesso, viene dedicato da Franco Fossa ad una trasformazione del cane in senso decisamente organico; l’azione espressiva sembra esprimere improvvisa una nuova materialità plastica, fisicamente prorompente ed informe, ma anche in questo nuovo passaggio, duro e violento per una ricezione estetica normale, lo scultore ci sottopone i risultati difficili di scelte espressive in cui l’espressionismo non è il risultato indotto della materia e della forma ma la condizione linguistica della realtà plastica stessa, del suo essere in movimento tra la vita e la memoria, tra il ricordo e il pensiero del presente.
Violenza ed aggressività, rifiuto e riluttanza, paura e disamore sembrano essere valori che Fossa, estrae direttamente senza descrivere, dall’interno segreto della materia, dal concetto di massa quale accumulo di energia; è l’azione linguistica dell’arte ad individuare e riconoscere lo spirito antico del nucleo d’argilla, di quel segreto che muove le cose tra la vita e la morte, tra un inizio e una fine ed un nuovo inizio, lungo il cammino della storia.
Fossa: “Sono stati i primi modelli che ho avuto a disposizione durante la frequenza all’Accademía di Brera e gli anni successivi.
Questi primi soggetti mi hanno dato lo spunto per proporre plasticamente le `bestie’ intese come simboli della violenza, dell’esasperazione, del male.
Ho tentato di comunicare tutto questo con una modellazione aspra, concitata. Debbo dire che c’è stata una vera lotta tra me e il soggetto sul quale lavoravo, una lotta psicofisica. “
Le ‘Teste e ritratti’ nel decennio 1962/1972
Si deve subito sottolineare e ben valutare che il ciclo dedicato da Fossa al volto ed alla testa non risulta in nessun modo caratterizzato dalla volontà di corrispondere ad un’anatomia nella quale si riconosce storicamente la potenziale maggior fonte di espressività presente nel soggetto umano; ancora l’utilizzo del gesso ed in alcuni casi nella traduzione definitiva del bronzo indicano la particolare esigenza di Fossa di ricercare altri valori rispetto alla descrizione e alla stessa interpretazione.
Rispetto alla precedente fase di esasperazione espressionistica, nel significato più ampiamente riferito al valore concettuale insito nella vita della materia, l’operazione espressiva condotta in questo ciclo si qualifica attraverso un’azione in dissoluzione e mimetizzazione dei valori estremi con predilezione per una nuova condizione, direi ancora aformale, dello stato della materia plastica quale valore della realtà.
È ancora nell’unità del volume plastico, nella sua ritrovata compattezza, scomparse le ferite ed ogni altro valore, che lo scultore tenta e raggiunge la ricerca di un requisito estetico formale determinato dalla pacatezza e dall’uniformità; si tratta di un Fossa nuovamente attratto dalla condizione antica della staticità e dalla forza che persiste oltre l’immediatezza per farsi verità in un procedere espressivo per 1 astrazione in cui la testa ci rappresenta l’effettiva immagine del volume ed il volto la natura della superficie.
Fossa: “Il disegno è una annotazione; diverse annotazioni formano lo studio, il quale non si conclude mai in modo assoluto perché mancano non una sola cosa, ma diverse cose.”
Contenitori e passaggi’ degli anni ’70 e le ‘Scatole’ degli anni ’80
Gli anni ’70 rappresentano per l’arte di Franco Fossa l’avvio di una stagione di ricerche nuove sul piano generale della prassi espressiva e quindi il conseguimento di risultati importanti attraverso l’abbandono dell’indagine sulla materia, sulla staticità e il movimento, il volume e la superficie, e l’introduzione dello spazio, successivamente del vuoto.
Si tratta di un percorso che ha inizio nel ’69 con l’introduzione, forse dettata dalla necessità di giungere alla conoscenza di quella materia esterna ancora la materia alla centralità del soggetto umano, dell’architettura plastica; prima è il `loculo’ e il `tunnel’ a captare l’attenzione dello scultore per le strette relazioni con i particolari valori tattili del volume e della superficie, ma è presto un sistema scatolare a farsi spazio con elementi formali rigorosamente spaziali in grado di contenere prima le `Teste’ e quindi l’uomo. Se del ciclo dedicato al volto si è sottolineata la natura linguistico sperimentale di quell’azione espressiva, della presenza nuova dell’uomo si dovranno individuare le ragioni di un’operazione in cui la descrittività ha funzione ancora di esasperazione delle funzioni creative; l’uomo di Fossa è in realtà solo lo strumento grottesco di tutta una ricerca dedicata lungo quest’ultimo ventennio ai valori di una scultura che, abbandonato il segreto del volume, osserva ed indaga l’articolazione della superficie, la stabilità della parete ed il movimento nello spazio ed infine raggiunge il vuoto.
Non si dirà qui di solitudine e spaesamento, di coercizione attraverso gli strumenti dell’habitat, ma si dovrà osservare il processo di minimalizzazione della scultura in bronzo e in ferro di Fossa, del volume e quindi della superficie, dove la seconda introduce autonomamente, attraverso la natura geometrica, l’estensione e l’inclinazione del piano, la piegatura dell’angolo e lo sviluppo della parete, la definizione dei vuoti, delle prospettive che si aprono e che delimitano, che organizzano ed articolano; il soggetto di questa nuova indagine creativa, focalizzato sullo spazio, appare ancora la scultura stessa, con la sua diversa natura, atta ad ospitare diversi soggetti (umani), ma soprattutto un’infinita organizzazione di se stessa, cioè del vuoto che le dà la ragione di esistere.
Fossa: “Il primo ambiente con figure è nato da una sensazione dedotta dalla presenza dei miei genitori in una stanza.
Ho avuto la sensazione che lo spazio dilatandosi allontanasse ognuno di loro con i propri ricordi.
Nasce così il problema della solitudine: una solitudine dettata dal rapporto dei personaggi con un determinato spazio e la presenza di mobili scarni ed essenziali, quali la sedia, la panchina, il tavolo.
Con ciò ha avuto inizio la serie degli ambienti domestici, poi quelli inerenti la vita collettiva: la metropolitana, l’ufficio postale, il supermercato, ecc.
Questi ultimi lavori sono il frutto di riflessioni scaturite dalla frequenza di questi luoghi. Ho notato che l’identità del singolo sparisce: l’uomo in questo caso è una entità numerica.”
I ‘Piani’ di questi anni
Il titolo affidato da Fossa alle più recenti ricerche conferma l’area di pensiero e l’indirizzo estetico in cui da tempo e con grande attenzione si muove; mi riferisco ad una visione della scultura che concentra la sua attenzione sul vuoto, che sceglie di perdere la centralità monolitica dell’opera per acquisire l’essenza di un rapporto con la staticità dello spazio, con la sua immobilità appena solcata; la scultura di Fossa, quale frutto di un lavoro analitico di riduzione e minimalizzazione dei dati plastico volumetrici, appare
oggi rappresentata dalla sola concezione della superficie, per essere il piano stesso. Di fronte al conseguimento di questi ultimi risulti espressivi, ad uno sviluppi qualificato della carica sperimentale nella concezione estetico linguistica della scultura, ritengo che Fossa si possa porre di fronte al suo mestiere, ricongiungendosi sul piano teorico ed intimamente ideale a quel territorio culturale da cui era partito e che si raccoglieva nei primi `legni’; i’piani’ di oggi, seppur formalmente così diverse, raccolgono in se stesse, attraverso il dato della staticità e della stabilità, del radicamento massimo in quanto porzione effettiva di suolo un’espressività infine auto dichiarante; è nello `spazio della superficie’ che Fossa ha rintracciato ancora il senso di una scultura nuova ma dalle radici antiche e nella cui azione `rivelata’ sta interamente il grande segreto dell’interpretazione del reale.
Fossa: “Nei casi in cui non vengono considerate le pareti e gli ostacoli, l’uomo è presente con la sua desolazione. Lo spazio sembra continuare oltre la delimitazione della superficie, accentuando così il senso della solitudine. Il protagonista si presenta in attesa di un evento. Come nella realtà non tutto è negativo, in alcuni casi ecco l’uomo avanzare verso uno spiraglio: uno spiraglio di vita, di speranza.”