Carlo Guaita: Sculture e Disegni
di Andrea B. Del Guercio
1984
Mi sia permesso riprendere dall’intervento introduttivo alla Mostra di Carlo Guaita dello scorso gennaio di Vanni Scheiwiller dove si riporta, secondo un vizio diffuso della critica italiana, una riduttiva lettura della situazione creativa fiorentina, sulla quale, d’altra parte, pesa negativamente, cioè con perdita di contrattualità, una condizione che coinvolge le diverse componenti del sistema dell’arte, l’inospitalità espositiva cittadina lontana da una strategia e pratica fondata su principi e metodologie aggiornate.
Sebbene ancora attenda di essere scritta e soprattutto esposta correttamente la storia e le diverse sue soluzioni nate e sviluppatesi a Firenze ed in Toscana, essa annovera, con fatti specifici e d’insieme, le diverse tappe susseguitesi in questo dopo guerra: dai movimenti realistici a quelli della figurazione critica, dalla ricerca astratta alle giovani esperienze informali e progettuali degli anni ’70, ed oggi vive un livello di creatività sicuramente vivace, sostenuto in particolar modo da un contesto generazionale nuovo, solidamente formato e correttamente auto responsabile, ed all’interno del quale si pone con autonomo spazio Carlo Guaita.
Ora seguendo Carlo Guaita lungo l’arco decisivo di quest’ultimo anno ho riconosciuto e stimato profondamente un autore concentratissimo sul tentativo di messa a fuoco, tra le allettanti stimolazioni offerte dal paesaggio visivo recente e contemporaneo, di una strategia espressiva il cui luogo prospettico era la ricerca della condizione primaria o storia oggettiva di un materiale scelto e selezionato con valore simbolico, la lamiera ed il tondino di ferro, di un’epoca industriale, forse già caratterizzatosi di umori archeologici rispetto alla svolta elettronica della nostra storia contemporanea, e con questi umori intendendo operare sulla sua solidità simbolico culturale, sul suo depositato valore e significato collettivo.
Ora se agli inizi la ricerca si caratterizzava per un formulario linguistico ironico e de retoricizzante dei principi della scultura monumentale, ciò ha permesso a Guaita soprattutto il conseguimento di un’esperienza tecnica dai dati di fruizione immediata, di manipolazione libera da imperativi estetici narrativi e quindi l’apprendimento delle proprietà interne al materiale e del valore di segnalazione del colore riportato; la lamiera e soprattutto il tondino vivacemente dipinto prendevano, sensibilmente alleggeriti della loro naturale composizione, il ruolo del gioco, la via dell’aria e delle onde della musica.
Ma questa prima stagione espressiva vitalistica ed ironica, importante sul piano tecnicolinguistico, ha subito progressivamente una chiara responsabilizzazione con soluzioni sempre meno di racconto e di esteriorizzazione del contenuto interno all’opera materiale ed all’operare la manipolazione espressiva l’attività di Carlo Guaita si indirizza oggi sulla oggettualizzazione della vita interna dell’opera, in particolare delle sue possibilità e natura tecnica e quindi ponendo le basi per il conseguimento ed acquisizione dell’intimo linguaggio, racchiuso segretamente all’interno, stimolato dalla minima trasgressione, il taglio, e dalla manipolazione, la curvatura.
« La pittura si basa sul fatto che esiste ciò che può essere visto. È veramente un oggetto. Ogni dipinto è un oggetto e tutti quelli che entrano in relazione con esso, devono porsi di fronte al carattere oggettuale delle sue azioni ». F. Stella
La citazione oltre al valore di raccordo culturale emblematizzato ci può aiutare nella lettura di ogni singola opera di Carlo Guaita dove la materia industriale, la lastra di ferro, viene perfettamente rispettata nella sua superficie ed esaltata dal nero uniforme e profondo; le piegature ed i tagli inferti non seguono motivazioni narrative, né ironiche, né dettate da tragiche emozioni, né teorizzazioni estetiche, ma valgono come stimolazioni, depersonalizzate della retorica creativa, per ipotesi segnico segnaletiche a cui il colore porta il suo oggettivo contributo di sottolineatura visiva.
II tondino non ha più ruolo di equilibrio compositivo, perde le caratteristiche decorative per conseguire valore progettuale diversificato; ora funzionale, cioè d’appoggio, ora di stimolazione, cioè di cucitura e penetrazione.
Con queste soluzioni tecnico espressive raggiunte, diverse da quelle analitico costruttive del primo Uncini e di Carrino, ma che pure a queste esperienze, e su un piano metodologicamehte più vasto ai vari Staccioli, Guarneri, Napoleone, Conte, a queste esperienze comunque va ricollegato e rispetto ad esse osservato. Guaita mi sembra pronto ad affrontare i temi ampi della commissione pubblica, dell’intervento nello spazio collettivo che solo è sede di verifica e di esaltazione delle qualità e possibilità nascoste in queste sculture con valore ed attributo di progetto. Di fronte alla scarsità assoluta di opere simbolico rappresentative del nostro secolo e della natura industriale della società, il lavoro di indagine di Carlo Guaita, autonomo rispetto all’esaltazione retorica tipica ancora del concetto di monumento, secondo la tradizione ottocentesca, credo si disponga prefettamente a rappresentare una parte, una delle più importanti, del nostro complesso presente.