Raffaele

raffaele

di Andrea B. Del Guercio

Firenze, autunno 1979

Prima di impostare queste pagine di prefazione al lavoro di Raffaele ed anzi trovando in questo una significativa provocazione ad intervenire con qualche proposta critica ge­nerale correttiva e diversamente prospettica, più che ripetere secondo un percorso tra­dizionalmente definito un’analisi di storicizzazione, di un dibattito, la cui solo parziale apertura e svolgimento mi sembra sottolinei gravemente una situazione diffusa di stal­lo, sia nell’area dell’elaborazione artistica sia nel settore della critica d’arte, appunto quest’ultima impegnata in un lavoro di storicizzazione, finalmente divenuta timorosa, quando è seria e fedele al suo sviluppo, ed è un avvenimento assai raro tra gli operatori più giovani riconosciuta la carenza di qualifica specifica in materia storico artistica di fronte al duro passaggio del decennio ’70, visto il carico di illustri vittime, e di improvvisi eroi, mentre i .più, privi di qualsiasi pudore e serietà professionale operano re­visioni acritiche con l’obbiettivo fisso che « Ciò che conta è tentare di imporre una nuo­va moda e vivacchiarci sopra per qualche anno », usando le giuste parole di Flavio Caroli. Non è qui interessante ricordare le tappe con il tono ora lamentoso ora esaltato, a seconda delle decisioni del ‘ fato ‘, quelle famose per i ‘ numi ‘ e striscianti per i ` delfi­ni ‘ che hanno portato a questa degenerata situazione mentre è più utile constatare nella figura del ` fato ‘ un melange di diversi poteri, da quello delle spartizioni partiti­che, che è cosa ben diversa dalle differenze di orientamento politico e scielte ideologi­che, a quello dei personalismi elettoralistici nelle Amministrazioni dello Stato, e soprat­tutto, nella luce stabile dei condizionamenti socio politici, il potere della grande in­dustria culturale, Case Editrici, Quotidiani e Settimanali, Radio e Televisioni Pri­vate; tutti organi interessati, tra diversità e contraddizioni, ad una programmazione di mode culturali, espositive ed editoriali, caratterizzate dal sensazionale e sconvolgen­te tramite l’uso dei grandi mezzi di comunicazione che con i tempi accelerati di produzione e consumazione minano la qualità reale del dibattito culturale, dell’elaborazione teorica, della produzione artistica e quindi di una ricezione riflessiva e qualificata. Aggiungiamo in questa situazione di passaggio dalle mode ` progettuali ‘, ma non pro­ponendo assolutamente una reazione che aprioristicamente neghi la presenza qualifica­ta delle esperienze di ‘ immagine tecnologica ‘, ‘ spazio ambientale ‘, ` concettualismo ‘, anche la crisi di ricerca tra gli operatori dopo le certezze del passato, così che per al­cuni si tenta, con capziosa attenzione quanto scarsità di risultati, l’espediente pittorico dei ‘ d’apres ‘, secondo una ambigua riqualificazione culturale generale e specifica degli strumenti ` tradizionali ‘ dell’attività artistica, fino a poco tempo fa denigrati come inat­tuali, ed ancora una proposta tra le altre priva di coscienza storica dialettica e memoria culturale critica.
Rispetto a tutto questo ed anche alle incertezze del futuro prossimo si rende indispen­sabile arginare e contrastare la ancora diffusa cultura del ` bluff ‘ e dello ` schok ‘, come volgarizzazione interessata del messaggio duchampiano e dell’analisi benjaminiana, e l’uso, in questa prospettiva pericoloso e negativo della complessa macchina dei mass media. Altro esempio di questo spirito valga la mostra bolognese « Ars Combinatoria » per il suo ridicolo spirito giocoso e fragilità culturale che accomuna e spegne le auto­nomie creative dei partecipanti, tra i quali, di Tadini non bastano, i raffinati intellettua­lismi e di Pozzati gli ottocenteschi pensieri notturni, per risolverne le sorti, quelle sorti già compromesse, ritengo coscientemente, dall’esclusione di Gastone Novelli, padre idea.. le di quel consesso, con il suo bagaglio quotidiano di tensioni culturali e drammi esístenziali: « Le divagazioni sono il rifugio dell’anima. La ragione non basta certamente a tenere lontana e incatenata la violenza del caos, con tutti i suoi terrori, i polipi, Dionise squartato e divorato dalle ninfe, la crudeltà, degli Eroi ».
Il discorso, per farsi più concreto può ben passare e con una nuova attualità attraverso il lavoro qui documentato di Raffaele soprattutto se osservato nella prospettiva di rico­struzione del concetto di esperienza, umana culturale artistica, ampiamente sconvolta e depauperata come abbiamo detto in certa produzione artistica dell’ultimo decennio.
Riconduco sul campo teorico della riconquista del significato di esperienza alcuni passi importanti di Walter Benjamin, non a caso espressi nel saggio « Surrealismo » del 1929, sul quale l’Autore si pone criticamente verso alcuni atteggiamenti troppo spesso solo scioccanti a livello superficiale ma si dimostra interessato alle proposte di interdiscipli­narietà nella comunicazione artistica: « noi riusciamo invece a penetrare il mistero solo nella misura in cui lo ritroviamo nella vita quotidiana, grazie ad un’ottica dialettica che riconosce il quotidiano come impenetrabile, l’impenetrabile come quotidiano… Leggere, pensare, attendere, passeggiare, sono forme di illuminazione non meno del consumo di oppio, del sogno, dell’ebrezza. E sono forme più profane. Per tacere di quella più terri­bile droga (noi stessi) che prendiamo in solitudine ».
Per rispondere a Sanguineti che interveniva su questo argomento, circa il `valore positi­vo’ stimato per il `quotidiano’ (giornalistico) riportiamo il pensiero dello stesso Benja­min sull’argomento, ma di possibile allargamento sull’area generale dei moderni stru­menti di informazione: « …rende il pubblico incapace di giudicare, di suggerirgli un comportamento irresponsabile e disinformato »; e una risposta ad Agamben che sull’ar­gomento avanzava la proposta, nella scia del pensiero di Adorno, di una ` dialettica im­mobile ‘ con i rischi di una relatività disarmata cioè non dialettica secondo i prin­cipi aperti del materialismo storico e solo recuperabile in questa luce con la particolare sfera della proustiana ` memoria involontaria ‘.
Allora i termini di osservazione del quotidiano e delle sue sfere segrete deve sottinten­dere a livello delle esperienze artistiche ad una partecipazione oltre che emotiva an­che operativa nel significato di ricerca concreta nella sfera oggettuale dell’artistico, rispettando i suggerimenti di un passato culturale, morale politico estetico, che poi di­venta metodo di lavoro e di esistenza, per ritornare, attraverso la memoria involontaria, tra le componenti di coordinazione specifica nel tutto racchiuso dell’Opera.
La ‘dialettica attiva’ trasferita nella vita di tutti i giorni sono per Raffaele le realtà della campagna toscana, sopra Fiesole, l’osservazione minuta e minuziosa della vita delle piante, la cura agricola delle viti e degli ulivi, le attenzioni particolari per gli uccelli allevati in diverse specie e più ultimamente la vita dei pesci raccolti nei fossi di irrigazione e nei piccoli laghi. Un atteggiamento non contemplativo, ma ca­rico di interesse umano ed una partecipazione che lo costringono a doversi ingegnare artigianalmente in mille mansioni per assicurare l’esistenza a tutto il suo zoo; un rap­porto concreto e quotidiano secondo lo spirito di un neo umanesimo, « aperto alle cose sugli uomini, sulla natura, Raffaele è tuttavia un gentile solitario », riassume De Mi­cheli in una acuta e sensibile presentazione del 1975, « Raffaele disegna, alleva vola­tili, costruisce uccellacci metallici, costruisce voliere, dipinge, spia le cornacchie, studia i piccioni, scolpisce piccioni e cornacchie, innaffia i fiori, va in giro per colline a mettere tutto in un quadro non più grande di un fazzoletto: fiori, cornacchie, piccioni, colline, alberi e voliere; e ogni gesto, ogni momento, ogni decisione fluisce dentro lo stesso ritmo di vita dentro la medesima fantasia, con freschezza, candore, perizia, astuzia, gio­co e autenticità » .
Un’attività minimale e continuamente liberatoria, nel significato positivo perché produt­trice di riflessione, un lavoro sul ` ricordo ‘ e in congiunzione con situazioni intime ma so­prattutto articolato su avvenimenti delle realtà sociali massificanti rifiutate con la fanta­sticazione di condizioni `diverse’ di vita, diserzione e regressione dall’eredità culturale opprimente ed a cui si oppongono proposte `alternative’.
Uno spazio personale particolare ed interdisciplinariamente culturale assumono, rispet­to a questo contesto toscano, i viaggi in Asia e nelle due Americhe che riconosciamo traslate in figure ‘ allegoriche ‘ dalla fantasia pittorica di Raffaele come nel « Paesaggio neo tropicale con scultura Gan dhara ». Senza bisogno infatti di una cultura simbolica stereotipata che frequentemente troviamo nella pittura contemporanea, l’artista propone un dialogo mentale e di ricordo con realtà così lontane, attraverso paesaggi, costumi, ar­chitetture come per un racconto di E.M. Marquez in un rapporto per niente forzato ma esaltato in uno spirito di ampia ed unitaria quotidianità. E questo è un altro importante contributo di Raffaele alla nostra discussione sulla linearità incisiva della comunicazione pittorica e scultorea, secondo un atteggiamento sdrammatizzante e di scre­ditamento di tensioni auratiche per favorire la concentrazione ricettiva ed uno spirito di trattenuto edonismo di ricordo dechirichiano, nel « Paesaggio neo tropicale con scultura Gan dhara » oppure « Campagna toscana con giocattolo cinese », di fine umo­rismo culturale nella congiunzione mentale di realtà lontane, in « A. Morandi e Malcon Lowry », poi a momenti di più spiccato lirismo per i paesaggi dell’inverno to­scano, « Paesaggio toscano con autobus abbandonato » ed in altri momenti, soprattut­to nei primi quadri, come « Notturno con idolo della pittura », frequentati da un ani­mato spirito rintracciabile in certa pittura e miniatura tedesca, medievale e fiamminga, Bochs soprattutto ma un altro riferimento potrebbe essere Rousseau, con quei numerosi animali che escono attoniti da una natura magica e segreta come in certe condizioni del « Settimo Sigillo » di Bergman.
In uno spirito ed in un’atmosfera comune vanno osservate le sculture, uccelli e pesci, gufi, trote e lucci voraci, rappresentati stravolti rispetto al modello reale, ma ancora ri­proposteci accanto ad una dichiarata sorta di piacere del momento creativo, artigianale, con l’integra naturalezza e semplicità che il quotidiano studiarle promuoveva; ed infat­ti sotto questi raffinatissimi oggetti non è difficile rilevare, senza preoccupazioni specifi­che o preconcetti intellettualistici, i più diversi spunti alla riflessione come suggeriva­mo all’inizio con la citazione di Benjamin.
L’esperienza minima e quotidiana di Raffaele entra attraverso i diversi strumenti della comunicazione visiva, pittura e scultura ma anche disegno e stampa, ed adesso anche so­nora con l’incisione di un nastro, nella così detta cultura alta e non solo con l’inte­rezza ` volgare’. dei suoi argomenti ma anche con la raffinata qualità oggettuale delle sue opere; il più coscienzioso dipingere, secondo la proverbiale attenzione dei fiammin­ghi, ed anche la manualità artigianale delle sculture riflettenti la sua esperienza quo­tidiana, sconvolge drasticamente dall’interno questa definizione di frattura, estetica tra Cultura Alta e bassa, artistica tra Arti Maggiori e minori. Raffaele ripropone così l’im­portanza e il valore determinante di una concreta operatività, il livello tecnico­manuale, nella concretizzazione di un’idea in un’opera, attraverso gli schemi della co­municazione visiva che nel caso di Raffaele si propone con un messaggio specifico, quello ecologico e della natura nel suo insieme ed il colloquio con essa, ed uno più am­pio, quello culturale e metodologicamente del tutto nuovo, ed entrambi attuali per le esi­genze dell’uomo. Un lavoro che così mi appare metodologicamente importante per i ric­chi spazi e le diverse aree tematiche di riflessione.
Il gusto del far bene nasce oltre che dal dato familiare, essendo figlio di Xavier Bueno e nipote di Antonio Bueno, due pittori che hanno sempre dimostrato eccezionale co­scienza del loro mestiere, proprio dall’attenzione e dall’osservazione diretta e partecipata del mondo naturale, della vita degli animali e delle regole precise che in essa sancisco­no l’esistenza e facendolo avversario di approssimazioni intellettuali e tecniche che al­l’inizio del nostro discorso avevamo denunciato. Dobbiamo dare atto a Raffaele che questi lavori documentano ampiamente, nella duplice e complessiva riunione dei livelli di contenuto e forma, sulla significanza articolata del messaggio, sulla metodologia del­l’intervento e non ultimo sulla sua raggiunta professionalità. Una professionalità posta alla base della ricerca di contenuti importanti ma che lo conducono anche ad auto defi­nirsi naive, secondo la volontà polemica di contestare anche la diffusa volgarizzazione denigratoria e populistica del termine su argomenti appunto così rilevanti. Alle conclu­sioni vorrei accomunare con Raffaele anche due altri operatori, Giuseppe Gattuso e Gio­vanni Ragusa, perché con al loro autonoma personalità ma in un connubio di interessi, seppure frequentemente posti ai margini dell’ufficialità, conducono con notevole atten­zione e da anni una qualificata battaglia culturale di rinnovamento dell’ambiente artisti­co fiorentino e che ritengo ormai da riconoscere come una valida proposta per la nuova ricerca artistica italiana.