Nello spazio della superficie

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di Andrea B. Del Guercio

1989

Una nuova mostra e quindi un nuovo volume dedicato ad un’area espressiva che con difficoltà continuiamo a definire ‘scultura’ e di essa ne individuiamo e ne indaghiamo un settore con specifici caratteri racchiusi in un titolo articolato e complesso: Nello spazio della superficie.

Già in altre iniziative espositive ed editoriali* abbiamo analizzato la natura contemporanea del termine scultura*, ancora utile con il suo valore di unificazione di diverse forze e di tensioni interne; un termine che ha visto nella sua lunga storia mutare significati che apparivano consolidati ed acquisiti, e di cui si è osservato un rinnovamento costante attraverso tutte le stagioni culturali dell’ uomo nella continua evoluzione degli stili, delle forme e degli usi, dei ruoli e delle funzioni per la committenza e nella ricezione. Rare iniziative espositive a carattere di revisione storica hanno dimostrato e posto in evidenza il radicale rinnovamento subito dalla scultura in questo secolo lungo un percorso costruito per tappe con valore e ruolo di approfondimenti espressivi sicuramente specifici per diverso settore, area e componente.
Complesso sarebbe ricordare tutti i passaggi ed anche solo i più determinanti per la comprensione esatta di una materia con una storia tanto antica ma che oggi appare del tutto nuova; certamente il superamento di antiche frontiere e separazioni tra i diversi generi, quali pittura, scultura e, non ultima, architettura, ci permette di riconoscere spazi nuovi ed illimitati per volontà espressive proiettate sulla più ampia interferenza tra le sopra indicate componenti.
Un clima che in questi ultimi decenni si può ritenere a carattere diffusamente ‘progettuale’ intendendo anche detto termine all’interno di un percorso che muove tra sperimentazione ed analisi di settori specifici, fino a proporsi integralmente ed apertamente con caratteri determinati dal contributo di realtà esterne il supporto consolidati da interferenze della struttura pittorica, della scultura dipinta motivati da una funzione attiva la funzione d’uso.
L’esposizione che questo volume documenta, relativo allo stato oggettivo del luogo e delle diverse opere che vi si installano, vuole essere una ulteriore tappa in questo percorso critico ed espressivo teso alla migliore e più qualificante interpretazione della scultura contemporanea.
Ogni sala viene ad essere abitata da presenze plastiche precise, caratterizzate da grande linearità ed incisività, così come all’esterno, sul piazzale antistante,il viale e le colline subito prospicenti, ricevono nuovi segni rispettosi ma tangibili. In questo contesto ambientale, naturale ed architettonico, è venuta a maturazione la scelta per un titolo che avrebbe raccolto le opere plastiche e pittoriche che presentano i caratteri diversi della linea, della superficie, dello spazio, del segno, del segnale…
Si trattava cioè di costruire un percorso espositivo a carattere aperto e di grande respiro, cioè non raccolto ne’ racchiuso all’interno del ‘blocco’, contenitore di verità e segreti; la superficie diventa spazio per la scrittura, per 1′ accumulo dei segni, luogo della progettazione ideale e tangibile, delle proposte civili e della sperimentazione formale e tecnica di supporto.
Lo spazio risulta quindi indagato e reinventato tanto che la frequentazione del fruitore ne segue ogni asperità ed intralcio. L’impaginazione della Mostra, che le immagini fotografiche di Claudio Bartolucci ben documentano, intende forzare ogni opera verso quei caratteri diffusamente ‘progettuali’ che sono propri della storia recente della scultura, con le sue particolari caratteristiche di insistente ricerca e sperimentazione, di comunicazione verso 1′ interno dei suoi linguaggi e nella ricezione estema.Si dovrebbero quindi ripercorrere le tappe salienti che muovono dalle Avanguardie Storiche ma in questa sede mi sembra sufficiente indicare una particolare relazione con due grandi aree espressivo problematiche che hanno caratterizzato gli anni ’60 e gli anni ’70.
In primo luogo intendo ricordare il complesso di studi e di proposte avanzate da singoli scultori italiani e relativi al recupero del rapporto tra lo scultore e 1′ architetto, tra la scultura e la città, quello che volgarmente e superficialmente usa essere definito ‘arredo urbano’.
La presenza di Pietro Consagra con cinque maquettes ci ricollega immediatamente al suo progetto per una “Città frontale”; problematiche civili riconfermate da Arnaldo Pomodoro con il grande plastico in bronzo dedicato al nuovo cimitero di Urbino. Questa sezione con valore emblematico sottolinea con chiarezza una nitida tendenza al recupero di rapporto tra f attività dello scultore con quella del progettista; la scultura torna cioè ad essere intesa per le sue competenze ben più ampie di quelle racchiuse nell’ oggetto tridimensionale posto al centro di una realtà preesistente; una direzione espressiva che muove le sue competenze e quindi le sue responsabilità verso ipotesi architettoniche ed urbanistiche.
La progettazione tende cioè a farsi carico di più ampi confini culturali e sociali sui quali svolgere un ruolo qualificante e caratterizzante attraverso la ‘funzione d’uso’ individuale e collettiva. Nel caso specifico si dovrà ricordare la volontà di Pietro Consagra di conseguire una immagine globale della sua elaborazione plastica che ha come punto di riferimento la città: “La città per uno scultore è una emozione plastica della vita, è una fantasia realizzabile e ambigua oltre 1′ opera d’arte. La città per 1′ artista è un rischio moralistico che deve essere inteso come una nuova responsabilità.”. I complessi problemi, che queste poche frasi di Consagra segnalano, assumono particolari valori all’ interno di questa mostra e suggeriscono numerose riflessioni.
La frontalità nega la verticalità totemica a cui 1′ era moderna ci ha abituato. La linearità di una superficie piana ed ampia deve essere intesa per il suo valore di proposta che non esclude, anzi ne propone la più ampia crescita, una distribuzione longitudinale dei volumi. Le maquettes assumono quindi valore segnaletico oltre alle qualità estetiche comunque espresse.
In questo clima si è già ricordato della presenza di Arnaldo Pomodoro con un ‘progetto’ profondamente civile, che opera su i valori più antichi e costanti nella storia dell’ uomo. Intorno al “Progetto per il nuovo cimitero di Urbino ampio è stato il dibattito e la dura polemica; in questa sede ci interessa contemporaneamente risottolineare le responsabilità per una grave mancanza progettuale dimostrata dagli organi locali e nazionali competenti, ma soprattutto ricordare ancora le ampie possibilità espressive, ricche dei più ampi risvolti e responsabilità riconoscibili in una nuova valutazione dell’ attività scultorea.
Il cimitero come spazio ritagliato nella superficie collinare viene a perdere tutti i connotati retorici accumulatisi in questi ultimi secoli, riconquistando la serietà e severità di interpretazione di un atto naturale della vita. Il plastico con la patinatura del bronzo, relatrice delle componenti strutturali del nuovo cimitero e te componenti naturali collinari, relaziona la qualità e 1′ importanza del progetto.
Dati di progettazione si pongono alla base dell’ “Architettura stellare” di Diego Esposito; si tratta di un’ ulteriore presenza di maturazione civile dell’ arte contemporanea e dell’ esigenza per alcuni artisti di affrontare contemporaneamente problematiche collettive ed esigenze espressive. Il plastico propostoci si presenta anch’ esso con dati di estensione e severa linearità sul piano d’appoggio; architetture delicatissime si distendono più che innalzarsi sulla linea dell’ orizzonte; architetture per una fruizione e per una percezione sensibilissima. Emblematicamente le opere di Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro e Diego Esposito rilevano f attenzione non casuale ma perseguita logicamente di grammatiche espressive interessate allo spazio e quindi alle ampie superfici.
La componente’progettuale’che caratterizza le grammatiche visive contemporanee è dichiaratamente ed apertamente espressa lungo il percorso espositivo; alla monumentale centralità della tradizione plastica, al segreto racchiuso, enigmatico, nel blocco, si sostituisce un moto espressivo proiettato verso l’esterno, si articola cioè tra componenti e sistemi diversi, conflittualmente coordinati, fino a conseguire mobilità e spinte eversive, esplosioni di tensione. Elaborati a carattere lineare, architetture in estensione, ampie e distese superfici interagiscono con lo spazio, a sua volta carico di segni e di tracce, precario ed in precario equilibrio. Crescente risulta quindi il carattere di ‘installazione’ nelle esigenze dell’ opera per la sua migliore fruizione; linearità, estensione della superficie, spazi in ribaltamento per nuove architetture si pongono alla base costitutiva dei diversi ed autonomi interventi espressivi.
Le qualità dei dati di supporto e la realizzazione di opere monumentali è uno dei temi che hanno caratterizzato i miei interessi critici e progetti espositivi di questi anni; qualità del ferro, tracce in esso inscritte dal tempo e patinature, punti di fusione, sgrammaticature delle saldature, rientrano orchestrate nella migliore cultura contemporanea della scultura ed in questa sede espositiva sono tutti dati evidenti nella severa crocifissione di Igino Legnaghi, masaccesca con il suo peso pieno radicato al terreno; anche per Pino Spagnulo si tratta di una struttura caratterizzata da una superficie ampia e di grande respiro, di per sé ed autonomamente forte nella proiezione sul paesaggio collinare che riceve esaltazione da una struttura contemporaneamente qualificata dal ruolo di base e natura ricevente di quel segno tangibile che sovrasta il tutto. Alla ricerca da anni di esasperate tensioni della più qualificata vivacità ed energia racchiusa nel ferro in forma di ampie lastre, si colloca f intervento di Pietro Coletta; la “Meridiana” per Monteciccardo nasce fisicamente sul luogo, sia per la relazione stretta con il sito di installazione ma anche per contributo di energie e di forza che elementi strutturali dell’ architettura infliggono alla piastra, schermo di comunicazione, attraverso quei travi sui quali si reggeva f antico tetto del Convento.
Aggressività come termine qualificato dalla forza è riscontrabile nelle grandi “Prue” che Gabriele Giorgi installa e proietta dall’ esterno contro la cinta del contenitore espositivo. Prue in movimento, lanciate in un ennesimo moto violento, che si articolano e dialogano tra di loro rinforzandosi vicendevolmente; sono elementi strutturali antichi 1a cui pelle è segnata e incisa per restare definitivamente sul crinale di questa collina. A poca distanza, al centro dell’ ampio piazzale d’ ingresso, trova collocazione definitiva “Proiettata” di Christian Cassar. Si tratta di un lavoro complesso nel quale 1′ elemento strutturale in ferro gioca un ruolo che ancora una volta ha carattere di sostegno forte anche in una condizione di precario equilibrio; alla pietra che avevamo già riconosciuto in “Case del vento” si aggiunge e si articola il legno architettato e strutturato. “Proiettata” conferma di Cassar una natura espressiva forte portata al limite del rischio e della conflittualità attraverso 1′ interferenza tra movimento, direzione, ribaltamento, proiezione e di supporti materiali diversi, culturalmente antichi, il legno e la pietra. Alla forza, alla tensione, risponde la leggerezza intensa, la mobilità bilanciata della “Materana” di Carlo Lorenzetti; i tre elementi che compongono 1′ opera interagiscono con 1′ attraversamento della superficie di piano ed in elevazione verso la volta. I tre elementi di “Materana” dialogano perfettamente con lo spazio architettonico ma segnalano anche una naturale aspirazione verso il paesaggio ventoso delle Marche. Ancora in elevazione si pone la “Scala” di Antonio Lo Pinto. La struttura architettonica predisposta si propone con i caratteri di una fine ironia per una improbabile funzione d’uso; la superficie è ampia ed estesa sbocconcellata sul lato più ampio da piccoli scalini che in proiezione verso 1′ alto tendono a rimpicciolirsi; si tratta così di una presenza architettonica dai caratteri formali forti taglienti ed incisivi ma anche delicata ed ironica, metafisica nella proiezione paesaggistica.
Il paesaggio sostituisce la superficie di tante lastre di ferro per ospitare il filiforme segno disegno di Eliseo Mattiacci. Ci troviamo di fronte ad una installazione nata in relazione al luogo, il poggio di proprietà del signor Piobbici, subito sovrastante il Convento; Mattiacci che conosce bene questa sua terra vi si è portato, lui artista forte e possente anche nei linguaggi formalmente e strutturalmente articolati, con grande delicatezza per cui il tondino di ferro ha seguito la mano ed il braccio rotanti nell’ atto del disegno:

INSTALLAZIONE, POGGIO PIOBBICI MONTECICCARDO Pesaro
IDEA PER SCULTURA SEMOVENTE

Eliseo Mattiacci

Come se per incanto si trovasse la sintesi
e si risolvesse da sola.
Come la ruota che, avviata da un tocco,
continua a girare ascoltandosi.
Come un segno di energia che si libera nell’aria:
concepire uno spazio nello spazio.
L’intuizione indica il luogo che l’accoglie,
il punto dove l’ eco si rivela oracolo e
il rabdomante scopre la propria fluidità.

Nel percorso espositivo così severo, che la scultura con i suoi colori scuri sottolinea pesantemente si aprono, a tratti, le camere dipinte di Riccardo Guameri, di Gianfranco Pardi e di Franco londa. Ancora la superficie che viene analizzata ed indagata, che viene progettata per grandi e spessorate aree monocrome, strutturalmente rinforzate da presenze materiche per Franco londa. Si installano così pareti di colore con valori segnico segnaletici su una costruzione modulare e quindi forti nel paesaggio plastico della mostra. La progettazione di una superficie osservata ed esplosa per piani diversi che si articolano, fino a raggiungere macchinarie architetture, sono le costruzioni di Gianfranco Pardi; superfici pittoriche quindi a carattere progettuale per quelle filiformi sculture che da queste nascono per installarsi nello spazio. Luminose e classiche paiono le pagine di Riccardo Guarneri; ancora architetture in forma di ampie tarsie marmoree rinascimentali quali utili sedi della comunicazione e della narrazione poetica; paesaggi della memoria, emozioni e ricordi posti all’interno di grandi impaginazioni progettuali.
L’elemento segnico, la volontà di scrittura, l’incisione della superficie caratterizzano 1′ installazione della ‘lingua’ gialla di Giò Pomodoro. L’opera è del ’64 ed è accompagnata dal suo disegno preparatorio; si tratta di un elemento lineare mosso da quelle morbidezze dal movimento sinuoso tanto simile a questo paesaggio marchigiano; la barra di colore attraversa trasversalmente 1′ ampia sala con un intenso valore segnico, mentre sul piano estetico risulta un’importante anticipazione progettuale. Sinuosità e morbidezze sensuali riconfermate da un ulteriore punto nelle luminosità del bronzo.
Una volontà segnico progettuale anche per Loreno Sguanci, per le sue enigmatiche pale lignee; queste trovano sede in un locale oscuro che annulla nel fondo i valori cromatici del legno per cui tracce, segni di una planimetria estesa, affiorano incisivi tra sottolineature rare del rosso, grazie ad una luce radente. La luce appare in espansione, preziosa e magica grazie alle superfici in rame per i tre tavoli metafisici di Lello Lopez; tavoli bassi, piantati al terreno grazie ad una struttura forte e severa, in un impianto romanico a cui le preziosità militari del rame in forma di armatura introducono ed aggiungono suggestioni medioevali.
Ancora preziosità ricondotte nel linguaggio di Anna Mari attraverso 1’impiego del marmo in forma di triplice sfaccettatura del diamante; all’interno della semplice qualità della sede sacra la colonna si installa introducendo ulteriori umori sacrali. Segni antichi, per tutti i popoli che hanno costruito la loro storia sulla pietra ed in particolar modo sul granito, sono emblematicamente espressi nell’ installazione della “Costellazione Pisces” di Antonio Paradiso.
Nel cortile cinquecentesco accanto alla “Meridiana”, accanto al pozzo del “Belvedere”, due opere che già instaurano un dialogo con quella superficie che è la volta celeste, le scaglie di granito di Antonio Paradiso vengono a sottolineare una comunione di intenti relazionandosi alle luminosità stellari.
All’ antichità del granito risponde 1′ interrelazione degli elementi strutturali del ferro e del cemento della moderna epoca industriale con la “Struttura” architettonica di Giuseppe Uncini; moduli severi contrapposti alla leggerezza in verticalità sbarrano e concludono il percorso espositivo con la riconferma e la forte sottolineatura di umori metafisici anche nelle materie e nelle architetture più forti.
Anche in questo caso espositivo ed in questa edizione è quanto mai d’ obbligo risalire con la memoria critica alla mostra che Giovanni Carendente riuscì ad impostare per la città di Spoleto nel 1962.
Una iniziativa che mise 1′ Italia, intesa per quegli anni, attraverso un pubblico selezionato in ragione di una sede appartata e quindi di fronte alla critica d’arte che andava maturando in quella stagione, in relazione ai problemi contemporanei della ricerca in campo plastico attraverso grandi maestri ed alcune proposte; di quella iniziativa ritengo di particolare significato quella fase che definiamo di produzione diretta di grandi opere monumentali per la specifica occasione espositiva.
Si trattò indubbiamente di una esperienza straordinaria in quanto parte delle opere venivano ad essere collocate dopo essere state prodotte all’interno degli impianti siderurgici dell’Italsider. Questo particolare aspetto che sfuggì alla attenzione della critica d’ arte italiana degli anni successivi, distrattamente disseminatrice di mostre a carattere temporaneo e che quindi risultarono prive di determinante progetta zione, ebbene quell’ aspetto è tornato a segnalare la sua attualità nei diversi progetti espositivi che sono venuto tracciando in questo decennio. A partire dagli anni ’80 osservai 1′ importanza fondamentale per tutte le componenti coinvolte nel settore dell’arte e della scultura, in particolar modo per 1′ arte contemporanea, di tentare in ogni occasione soluzioni espositive a carattere permanente, cioè di collocazione stabile dell’ opera nella sede prescelta.
In questi anni quindi hanno trovato installazione alcuni monumenti caratterizzati in maniera autonoma e diversa per funzione d’uso e per valore estetico qualificato dalle interferenze con il tessuto architettonico ed urbanistico posto nei dintorni.
Per poter dare continuità a tale sforzo indispensabile per un migliore paesaggio urbano e per offrire contemporaneamente occasione di verifica, confronto e maturazione a quelle diverse aree di sperimenta zione linguistica proposta dalle più diverse generazioni artistiche, è stato messo a fuoco e predisposto un progetto ‘scultura’ che comprende proposte espressive, critiche e tecnico organizzative.

Progetto scultura

La sezione in oggetto rientra in quel clima di valutazioni critiche a carattere generale indicate nella introduzione e dedicate in particolar modo ai termini antichi e nuovi di scultura e monumento.
Si tratta della prima presentazione ufficiale di un articolato progetto con il quale vengono individuate opere atte alla collocazione in area urbana e quindi vengono indicate soluzioni utili alla risoluzione delle fasi della produzione.
In occasione della Mostra ‘Nello spazio della superficie’, ma nel quadro di un più ampio progetto Borderline per Monteciccardo, hanno trovato occasione di positiva collocazione tre monumenti realizzati e consolidati sul posto, nell’area espositiva del Convento dedicati ai Serviti di Maria, tre opere a carattere monumentale realizzate grazie al contributo attivo di forze economiche locali e che si vengono a sommare ad altre precedentemente prodotte: mi riferisco agli interventi di Hidetoshi Nagasawa, Christian Cassar, Renzogallo, Gabriele Giorgi e Gerard Minkoff.
Le dieci maquettes e gli studi preparatori indicano la volontà di operare in questa direzione e vengono predisposti per una effettiva realizzazione nel quadro di prossime iniziative espositive a carattere permanente, per parte di esse.
Sul piano produttivo novità qualificante è la verifica, per ogni area geografica, di quelle realtà industriali che operano direttamente sulla materia prima che assume per 1′ artista ruolo di dato materiale di supporto; non si tratterà quindi di un’ auto promozione costosa ed ingombrante da parte dell’ autore, ne’ di una committenza tradizionalmente intesa, ma di una produzione che vede la partecipazione dell’artista in fase progettuale, dell’Ente locale per la sfera delle sue responsabilità di collocazione e di progresso civile e delle realtà economiche o società industriali nella fase di realizzazione e quindi copertura dei costi effettivi di produzione.
Le maquettes ed i progetti di Cassar, Coletta, Contreras, Giorgi, Goldoni, Ionda, Lopez, Lo Pinto,Mussini, Tornincasa e Vici presentano nelle rispettive autonomie estetiche e caratterizzazioni d’uso tutti i dati per una produzione semplificata e comunque con caratteri di intensa ricezione; proposte che seguono una grammatica formale di tipo modulare, quindi con una riduzione delle soluzioni tecniche d’impiego ed altre che si caratterizzano per progettualità dichiaratamente esplicita, qualificata da un uso mobile delle proprietà espressive del dato di supporto, sono in grado nel loro insieme di qualificare una serie di interventi pubblici in parte già programmati ed altri in via di definizione.
La città di Alatri, in provincia di Frosinone, ha attivato la produzione di almeno quattro opere monumentali che troveranno sede permanente nel tessuto urbano a partire dal prossimo mese di settembre; altre ipotesi similari sono in via di definizione per le città di Firenze, Reggio Emilia e Bolzano.

Sezione fotografica

Questa sezione propone succintamente e quindi con valore indicativo per un più profondo ripensamento di quanto sopra indicato, due autori cecoslovacchi che in condizioni sicuramente non facili propongono una serie di interventi plastici di grande qualità ed intensità espressiva; si tratta della produzione di grandi progetti plastici caratterizzati, pur nelle autonome differenze, da funzione d’ uso e comunque dal coinvolgimento e dalla partecipazione pubblica. Si avverte sicuramente una radicata tradizione scultorea fondata sul legno, sul ferro e sulla terra, cioè su tre componenti antiche e moderne per la storia dell’ arte; ma su tutto questo si inserisce una creatività lucidamente informata per quelle che sono le esigenze estetiche contemporanee e la sensibilità collettiva.

Jiri Beranek

Ho conosciuto Beranek in un pomeriggio freddo e nebbioso e con lui ho girovagato per i campi che circondano una casa bassa arredata da mobili scultura, alla ricerca di architetture disseminate nella campagna. La distanza tra le diverse installazioni e la leggera nebbia permetteva una fruizione particolarmente intensa, a tratti drammatica e comunque in un costante clima di sospensione e di tragedia, per un avvenimento drammatico da tempo trascorso; l’organizzazione di ogni opera risulta frantumata per cui il fruitore finisce per frequentare fisicamente ed abitarne i diversi brani.

Kurt Gebauer

Documentiamo in questa sede una grande piazza per la città operaia di Ostrava. Le immagini fotografiche documentano un percorso plastico caratterizzato da diverse aree con autonome funzioni, individuabili attraverso elementi strutturali, ora a funzione ludica, ora di sosta e di riposo.
Si tratta sicuramente di un intervento perfettamente radicato nella realtà sociale, come 1′ uso di particolari materiali del paesaggio quotidiano.

Note:

“Scultura ed arredo urbano” Esposizione internaz. maquettes e progetti
“Galleria Comunale d’Arte Moderna Forte dei Marmi 1982
“Astrazione” Studio Castalia 1986
“Astrazione italiana contemporanea” Biennale di Alatri Essegi Edizioni 1986
“Scultori ai giardini” Biennale di Venezia 1988 Fabbri Editori
“Borderland” Reggio Emilia Musei Civici 1989