Mauro Marcenaro

marcenaro

di Andrea B. Del Guercio

Ricordo bene i quadri di questa mostra e raccolti in questo volume, e ne ricordo soprattutto la loro collo­cazione che in grande numero invadeva, quasi per disseminazione, corridoi e stanze di quell’ex padiglione dell’Ospedale Psi­chiatrico di Quarto destinato a stu­di d’artista e progressivamente ad vitale laboratorio d’arte e terapia. Fu Claudio Costa, straordinario ed indimenticabile animatore di un’esperienza complessa e articolata sul rapporto tra l’esperienza dell’arte e i diversi livelli patologici delle malattie mentali, che mi in­trodusse, in occasione di una delle mie visite a quel laboratorio e poi alle successive attività espositive e museali, e mi mise in rapporto con l’attività degli artisti che con lui collaboravano, e fra questi con generosità Mauro Marcenaro, e che avevano accolto il suo invito, su­perando difficoltà diverse, logistiche e psicologiche, frequentare operativamente quella realtà complessa, intrinsecamente dolorosa, ma anche proiettata verso nuove esperienze.
Ed è all’interno, intrinsecamente radicato con il clima esperenziale che vi si respirava, di cui si viveva uno stato indimenticabile di straniamento e separatezza dalla realtà e della nostra normalità individuale e col­lettiva che si abbandonava, che si perdeva volonta­riamente di là dal grande cancello d’ingresso, ancora presidiato, per poi inoltrare la nostra diversa volontà tra cortili e corridoi ancora avvolti dagli odori inconfon­dibili di tutte le cucine, delle colonie e delle carceri, degli ospedali, dei conventi e delle scuole, affacciandoci dalle vetrate dei grandi padiglioni, all’interno sano nate tante splendide tele, bandiere e porte, testate di letti e finestre, di Mauro Marcenaro, e lì, ancor oggi, avrem­mo amato tornare a vederle per meglio capirle.
Grandi tele e numerosi supporti di diversa natura, oggetti e tante piccole cornici, ex-voto e fotografie, raccolte nel grande contenitore della diversità e che si distribuivano in uno stato di accumulo e di sovrap­produzione nello studio affidato a Marcenaro; il lavo­ro mi apparve in quel primo incontro dettato da uno stato di partecipazione emotiva fortemente collegata alle particolari condizioni ambientali, alla inevitabile fre­quentazione non solo di un clima storico di sofferenza e dolore, ma anche di una popolazione di degenti e di ospiti, di medici e di studenti; Marcenaro reagiva a quel clima ed a quelle forti sollecitazioni con una serie di tentativi costanti di compenetrazione e partecipazione, ne cercava, quasi ne inseguiva i caratteri, sia quelli estremi che quelli più segreti e impalpabili, ed attraverso la pittura dava corpo alla ‘bellezza’ di quell’avventura; Claudio Costa osservava con attenzione quell’acceso stato di partecipazione, e quella stessa mattina mi espresse sia le preoccupazioni per la du­rezza psicologica dell’esperienza ma anche sottolineò quanto nell’insieme il percorso intrapreso fosse importante per i risultati espressivi e teorici che si andavano configurando.
La produzione di grandi lavori, la scelta di operare attraverso la confluenza linguistica del colore e del segno, la collaborazione espressiva tra la pittura ed il collage, l’interferenza tra la superficie ed il sistema degli oggetti, era già al mio arrivo molto avanzata e ne rimasi fortemente colpito; il percorso di ricerca e di elaborazione indicava un’artista fortemente impegnato in una stagione irrefrenabile, sulla quale pensai che non si doveva intervenire con ipotesi di valutazione e sistemi di giudizio; allora stimai ed espressi a Mar­cenaro la necessità di concentrare e non disperdere quell’energia, suggerivo cioè un orientamento opera­tivo sulla redazione di una produzione caratterizza­ta dal dato dell’accanimento, dell’immersione e dello sprofondamento, dell’implosione in un magma che si sarebbe auto-elaborato e definito e rivoltato al suo interno; si trattava di evitare fughe in avanti, proiezione alla scoperta dei nuovo, ma speravo in un’azione di lavoro sull’immobilità nella centralità della materia esistenziale. Ogni pagina doveva essere, e divenne con grande qualità espressiva, sempre la stessa pagina, l’immagine essere il giorno uguale a se stesso, il ritratto nello specchio che si ripete, la minestra nel piatto di ogni giorno, la mela di ogni stagione.
Alcuni anni dopo una di quelle grandi pagine di pit­tura-collage-scrittura-immagine, mi fu avventurosamente consegnata e donata da Marcenaro entran­do a far parte attivamente della mia casa e quindi della quotidianità della mia famiglia; realizzata su un supporto semirigido, l’opera si qualifica attraverso un’ampia distesa di un verde prato, solcato da segni di forza, qualificato dalla tattilità delle sabbie, carat­terizzato dalla forza evocativa di un’immagine sacro­devozionale.
Di quella stagione violenta e dura, di quei processi espressivi inarrestabili, l’opera rimaneva solo in parte memoria, e nel suo valore estetico, nella sua natura di opera d’arte, ne va diluendo le tracce più evidenti, ne rimargina le ferite per acquisire il suo giusto valore di pittura; la bella pagina di “verde” con l’immaginetta cristiana ha oggi il sentore d un “reperto” dell’esistere nella quotidianità, dove lo stato di dolore si placa e si smussa nello sviluppo inarrestabile del tempo, fino a farsi materia uniforme del tempo e quindi, lungo questo percorso di digestione, che definiamo maturità, espri­mersi nell’abbandono, nel naufragare nella serenità.
Tornare ad osservare oggi I tanti risultati espressivi di quella stagione, le decine di opere in mostra, un vo­lume che le raccoglie lungo un processo di fruizione che sembra ancora inarrestabile, mi suggerisce intervenire in questa sede attraverso la messa in evi­denza dei valori forti della produzione, della quantità, e della ripetibilità.
Ogni singolo lavoro di Marcenaro rappresenta infatti il risultato concluso su se stesso di uno stato di energia e di passione, di emozione dichiarata e comunicata, di un messaggio ricevuto e acquisito, di una notizia vissuta; ogni opera è uno scatto sulla stessa notizia, rappresenta lo stesso accaduto distribuito lungo lo sviluppo del tempo e nell’arco determinato di una stagione dell’esperienza esistenziale, La sovrappro­duzione di opere appare simile e corrispondente alla quantità immodificabile dei secondi rispetto alle ore, degli anni di fronte ai secoli, ed è nel suo processo di sviluppo che ha origine l’acquisizione di qualità per sprofondamento, per accanimento; un procedere che affina ogni passaggio ed ogni frammento, che amalgama. e diluisce per raggiungere i migliori risul­tati.
Nella ripetibilità del gesto e del frammento, dell’intero procedere pittorico e della sua corretta gestione, si conferma il senso della ricerca condotta e dello stato di allarmate verità nella ricezione di ogni suggestione ambientale, ed ancora con essa si lega il senso dell’autenticità interiore, della compenetrazione e dello scambio con l’esperienza diversa del prossimo, quel diverso tanto simile a noi da essere fratelli.
Di fronte al caleidoscopio di quella stagione assu­me particolare significato il tema nella ripetizione della centralità del modulo iconografico a cui si collega con valore di sottolineatura specifica attraverso la presenza di un’immagine incorniciata; ogni singolo lavo­ro, diverso per forma e per colore, autonomamente caratterizzato da un’attribuzione particolare di fram­mento, in realtà contiene e rappresenta Il fotogramma unico di quella che fu un’unica storia animata da tante giornate.
È all’interno di questo percorso di bellezza, fatto da energia e produzione, costruito attraverso la ripeti­zione e la centralità, che si svela il valore di sot­tolineatura, di concentrazione sulla sensibilità e sulla partecipazione, attribuito da Mercenari alla stabile presenza iconografica che l’immagine aggiunta, del debole soggetto incorniciato, al frammento di realtà e soprattutto al reperto tratto dal patrimonio di immagini sacre; immagini devozionali, già appartenute alla litur­gia della preghiera, che, di fronte all’esperienza della vita se ne fanno interpreti e compagne.