Heinrich Nicolaus
di Andrea B. Del Guercio
Firenze, 15 maggio 1986
Nei confronti della stagione neo pittorica ’75/’85 la mia attenzione critica non si è caratterizzata da acritico entusiasmo, secondo la diffusa conseguenza da visioni schematico consumistiche dei linguaggi artisticovisivi, ma si è subito indirizzata verso il significato complessivo di «costume creativo»; questa precisa scelta interpretativa era collegata all’osservazione di un nuovo fenomeno espressivo, da più parte anticipato ancora in anni di severa progettualità, caratterizzato sin dalle sue origini in forme di rinnovamento complessivo ed unitario del paesaggio creativo e di tutte le sue grammatiche da parte delle nuove generazioni internazionali. Non era possibile ritenere questa rivoluzione legata ad un ristretto collettivo di ricerca e sperimentazione e quindi non competevano specifici giudizi di valore, ma verificare le sue migliori qualità nel diffondersi prorompente e nel proliferare disarticolato di esigenze espressive.
L’attenzione critica fu quindi particolarmente rivolta nei riguardi di una carica vitalistica, corale fino a giungere a condizione collettiva di creatività, mentre raro risultò l’interesse per singole individualità e nei rari casi assai selezionato.
Mentre sul piano complessivo i linguaggi visivi e fondamentalmente pittorici, per altro mai scomparsi, ricevevano un chiaro rinnovamento grazie ad una intensa carica di vitalità espressiva, tale da apparire in rapporto profondo di dipendenza con realtà antropologico concettuali, sul piano strettamente individuale e della singola opera il nomadismo culturale risultava il più delle volte fondato su una prassi decisamente «citazionista».
Ed è su quest’ultimo passaggio che ho sempre osservato la debolezza e scarsità di qualità e valore dell’opera singola; una prassi, quella della «citazione» che non ritengo in nessun caso percorribile in rapporto alla inalienabile «coscienza critica» ormai presente nel «deposito culturale ed artistico contemporaneo» collettivo.
Rispetto alla prima ed originaria propulsione espressiva, vitale e trasgressiva, con valore di precisa e qualificante «inscrizione», andava osservata a livello di singola personalità un netto ridimensionamento su prassi chiaramente «citazionista», subito facilmente riconoscibile e ripetitiva.
Le tre diverse aree espressive, schematizzabili secondo geografie nazionali, l’espressionismo neo barbarico per la Germania, l’arcaismo neo novecentista italiano, il grafitismo post pop di New York, includevano collegialmente un intimo e significativo valore come proliferazione di attività pittoriche collettive, ma contemporaneamente rischiavano una precisa caduta di interesse se osservate in chiave strettamente filologico formale.
Le specificazioni riconoscibili avevano all’origine e nelle personalità più originali un peso indiretto rispetto alla redazione dell’opera ed al di fuori di una progettazione antecedente; l’area geografico culturale di provenienza non deve essere sottolineata come precisa ragione estetica ma come semplice origine ambientale. Il dato formale, la sua riconoscibilità immediata, anche a livello emotivo, spesso corrispondente a contesti culturali depositati a livello di socialità allargata, indiscutibilmente utile sul piano strettamente commerciale in base a perduranti condizioni di protezionismo nazionalistico, non deve quindi pesare od interferire sul giudizio complessivo in quanto realtà casuale rispetto al reale significato dell’opera.
Rispetto a tutto ciò, dal complessivo contesto stimolante ai diffusi rischi individuali di citazione, ho ritenuto arduo estrarre personalità autenticamente stimolanti; l’attività di Heinrich Nicolaus si colloca tra questi rari incontri.
L’attività creativa di quest’ultimo anno ed in questa edizione ampiamente documentata appare caratterizzata da una precisa e nuova esigenza che definirei di pura «tensione psicologica»; ed è subito un clima diverso dal precedente complesso sovrapporsi di emozioni, ricordi, fantasie. Mi sembra cioè possibile osservare una netta svolta rispetto ad un precedente tragitto espressivo chiaramente fondato su scoperte e scelte tematiche che non hanno precise fonti od origini; Nicolaus appariva pienamente coinvolto nel magma delle sue visioni alle quali rifiutava un ordine ed una ipotesi pur lontana di sicurezza.
L’orchestrazione’unica possibile era quella condotta da una crescente maturazione delle specifiche qualità pittoriche.
L’artista appare con questo indispensabile supporto in grado di alimentare l’immaginario paesaggio; favorisce la sovrapposizione delle immagini e dei fantasmi più segreti, ed ancora ombre impalpabili, ed improvvisamente realtà incisivamente affermative; l’orchestrazione è affidata a momenti segnici e di scrittura ed a brani di pittura neo informale di grande qualità.
La pagina pittorica appare, in queste stagioni trascorse, più vicina ad un affresco animato da esistenze diverse ed è in questi casi, non a caso meno apprezzati dal mercato, che hanno più preciso peso le qualità pittoriche di Heinrich Nicolaus.
Dopo questo prolungato impegno caratterizzato da interferenze tematiche e diverse specificazioni linguistiche, assistiamo oggi alla drastica riduzione degli elementi narrativi e dei contributi cromatici con risultati positivamente incisivi.
La condizione espressiva di sintesi, che per altri autori provenienti da una comune area estetica risulta caratterizzata da piattezza ed inespressività, mi sembra in Nicolaus positivamente conseguita grazie a calcolate scelte tecnico espressive e di impaginazione. La presenza in particolar modo di geometrie nettamente contrastate tra il bianco ed il nero sono da ritenere decisive; l’individuazione per ogni opera di ur campo mono cromatico dai confini precisati ed all’interno ricco di una autonoma vitalità, ha il ruolo di inserire emozioni fondate sul concetto di enigma per cui la lettura ne risulta più intensa. Le geometrie assumono forma di oggetto determinante nella configurazione dell’habitat e quindi paesaggio. Il risultato complessivo vive la costante contraddizione di una staticità risultante da una pittura materica e cromaticamente essenzializzata, ed il disequilibrio del suo paesaggio umano ed ambientale; una instabilità diffusa per componenti pure caratterizzate dalla solidità pittorica e formale.
Questo clima articolato dovrà quindi essere interpretato come ricerca di metafisicità; un’ipotesi di lettura quest’ultima che mi suggerisce un emblematico rapporto con l’arte dell’italiano Mario Sironi, esponente autonomo ed enigmatico del Novecento italiano. Introduco questo ideale collegamento tra autori culturalmente tanto distanti in quanto utile ad osservare un comune progressivo superamento dalla condizione tradizionale «di superficie» verso la tridimensionalità della scultura; ritengo infatti che similmente al Maestro italiano, ognuna delle opere recenti di Heinrich Nicolaus sembra suggerire la tipica bloccata staticità del bozzetto preparatorio alla traduzione in marmo o in bronzo; in alcuni casi avvertiamo i dislivelli delle masse tipiche di un alto rilievo ed in altri si giunge al tutto tondo della scultura.
Con queste nuove caratterizzazioni espressive è netto il passaggio dalla originaria condizione di entusiasmante e fisiologica vitalità, verso una creatività sempre più chiaramente orientata sul conseguimento e promozione di una lucida e incisiva «tensione psicologica».
Non si tratta più di una partecipazione recezione sregolata ma di un impegno verso stati d’animo profondi, interiorizzate emozioni costantemente in bilico tra dolore ed ironia di una sorte segnata. Le suggestioni introdotte da una redazione scultorea, con le sue dirette interferenze nella definizione dell’habitat, è utile alla accentuazione di questi nuovi umori.
Quella «tensione psicologica» con la quale aprivo l’osservazione critica dell’attività recente di Nicolaus mi sembra a questo punto confermabile ed è in questa direzione neo analitica che ipotizzo futuri sviluppi.