Ugo Attardi e Sergio Vacchi

di Andrea B. Del Guercio
La realizzazione di questa Mostra, articolata tra espressione pittorica, grafica, tra opere di scultura e spazi progettuali di comunicazione visiva, é il primo personale contributo, umano e culturale, che porto in Ciociaria partendo dall’ospitalità di Anagni dopo che negli ultimi due anni ho indagato con vivace curiosità e sempre più attento interesse le caratteristiche di questa terra, le sue testimonianze antiche ed i conflitti contemporanei, ed a questa oggi mi sento sinceramente legato da vincoli inscindibili.
Sin dagli inizi dei miei corsi di Storia dell’Arte e del Costume e poi incoraggiato dalla lettura delle realtà di questa terra e delle sue diverse città ebbi netta l’impressione di dover portare, in questo reciproco rapporto di scambio, in gran parte favorito e condotto dagli studenti dell’Accademia ed ancora dai loro amici, oltre alle testimonianze culturali ed a citazioni di esperienze della mia Firenze e della Toscana in generale, anche idee di possibili realizzazioni espositive, proposte di indagine e svelamento di fatti presenti e nascosti o dimenticati, ed ancora proposte di più libera e collettiva espressione culturale.
Ad Anagni ho ricevuto sin dalla prima occasione sensazione di un conflitto creativo prodottosi oltre che dall’integrazione sempre difficile e diversa tra stagioni culturali, il Medioevo ed il Rinascimento, testimonianze Romane ed aperture del ’700, anche dalla presenza imposta su un centro urbano di limitate dimensioni di esigenze abitative dal forte valore e significato rappresentativo e status simbolo. Un clima contrastato riconoscibile solo per fare un ideale rapporto con Pienza in Toscana nel cui centro medioevale-popolare troneggiano una cattedrale e due palazzi riportabili insieme per importanza a quelli di Firenze e di Siena.
Questo contrasto e conflitto insanabile tra esigenze e contesti diversi si é arricchito quando alla visita degli spazi della Cattedrale, di Palazzo Morricone ed a quello ora sede dell’Amministrazione Comunale si é pervenuti al Monte Frumentario. Quest’edificio, costruito su tre piani ed un vano ampio del tipo cantina, intelligentemente ristrutturato dalla Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, originariamente adibito a granaio, raccoglie intorno a sé quella prima emozione dialettica per il contrasto non mascherato tra piccolo palazzotto con pretese aristocratiche, funzioni alimentari, per cui non sfugge e si avvalora un rapporto ideale con Orsammichele a Firenze, nato con le stesse funzioni e simile con la nuova destinazione, e luogo deputato oggi alle attività culturali di particolare rilievo.
I conflitti qui vivacemente presenti hanno favorito la scelta, suffragata dell’Assessore Stavole che entusiasticamente ha accompagnato il mio programma; ed gentilmente accolta e promossa dal Comitato di Gestione del Monte Frumentario, per questo spazio nel quale ho potuto verificare anche la forte carica psicologica e la tensione severa che nei suoi ambienti si respira, ed ancora la mancanza, di retorica e di ogni superficiale abbellimento e decorazione. Una serie di luoghi sovrapposti nei quali si agitano percettibilissimi quegli stati di concentrazione psicologica e partecipazione interiore senza dei quali la lettura dell’opera d’arte rimane superficiale ed il suo significato segreto, la sua testimonianza non penetra nella profondità dell’anima del visitatore.
Adesso le sculture di Ugo Attardi ed i quadri di Sergio Vacchi abitano il palazzo, si intersecano dolorosamente nei suoi silenziosi ambienti; un dialogo tra i tempi e gli argomenti, tra le figure diverse dei due Maestri, ed il lettore che si avventura e si bagna e penetra e si fa attivo partecipe di questo dialogo e di questo, tornando alla propria solitudine, conserverà memoria e nuove riflessioni nel dialogo con gli altri.
Il percorso artistico di Attardi come di Vacchi appare proiettato in questa intensa direzione e sin dai rispettivi esordi, realistico ma corretto dalla profondità tragica dell’espressionismo, il primo, il neo-cubista nelle origini cezaniane ed informale il secondo, condotto con l’articolata volontà di estrarre ed esplicare visivamente dal proprio profondo culturale ed umano quel rapporto con la vita fatto contemporaneamente di rivisitazioni storiche, trasferimento attualizzato di letture ed interpretazioni; in entrambi la storia di ieri é storia di oggi ed i timori e le preoccupazioni, gli attimi felici e tenerissimi di amorosa poesia, conflittualmente si trasferiscono e caratterizzano il valore ed il significato degli avvenimenti, dei percorsi individuali e collettivi, carismatici ed universali.
La confluenza da più direzioni di diverse problematiche e da stagioni diverse della storia e dell’avventura umana, la profondità estrema di traduzione in immagini e la coscienza del valore politico, culturale ed umanamente interiore dell’opera esposta sono quei fatti che insieme conducono i due Artisti a svolgere un lavoro programmato per grandi cicli e nella cui articolazione inseguire la vastità del tema e delle emozioni che su di esse si aggregano.
Il collante e l’unità senza ripetizioni di Attardi e Vacchi sta proprio nella volontà di non accontentare la redazione dell’opera di una estrema-estetica né di una ricezione-produzione ma proiettarla nella direzione di non farle perdere assolutamente mai il contatto diretto, pagato e verificato, su gli intimi e segreti sottostrati epidermici e su quel meccanismo emozionale che fa si che gli avvenimenti del passato e della contemporaneità, esplicati attraverso figure carismatiche e per valore simbolico riconoscibili, ed ancora testimonianza di congiunzioni di avvenimenti socio-politici vengano presentati in una costante luce di dolorosa compenetrazione.
Di Ugo Attardi la critica d’arte più qualificata ha lungamente indagato l’opera pittorica e quella grafica ma forse proprio di fronte alle sue sculture si é trovata a dover allargare il peso culturale e la validità ed incidenza metodologica della sua narrazione visiva.
Se nei quadri e nelle incisioni avevamo riconosciuto come positivo il conflitto insanabile tra tensione psicologica, frutto di violenza diretta proveniente più dalla storia e languore delicatissimo, strappato dagli occhi di una donna dopo l’amore, e doloroso come la paura di amanti braccati ed inseguiti dagli incubi della notte; ora la scultura ci porta su uno stato di violenza che pur essendo di più ampia portata assume e riassume significato collettivo, evita la retorica facile della denuncia, annulla l’esplicazione immediata del dolore rallenta affrettate tensioni per cogliere l’essenza silenziosa del dramma, dei piacere, dell’incerto e dell’ambiguo.
Dialogo della solitudine tra i suoi personaggi e tra le sue componenti dove il tempo si é fermato uniformandosi all’aria appestata dei nostri tempi immobili; dai corpi e dai loro gesti una dichiarazione di abnegazione di fronte ai fatti della storia ma anche fierezza e severo contegno ed ancora su tutto stanchezza infinita e silenzioso desiderio di morte. Occhi abbassati e chiusi lungo un percorso che riconosciamo più in una triste processione che in una marcia; lienamenti delicatissimi e sconvolti impietosamente ed aggressivi più per difendere che per attaccare e dell’aggressore la retorica insanabile.
Ecco ad un primo momento violento denunciato con attenzione e senza riduttiva sovraeccitazione si affianca lentamente un clima di silenzio e di solitudine; al timore dell’aggressione storica un bagno nell’oblio dal quale risorge forse come un sole, splendente nel recupero della sua vitalità fisica e intenso nella sua anima calda. I trasferimenti esplicativi di fatti sociali del passato e nuovi nel presente sono quindi da raccogliere non tra la brevità delle citazioni ma nella vastità delle emozioni e sensazioni che queste opere di Ugo Attardi narrano con dolorosa sincerità.
L’incontro di Sergio Vacchi con la realtà è un tema a cui andrebbe dedicata una particolare attenzione perché é forse nella sua risoluzione raccolta il segreto profondo e la vera novità portata da questa pittura.
Ricordo che sin dagli inizi di quel periodo espressivo caratterizzato dal pieno raggiungimento della figurazione, lo stesso Vacchi metteva in guardia i suoi relatori (Loda “momento del Realismo” nel ’59, Crispolti “ricerca di realtà”, Antonio Del Guercio “realismo esistenziale”) definendo la sua pittura “realismo al limite dell’impotenza” escludendo così anche soluzioni di continuità dall’espressionismo tedesco lungo la conflittualità informale che pure aveva irrobustito e offerto coraggio di giudizio nel primissimo periodo di attività.
Ora se i cicli di pittura del decennio ’60 riflettevano l’attenzione per il pensiero marxista come strumento metodologico di analisi e di comprensione di fatti storici e figure simboliche, di incomprensioni culturali e dai risvolti umano-esistenziali, é il caso del ‘Concilio’, ‘Morte di Federico Il di Hohenstaufen’, ‘Galileo Galilei Semper’, ciò permise anche al Maestro di recuperare la storia degli altri alla propria privata avventura di uomo e di intellettuale in una società dove i rischi di una morte per piatta esistenza ed insensate agitazioni sono il dato più pericolosamente stabile.
Ma al momento che entusiastiche certezze rivoluzionarie si inoltravano in una breve quanto immatura primavera, la pittura di Sergio Vacchi colse preveggente della prossima crisi di quelle esperienze dette ed inizio a quel periodo che fino ad oggi ritroviamo segnato di diffuso ‘languore’ e profonda ‘melanconia’; basti ricordare il ciclo “… e se la donna intendesse…”, ma che a momenti rapidi fu anche figurazione tempestosa ed apocalittica; ed é il caso del grande quadro “Del Concavo e del convesso della notte”: qui il lavoro si sviluppa secondo un percorso di ‘affondamento’ nelle origini della Storia dell’Uomo, attraverso gli strati dolorosi della sua condizione di esistenza, nel negativo totalizzante della sua avventura e viaggio; un lavoro in togliere quindi per mettere meglio in evidenza questo stato di primordiale presenza dell’uomo sul Pianeta, sull’ultima spiaggia, ormai abbandonata la Storia, la Storia del Potere.
Adesso Vacchi osserva se stesso, i paesaggi che lo circondano, abita i suoi spazi quotidiani.
