Tarshito e “la cultura sacra dell’arte contemporanea”
di Andrea B. Del Guercio
1. Il complesso materiale iconografico predisposto in questi anni da Tarshito e documentato da questo volume e da quattro grandi esposizioni, deve essere osservato e letto all’interno ed in rapporto di corrispondenza con due grandi linee metodologico-critiche; valori estetici e ragioni culturali si pongono infatti alla base della struttura esplicita di un sistema di opere d’arte in cui il tessuto connettivo è caratterizzato da significativi momenti di intersecazione e di relazione.
Il primo dato sul quale mi sembra utile ed interessante partire è rappresentato dal processo di attenzione, alla luce e sulle radici della fondante natura etnografica ed antropologica dell’arte moderna e contemporanea, che il sistema dell’arte occidentale ha rivolto e rivolge alle culture extraeuropee ed orientali; d’altra parte è utile ricordare quanto sia determinante e presente lungo l’intera storia dell’arte, per piccoli frammenti già in epoca medioevale e con sempre maggiore dichiarazione nelle diverse stagioni dell’arte, l’osservazione e l’interpretazione, l’acquisizione esperenziale delle grandi culture antiche ed etnico-territoriali.
Il secondo dato a cui dobbiamo fare riferimento per capire la portata e le novità dell’operazione espressiva condotta da Tarshito, si colloca nelle specificità del sistema dell’arte, nel tracciato artistico e nella figura di Paul Gauguin quale evidente progenitore; infatti rispetto alle curiosità creative di una lunga stagione dell’arte, matura rapidamente e si consolida lungo il Novecento un’acquisizione di dati non più di citazione ma di manipolazione e di gestione non solo di patrimoni iconografici ma delle tecniche e dei materiali, delle forme in rapporto alle funzioni d’uso ed ai sistemi linguistico-cromatici.
Queste diverse e significative componenti, il patrimonio iconografico ed i sistemi di gestione espressiva articolati e complessi, sono un dato progressivamente presente e sempre più cosciente nella stagione contemporanea dell’arte e della cultura della progettazione, con affermazione analitico-sperimentale negli anni settanta e con spettro specialistico di approfondimento; in questo tracciato, determinato da una propria storia espressiva depositata ma ancora aperta a nuovi approfondimenti, si colloca lo sviluppo dell’opera di Tarshito e raggiunge una particolare maturazione ed una straordinaria qualità caleidoscopica.
Sappiamo bene quante culture e specifiche aree culturali e settori linguistico – visivi, dagli indiani d’america alle infinite variabili cinesi ed ancora verso le popolazioni primitive, gli aborigeni di Africa ed Australia siano presenti nel DNA della cultura contemporanea e negli autori che più significativamente ne hanno tracciato il percorso ed il processo, ma in questa sede espressiva e di catalogazione, si manifesta con grande determinazione un sistema di partecipazione intellettuale ed emotiva, estetica ed etica tra l’artista Tarshito e le culture scoperte e studiate, indagate e verificate nei propri processi creativi, in corrispondenza con una cultura estetica attenta e subito prorompente, analitica ma passionale, che lascia confini certi per gli ampi spazi e l’immensa energia dell’India. L’azione espressiva di Tarshito è quella di un ‘progettista’, già maturato nella crisi etico-critica dell’Architettura Radicale degli anni ’70, ma che si trasforma per affermarsi all’interno della stretta relazione con la cultura dell’arte; l’apporto personale e la sua specificità presenta dati di diversità rispetto alle forme di più netta e fredda matrice concettuale, per andare a porsi all’interno di quel sistema di valori monografici, autonomi e personali, che in Italia appaiono significativamente rappresentati dall’opera di Alighiero Boetti e Luigi Ontani, per geografie culturali ed estetiche consonanti, ed ancora con l’attività di Claudio Costa e di Antonio Paradiso, tra forme e tecniche, depositate nella tradizione popolare e condotte al confronto con patrimonio artistico e culturale occidentale.
I diversi nuclei di opere di Tarshito rispondono con qualità e lucidità progettuale ad un attento equilibrio di interscambio e contaminazione, intersecazione tra aree e patrimoni espressivi e di sensibilità estetica diversi per tradizione e nell’attualità, dove cioè l’una, la cultura antica e popolare, determina l’inizio, apporta i propri valori e quindi influenza con forza e determinazione il manufatto artistico, mentre l’altra, la coscienza critica dell’artista, agisce con assoluto rigore, orienta gli spazi e la struttura, costruisce la gestione del risultato espressivo finale. La vasta produzione che in questi anni operativi si è progressivamente sovrapposta, pur articolandosi all’interno di settori espressivi e cicli tematico-linguistici, dimostra un rapporto di continuità interna, che si tiene lontana dal concetto forviante dello ‘sviluppo’ ma che matura nell’approfondimento attraverso la staticità e la stabilità, nella confluenza condotta nella ricchezza dei valori propri di ogni nuova matrice, iconografica o tecnico espressiva, cromatica o di valenza dalla cultura materiale di un popolo e di una regione.
2. Il mio personale contributo di riflessione sull’opera di Tarshito fa seguito ad un itinerario di studi, di corrispondenze dirette, di processi di indagine e di sistemi critico-espositivi condotti nella molteplicità dello spazio e costanti nel tempo; d’altra parte le consonanze reciproche di interessi e di sistemi progettuali, mi inducono a collocare l’opera di Tarshito nel sistema dell’arte contemporanea ma anche più approfonditamente all’interno di una indagine militante sul concetto di contemporaneità dell’arte, vista quindi e non solo come sistema storico ma come sistema di esperienza.
L’attenzione all’antropologia di cui abbiamo già accennato nelle emblematiche figure poste tra la fine dell’Ottocento e le avanguardie storiche, costituiscono e costruiscono un tessuto ed una ramificazione che va bel oltre l’esperienza espressiva monografica per diventare cultura sociale e costume collettivo; la contemporaneità di Tarshito entra in particolar modo nel concetto di comunicazione della decorazione, della ricerca degli alfabeti visivi, nella produzione degli strumenti e quindi si affaccia e riqualifica le funzioni d’uso all’interno del più ampio patrimonio di una concettualità antropologica dell’arte.
Nella sua figura agiscono esperienze molto diverse che lo rendono autonomo ai grandi antropologi dell’arte contemporanea; se in Claudio Costa l’antropologia era vivere in maniera alchemica la materia e le tecniche, se in Boetti l’atto espressivo era il frutto analitico del pensiero, in Tarshito scoprire le tradizioni, scovare le tecniche, affermare i materiali e i sistemi d’immagine, si afferma un metodo per costituire la stagione contemporanea delle forme espressive appartenenti al patrimonio storico; l’azione espressiva di Tarshito sta nel processo e nell’unità del risultato operativo per poi ancora recuperare il gesto pittorico, interagire con la scrittura per poi andare a trovare sostegno alle proprie idee estetiche negli strumenti musicali e nelle funzioni della quotidianità.
Un clima estetico e culturale che attraversa l’intero Novecento, che preserva la complessità sperimentale delle avanguardie storiche, si caratterizza attraverso l’approfondimento monografico ed il mantenimento di quella attenta e raffinata tensione presente nel vasto patrimonio del Surrealismo. Un ampio territorio al cui interno ancora si agita un ricco movimento di emozioni e di tensioni frutto della scoperta e dell’applicazione responsabile e sensibile alla meraviglia dell’evento espressivo.
Un clima ed un territorio in cui ogni opera di Tarshito, ogni supporto o tecnica, tutto il colore e le funzioni d’uso, rispondono ad una volontà artistica avvolgente che si colloca tra la grande bottega dell’arte e le esperienze globali di oggi, tra le forme di comunicazione antropologica alle aspirazioni etiche della nostra epoca; così il viaggio dell’artista diventa lo spostamento culturale ma anche il moto che ci porta a quella esperienza che si configura nell’opera e dove i sistemi estetici traghettano la nostra sensibilità e la arricchiscono.
Nasce una gran sistema di oggetti, si moltiplicano le piante ed il mondo vegetale, agiscono tanti e diversi animali a rappresentare il sistema iconografico presente nell’intera produzione di Tarshito; le grandi anfore, gli alberi e le tartarughe con i pesci e le tigri sono il paesaggio intriso di magia, abitato dai “Guerrieri d’amore” che si impongono alla nostra presenza quali pietre angolari di un tracciato che impone al cammino una deviazione verso il ‘bene’, mentre gli strumenti musicali ed i grandi tavoli sono presenze dell’uomo inteso nelle sue forme di individualità spirituale e di condivisione.
3. Questo volume si pone in stretta relazione con un più ampio progetto espositivo articolato su tre distinte sedi, ma soprattutto cerca di riorganizzare e rileggere sotto lo specifico sistema dell’arte contemporanea un’avventura espressiva condotta da Tarshito tra pittura, scultura e grandi installazioni.
Attraverso il volume e nelle tre sedi espositive di Trani, di Como e di Milano, si è cercato di operare la riorganizzazione iconografica ed il confronto ambientale di tutta una produzione scandita da articolati valori tematici e formali, da tecniche e da processi diversi di fruizione; se già osserviamo le ipotesi di allestimento troveremo quanto i Grandi Vasi, pur nella natura compositiva a ‘frammento’ si impongano sullo spazio rigoroso e laico dell’architettura del Castello di Trani andando a dare senso abitativo e di frequentazione; le sale di una pittura forte nel segno e nella scrittura, accesa dal colore ed i cortili della scultura policroma tornano luoghi animati dalla tensione metafisica delle immagini fino a destabilizzare i sistemi logici della percezione. A Como nell’ex chiesa di San Francesco il luogo sacro torna a produrre ed a vivere una intensa esperienza spirituale seppure caratterizzata da diversi patrimoni iconografici e funzioni liturgiche; si afferma nella grande aula un evento in cui le opere si fanno testimoni attive di una religiosità dai confini ampi, tesa a coinvolgere e ad allargare la percezione e la partecipazione individuale, intima e personale. A Milano nella Facoltà Teologica, tra i due grandi Chiostri, gli ampi corridoi e lo scalone barocco, l’opera di Tarshito, la pittura ed i grandi vasi, l’istallazione delle miniature è in grado di esaltare i valori di immersione nell’antropologia del sacro; la disposizione espositiva si distribuisce policroma e plastica nello spazio andando ad ‘infiammare’ la profondità del rapporto tra arte e teologia, arte e liturgia, arte e religiosità popolare.
L’attenzione al confronto tra l’opera e lo spazio è un dato caratterizzante della mia ricerca e del mio lavoro critico e si qualifica attraverso un’ottica di allestimento determinata da un percorso esperenziale in regress, con valore cioè di attualità e presenza delle origini antropologiche, della creatività e della stessa fruizione; il volume ed il ciclo di grandi mostre dedicate a Tarshito pongono d’altra parte e con forza domande importanti attraverso il raffinato sistema di valori di estetico-concettuali propri di una natura antropologica ed etnografica del fare artistico.
Una vasta produzione ci ha già indotto a segnalare con valore costitutivo l’esperienza nell’architettura, in particolar modo dell’Achitettura Radicale testimoniata e caratterizzante nell’antologia critica, per poi allargare i confini espressivi alle relazioni ed alle interferenze tra arte ed architettura, tra produzione e funzione, nelle origini e nel presente, tra valori etici ed esistenziali.
Tutta l’opera di Tarshito deve quindi essere osservata in questa ottica allargata e all’interno di un sistema espressivo che ha cercato sin dalla nascita delle Avanguardie e lungo l’intero secolo scorso, il valore ed il significato delle radici della società umana, i suoi costumi ed i propri desideri estetici; un processo espressivo che sta alla base e orienta la ricerca e la produzione dell’arte, da non intendere nella caratterizzazione di un post-design collegato all’arte-artigianato, ma che decide di interferire – un ready-made – sullo scambio di esperienza – l’objet trouvè – tra i diversi patrimoni della manualità e dell’espressività ed il pianeta sconosciuto della cultura contemporanea dell’arte. Non si tratterà di un’arte-artigianato ma di un’arte contemporanea che fa suoi non solo i meccanismi della tecnica ma che interpreta l’essenza specifica di una singola area geografica o di una piccola popolazione locale.
Pittura
La prima sezione di questo libro la definiamo nell’ampio territorio della pittura e, senza retorica, l’opera di Tarshito non sembra rispondere ma allargare la domanda di pittura ed ancora la domanda su cosa sia o debba essere la pittura oggi; si tratta di una vasta produzione che si articola attraverso gli stili ed i grandi temi per cui pittura non risulta un’esperienza chiusa, non è un sistema stabile se non nella sua essenza.
Tarshito gestisce il suo desiderio di pittura all’interno di una volontà analitica attenta e fondata sul dialogo e sulla relazione con i vettori iconografici con i quali di volta in volta entra in contatto; tendenzialmente la pittura di Tarshito si qualifica sul piano estremo della scrittura, cioè in un gesto cromatico non interrotto che recupera dall’espressionismo il valore della sottolineatura; l’azione gestuale sta all’interno e definisce i contorni della forma con l’intenzione di accompagnare, circoscrivere e predisporre il dialogo ed il confronto, rappresenta l’interferenza con una realtà diversa, autonoma con la quale entra in contatto. L’intera produzione pittorica appare caratterizzata da una forte valenza cromatica cioè da una predilezione per forti accensioni di colori anche acidi ed aggressivi per poi scegliere, con un nuovo ciclo momenti più attenti e comunque sempre caratterizzati da estensione verso ampi spazi; all’interno della policromia dell’intero sistema espressivo dobbiamo poi individuare e selezionare una parcellizzazione monocromatica che produce una unità di sistema o al massimo una duplicità di valori di sistema; mi riferisco all’uniformità nei colori di terra del Ciclo Warli o di struttura di confronto e di scambio nel Ciclo Nagaland.
Nagaland raccoglie un sistema di opere sicuramente tra le più complesse e nel quale forte appare il valore del confronto e del dialogo; si tratta di un ciclo che ha natura quasi plastica, peso e grande forza, sia attraverso il rigore degli inserti di tessuto, spesso anche di grande dimensione, ma la cui forza è base di aggiunzione della forma sinuosa, del contorno deciso e intenso dell’anfora. Se il tessuto proveniente dal nord dell’India appare come lastra di corten, quindi severa e per grande superficie aniconica, il gesto della pittura delimita, inventa lo spazio e la natura interiore del “Grande vaso” simbolo inequivocabile della conservazione dell’esistenza e della sua produzione, della forza che sta in esso e che comprende anche la morte come valore della vita.
Terzo dato non di supporto ma significativo è rappresentato dall’uso della scrittura con valore di mediazione tra la durezza della forma e l’energia del volume; la scrittura trova un suo spazio, si inserisce e riequilibra il confronto tra queste due realtà; la scrittura ha la forza di poche lettere o si distribuisce e si espande in forme più ampie, negli spazi liberi del bianco tra i due contendenti.
Warli è un procedere per grandi pagine di attenta e minuziosa grafia decorativa con impianto naturalistico ed ancora grandi contenitori di esistenza caratterizzano questo ciclo; il risultato espressivo rimane forte e si espande riducendo la componente gestuale per prediligere la qualità di un microsegno ripetuto sistematicamente ed articolato tra spazi diversi. Si aprono quindi visioni avvolte dall’uniformità monocromatica fatta di colori di terra, i rossi ed i bruni, scanditi dalle mini accensioni dei bianchi e degli azzurri tenui; sono quindi pagine poetiche molto intime, frutto di una concettualizzazione attenta e rigorosa del processo grafico, mentre la lettura è obbligata a seguirne la ricchezza per poi rimanerne avvolta.
Tre grandi Guerrieri d’Amore rispettivamente nelle tecniche Warli, Sayambai Umra e Adam, ci permettono di capire l’importanza delle scelte espressive sullo stesso contenuto e nelle due stesse forme: l’uomo ed il vaso; il soggetto, il Guerriero d’amore è un testimone non autoreferenziale ma che fa propria la forza di testimonianza delle diverse culture decorative; la figura umana contiene ed esprime il patrimonio iconografico, la ripetizione dei segni, la monocromia e la polifonia cromatica di culture autonome e straordinarie, quando per ognuna i concetti di bellezza si coniugano al tema del piacere e vanno ad esprime in tutta la loro valenza, le qualità dell’interiorità, il valore di testimonianza del ‘bene’.
Se il Ciclo Adam rimette con forza in movimento il colore e la forza espressiva del gesto, il Ciclo Jarkhand apre all’esperienza iconografica del mondo animale con una produzione vivace, ricca e di grande vitalità; qui ogni pagina sembra esplodere grazie all’integrazione nel segno decorativo di una grande natura, animale e vegetale, animata dall’equilibrio tra autonomia e dialogo; ogni pagina di pittura appare infatti caratterizzata da una linea descrittiva gestuale per i “Grandi vasi” contenitori di natura e per il “Pesce contenitore di parole”, mentre intorno pullula la vita e l’energia che si pone alla base dell’esistere.
Lungo questo percorso di ricerca del patrimonio iconografico complesso e sfaccettato tra etnie diverse, villaggi, piccoli gruppi ed ancora attraverso la rivisitazione di tecniche espressive e sistemi iconografici fondati sul patrimonio naturale e su una storia che appare immutabile, la pittura di Tarshito diventa irrefrenabile, determinata solo da un’attenzione interpretativa alle singole specificità; ancora e sempre l’anfora contenitore di vita, che conserva ed offre ed ancora la vita, ora astratta della comunicazione, ora naive, ora simbolica del mondo naturale.
Ogni ciclo sembra in parte utilizzare l’acquisizione di esperienze pregresse annullando il tempo e le tradizioni occidentali del sistema dell’arte per porsi in corretta relazione affettiva con gli strumenti espressivi incontrati lungo il viaggio espressivo.
Il tema dell’Albero ricco e possente caratterizza nuovi cicli pittorici in particolar modo è racchiuso nelle anfore ‘espressioniste’ ispirate alla miniatura pittorica Rogan; il contrasto è netto tra la purezza della decorazione e la forza del segno contemporaneo.
Accanto a cicli caratterizzati dal monocromatismo dei marroni e dei bruni e presenti anche nei progetti Warli per le grandi sculture della Tigre e della Testuggine, portatori di vita attraverso l’anfora, l’arte di Tarshito agisce con vivace entusiasmo attraverso il colore.
Il colore arriva acceso ed intenso attraverso i rossi ed i gialli, estratto dalla decorazione-descrizione popolare e gioiosa dei cicli: Madhubani, Puspa- Patachitra, Patachitra; pur con differenze significative tra impulsività ed attenzione alla miniatura, tra libertà impaginativa ed organizzazione dello spazio pittorico, il colore si fa materia vitale per portare la fruizione ad uno stato di intensa partecipazione e di energia; ironia e gioco, freschezza e meraviglia. Si tratta di un patrimonio di emozioni che permettono a Tarshito di segnalarci il grande piacere della pittura attraverso l’immagine e la sua vivacità. Si tratta di cicli espressivi in cui i particolari, le forme e gli oggetti, i simboli e gli strumenti si ripetono ora immobili ora costantemente rinnovati al loro interno dal colore e dalle tecniche, dalle dimensioni, articolando così lo stato di partecipazione e di fruizione.
Alla luce di questo complesso sistema di simboli e di emozioni, nasce con valore di raccordo il Ciclo delle carte dove colore e testo, immagine e tema, anfora e colore, si pongono alla base di un diario per pagine di un infinito racconto.
Scultura
La scultura appare un territorio espressivo caratterizzato da una componente di forza, di dimensione e di peso; dalle piccole alle grandi dimensioni la scultura raggiunge l’essenza dell’architettura, appare non solo nella sua evidenza plastica tangibile ma anche come una realtà impegnativa che occupa lo spazio, lo definisce e lo qualifica. La scultura di Tarshito, comunque sempre in stretta relazione alla volontà espressiva già della pittura si arricchisce di forza e di spessore, di comunicazione attraverso la forza del colore, l’intensità della superficie, la sua preziosità ed a volte della sua brutalità; ancora i Grandi Vasi, gli Strumenti Musicali ed il mondo animale costruiscono la geografia ed il paesaggio di questo reportage nel mondo di Tarshito; un percorso nella scultura che lo collega a quel “Realismo Magico”, che attraversa l’arte italiana nella seconda metà degli anni ’70, che si è caratterizzata nello spazio più ampio della Trans Avanguardia.
Così come è avvenuto per la pittura l’attività espressiva di Tarshito si organizza intorno a precisi temi simbolici, rinnovando di volta in volta l’approccio attraverso il mutamento del colore e delle tecniche, muovendosi tra la forza statica del peso ed una improvvisa libertà progettuale.
Al tema del vaso contenitore e donatore di vita articolato nelle sue dimensioni, Tarshito rivolge particolare attenzione, spesso con valore di unicità propria del manufatto ma anche di produzione seriale seppur sempre nell’ottica di un artigianato rivisitato nella qualità espressiva della contemporaneità; così abbiamo i vasi in bronzo ed in ceramica dorata, i vasi ricomposti da migliaia di frammenti ed ancora i vasi che si fanno architettura strutturale per la stabilità dei “Tavoli” e dei grandi “Strumenti musicali”. Se appare severo il “Vaso con radici”, nel più ampio Ciclo dei “Vasi dorati” con piccole forme in evoluzione ed in rinnovamento Tarshito già si colloca nello spazio dell’installazione; ogni opera provoca e moltiplica se stessa in un gioco di rimandi esaltati dalla vivacità della luce e dalla preziosità del colore.
Gli “Strumenti musicali” a cui Tarshito volge una mirata attenzione devono essere osservati in relazione all’essenza di tutto il suo percorso espressivo dove viaggio ed incontro, colore e tecnica, forme e simboli illuminano e vivacizzano, donano piacere e divertimento, introducono alla riflessione; non poteva mancare in questo clima la musica semplice ed intensa di un oggetto percosso, di una campana o di un gong, di un vaso di ottone o di una scodella di bronzo, di una cassa armonica di legno; strumenti musicali che non appaiono nei caratteri occidentali di ‘specifica solitudine’ ma soggetti abitabili, immersi nelle funzioni della vita quotidiana intrinsecamente relazionati alla frequentazione dell’uomo, ospitali attraverso il luogo della seduta che è in essi.
In questo stesso clima si pongono i “Grandi Tavoli” con i quali Tarshito conferma ed allarga il valore ampio dell’habitat e delle funzioni della scultura; sono grandi piani spessi e massicci e soprattutto lunghi che vanno ad attraversare lo spazio nelle diverse funzioni ospitanti, quelle di mangiare, scrivere, appoggiare, per essere poi scanditi agli estremi e lungo il percorso ancora da vasi contenitori di vita, vasi dorati, vasi lignei per le essenze profumate, vasi piatto per la conservazione dei cibi e degli oggetti.
Dall’habitat e dallo spazio si giunge con il Ciclo delle “Architetture fiorite” ad uno straordinario viaggio iconografico nel mondo della casa in cui la bellezza attraverso l’iconografia del fiore e la luminosità preziosa dell’oro appare centrale; anche questo ciclo di piccole sculture ci conduce ad un idea dell’arte pronta ad uscire dal proprio sistema per raggiungere attraverso la qualità e la propria cultura concettuale di impegno e per la qualità dell’esistenza ad un sistema di installazione nello spazio ancora costruito dal gioco dei rimandi, tra emozioni ed illuminazioni.
Al mondo degli animali, così come è avvenuto per la pittura, Tarshito dedica uno spazio specifico e particolarmente significativo; nel bronzo, nel legno dorato e nella terracotta prendono corpo la “Tigre”, il “Pesce” e la “Testuggine”; le grandi sculture animali reinventate rispetto al patrimonio iconografico e culturale antico, impegnano con forza plastico-simbolica lo spazio e vanno ancora a sottolineare i valori della comunicazione estetica e le funzione dell’offerta etica e spirituale attraverso l’attributo del fiore ed ancora di un grande vaso contenitore di vita.
Installazione
Il settore dell’installazione potrebbe in realtà essere presente nella pittura e nella scultura o vedere in esse ridistribuite la pittura e la scultura, esso si caratterizza attraverso una breve campionatura di eventi espressivi caratterizzati da una più forte componente di progettualità interna e di collocazione spaziale, quali sono soprattutto la collocazione ambientale degli “Arazzi”, delle “Sculture fontana”, dei “Tappeti preghiera”, delle miniature e dei grandi “Cieli” in onice.
A dominare è ancora il tema dell’oro, non con valore solo di preziosità ma di luce, ancora i “Guerrieri d’amore”, ancora il colore; sia nella pittura che nella scultura infatti abbiamo percepito come il tema dell’esperienza sia significativo per l’artista e fondamentale per la stessa fruizione; abbiamo notato quanto il viaggio nel patrimonio iconografico nei risultati di riflessione ed interpretazione, abbiano necessità di frequentazione e come questa sia costitutiva negli strumenti musicali per configurarsi in maniera completa nelle grandi anfore.
La scultura, la pittura e gli oggetti in chiara corrispondenza con la cultura contemporanea che cerca nell’habitat, trovano nella casa e nella città ragioni di affermazione ed è una dichiarata componente importante nell’arte di Tarshito; gli oggetti e le opere si installano nello spazio, lo determinano e lo segnalano imponendo una frequentazione attiva e non distratta, sottolineata dal suono dell’acqua nel ciclo delle “Fontane” e dal bisbiglio nella fruizione delle “preghiera-lettura”. Emblematici di una cultura dell’installazione con valore di performance nell’habitat sono i recenti “Tappeti – territori di contemplazione” in cui pittura e scrittura, colori e simboli, forme ed emozioni si intersecano in una successione scandita di stazioni, di luoghi isolati e protetti tra luci calde e rigorose valenze intellettuali nella citazione.
Ancora in questo clima la specifica tecnica dell’arazzo, nelle diverse soluzioni linguistico-visive, già presenti nei diversi cicli pittorici, segnalano della volontà di Tarshito di determinare lo spazio attraverso la presenza di pareti di colore e di forme; gli arazzi sono ampie quinte distribuite nella successione lo spazio ed in particolar modo si affermano attraverso il Ciclo dei “Guerrieri d’Amore” e negli “Animali Sacri”, ancora testimoni che si riconfermano e si esaltano con forza espressiva rispetto al patrimonio della pittura e della scultura.
Nel sistema dell’installazione trova collocazione anche il Ciclo delle miniature dimostrando come la preziosità delle piccole dimensioni non sfugga alla possibilità di una frequentazione e fruizione caratterizzata dalla libertà fluttuante nello spazio; la preziosità dell’immagine, la raffinatezza delle tecniche di acquerellatura si pongono alla base di un clima tematico ed iconografico in cui la memoria orientale si confronta con la matrice surrealista europea fatta di attenta ironia e delicata trasgressione. Le miniature incorniciate fluttuano sospese nell’aria, veleggiano quasi obbligando ad una sorta di navigazione tra i fogli in un ideale ragnatela labirintica di emozioni.