Graziano Pompili: Ho costruito una verticale sulla pianura – Poeticamente abita l’uomo
di Andrea B. Del Guercio
Camaiore, Settembre 1993
Il monumento pubblico: questioni di metodo
1. L’installazione al centro di un nuovo insediamento urbano, il complesso polisportivo realizzato dal Comune di Montecchio in provincia di Reggio Emilia, di un monolite di marmo alto sei metri, redatto dallo scultore Graziano Pompili sul titolo “Ho costruito una verticale sulla pianura” e riconducibile all’interno del clima espressivo che ha animato, in questi ultimi anni, il ciclo di opere “Poeticamente abita l’uomo”, suggerisce che in questa sede editoriale specifica si pongano introduttivamente e quindi si torni ad affrontare, per meglio comprendere e correttamente valutare i significati dei processi espressivi e quelli di un atto incisivo e tangibile nella fruizione e funzione collettiva, o le diverse e nuove questioni presenti nel tema della monumentalità contemporanea.
Si osservi che gravita intorno a questo tema una fitta rete di significati, di diversi valori, di dati di riferimento per questioni culturali di ampia portata, che troviamo radicati e qualificati sul piano del costume, in conseguenza di quelle interferenze con la funzione collettiva; tra le componenti ed i fattori che costruiscono storicamente la natura di ogni insediamento umano si deve riconoscere, con significati di volta in volta da puntualizzare, la presenza di uno o più manufatti rispondenti a funzioni di riferimento e rappresentazione collettiva, e conseguentemente caratterizzati e qualificati da grammatiche estetiche, scelte formali, ipotesi cromatiche, strutture compositive e costruttive. Un polo di riferimento collettivo, quindi, per funzioni e relazioni diverse, caratterizzato da interrelazioni sia con le funzioni della società umana, ma anche con i valori di autorappresentazione estetica e culturale.
È in questo contesto che possiamo porre la nascita e la storia della scultura monumentale ed è ancora in questo clima che si dovrà tornare a porre le basi di questa nostra nuova stagione, sia del gusto collettivo sia della sperimentazione e della ricerca visiva; si tratta, cioè, di tornare a percepire il peso e la valenza antropologica, insita nel significato di opera monumentale, di rappresentatività costruttiva ed edificatoria, di comunicazione di una società attraverso l’artefice.
Tornare a ricordare e sottolineare i dati di riferimento che rileviamo alle basi e nelle radici della scultura pubblica, risponde alla culturale necessità di scavalcare, con i dati espressivi e le metodologie di produzione contemporanee qualificati lungo la storia e lo sviluppo di questo secolo di avanguardie, quel giudizio e quelle politiche che hanno scelto ed operato un appiattimento dei fattori di auto-rappresentatività di una società e di depauperamento del paesaggio urbano del nostro dopo-guerra e che hanno ancora causato, sul piano della continuità storica, la condizione di scarsa presenza della scultura italiana. Accanto a rare e qualificate isole felici – sempre fatti isolati rispetto ad una responsabile programmazione territoriale – basti ricordare l’esperienza vivace e problematica rappresentata da Gibellina in Sicilia – pesano, sulla scarsa diffusione e stabile installazione pubblica della scultura, numerose e diverse responsabilità che, in questa sede possiamo solo brevemente enunciare e motivare: la scarsa presenza, nell’amministrazione pubblica centrale e periferica, di una politica della scienza e della cultura della contemporaneità ha negativamente influito sull’intero settore artistico-visivo con la conseguente parallela assenza di un circuito espositivo-museale specifico. Una situazione sulla quale pesa anche la presenza complessa di un esteso patrimonio storico, sia sul piano della conservazione e gestione, ma anche, per contro, sul piano di una mistificatoria ingerenza di giudizio e di gusto appiattito sulla citazione.
2. Sulla base di queste premesse, che necessiterebbero di altra sede di una più filologica verifica e di un approfondimento, mi sono, da tempo ed in più occasioni, espresso per un recupero di spazio e di più intensa presenza della scultura pubblica, rilanciando, anche provocatoriamente, il termine ‘monumento’.
L’impiego del termine ‘scultura monumentale’, infatti, qui privo di valenza citazionista, e non corrisponde ad una recente cultura post-moderna, ma ha il compito, memore dei suoi antichi significati e valori radicati nella storia dell’uomo e dei suoi insediamenti, di verificare, responsabilmente nella realtà tra le nuove esigenze e funzioni d’uso della società, il corredo di ricerche, in questa stagione. Mi riferisco a quel complesso patrimonio caratterizzato costantemente da una progressione analitico-sperimentale attiva sull’intera natura della creatività artistica, sui suoi processi di redazione, sull’interrelazione ed integrazione tra settori e competenze, funzioni e necessità; un patrimonio estetico-culturale interdisciplinare sul quale troviamo rifondata la scultura contemporanea, centrata su una cultura progettuale ad ampio spettro applicativo che qualifica in profondità anche l’ipotesi di una nuova stagione monumentale. Una neo-monumentalità che riteniamo, quindi, rifondata rispetto a valori e canoni espressivi ed esigenze rappresentative di passate stagioni e che si dovrà sempre verificare sul singolo manufatto. Una materia ricca e complessa, positivamente sfaccettata e diversificata, organizzata per settori di indagine e competenze, corrispondentemente inserita nella nostra epoca.
Graziano Pompili “Ho costruito una verticale sulla pianura” 1993
1. Ho seguito la nascita di quest’opera sin dalle prime fasi recandomi direttamente sul banco di cava, nel bacino marmifero di Carrara, subito sopra il paese di Torano, per scoprire, tra i blocchi ammassati, un monolite anomalo nelle dimensioni; Pompili aveva, infatti, individuato un parallelepipedo stretto di base e lungo circa 8 metri, di bella materia.
La maquette in gesso rivelava l’intenzione dello scultore di predisporre un soggetto estremamente rigoroso, scandito per superfici piane, a tratti portate a lucidatura ed a tratti predisposte per sbozzature, e dove la componente riconoscibile dell’intervento risultava portata con estrema sensibilità solo su una delle due estremità.
Una volta trasferito il blocco sul piazzale del laboratorio, posto tra altri blocchi di marmo e di granito, diversi per colori e forme, mi apparve chiara la volontà di Pompili di interagire con il suo supporto, introducendo il suo segno, ma rispettandone ed esaltandone la struttura formale; il blocco si configurò, seppure posto in posizione orizzontale, già in grado di dialogare con altre opere monumentali parzialmente o completamente già realizzate.
Ora il fatto che già il materiale selezionato dall’artista anticipava i nitidi caratteri dell’opera finita, suggeriva e poneva in evidenza la lucidità progettuale dello scultore.
2. I dati linguistico-visivi, impiegati da Pompili in questa fase espressiva e puntualizzati nel monumento, oggetto di questa pubblicazione, si presentano dettati da una volontà analitica e minimale rispettosamente interpretativa di un materia tematica racchiusa nella citazione da Hölderlin “Poeticamente abita l’uomo”.
Si tratta di una redazione plastica che predilige volumi scanditi per successione severa di essenziali e strutturali superfici; regolari geometrie solide, isolate, estrapolate e sospese rispetto ad ogni vortice della realtà, e compenetrate e radicate nella materia, nei suoi valori costruttivi di edificazione.
Il monolite non più informe, essendo già predisposto nella fase di estrazione per quattro facce parallele, risponde alle sollecitazioni espressive di Pompili, che, a sua volta, appare impegnato in una redazione in questa fase qualificantesi nel rispetto interpretativo della natura antica e nobile del marmo.
Il lavoro dello scultore corre, in questi mesi, lungo l’intera estensione dei fianchi del blocco; non si tratta di duri interventi di demolizione ma di riduzione di asperità, sempre con soluzioni tecniche di redazione in grado di favorire una percezione intensa del soggetto; le pareti sono, infatti, vivacemente animate da un movimento di materia, per scannellature frastagliate, smussate, sbocconcellate dallo scalpello pneumatico, poi distesamente levigate dai dischi abrasivi. II processo espressivo prosegue e si concentra, ancora con volontà e caratteri di grande sensibilità e rigore, lungo le pareti di una delle sue estremità, che poi sarà per il blocco in posizione verticale, la sommità. L’intervento di Pompili si sviluppa per circa un terzo dell’intera estensione, qualificandosi e puntualizzandosi espressivamente per un movimento di brevi e limpidi piani, animati da spigoli netti ed angoli tagliati, per una levigata materia bianca.
3. Sono tornato più volte intorno al blocco ed ho seguito le diverse fasi e l’evoluzione del lavoro di Pompili, coadiuvato da un qualificato staff, percependo con sempre maggiore chiarezza ed a riconferma di quell’intuizione iniziale, l’esigenza dell’artista di dar vita ad un’opera ove fosse chiara l’idea del rigore e della severa essenzialità. Un’impostazione del lavoro che Pompili persegue da tempo, ma che particolarmente si pone in evidenza in quest’opera monumentale, e che lo stesso titolo sottolinea.
Dichiara nettamente e personalizza “Ho costruito una verticale sulla pianura” una volontà progettuale che, priva di sovrastrutture decorative, mira a conseguire la frequentazione e fruizione di un’area tematica in cui l’uomo sociale possa riconoscere la sua migliore natura di edificatore sul pianeta, rispettoso della terra, interprete creativo della natura, innovatore che erige; un clima che racchiude in quel sottotitolo “Poeticamente abita l’uomo” l’opera con l’intero ciclo espressivo di questi anni. Titolo e sottotitolo, logico e rinascimentale il primo, liricamente trattenuto il secondo e teneramente umano, dialogano e si compenetrano avvolgendo l’opera di sfumature interpretative intense.
Assistiamo, quindi, ad un mirato progetto estetico-culturale, ad una duplice ed interattiva ricerca di incisività espressiva dell’opera e per una fruizione collettiva anch’essa attenta, sicuramente non genericamente gratificante.
Sono i dati di fruizione dell’opera a confermare nell’artista la compiuta ed autonoma messa a fuoco di una processualità creativa analitica e progettuale, di una grammatica visiva costruttiva, di aver impiegato soluzioni formali minimali, di fattori quindi determinanti nel patrimonio artistico moderno e contemporaneo, ma anche di una profonda e vivace memoria di quei valori e di quella ricca e complessa esperienza che, scavalcando i tempi e le geografie, costituisce la storia della scultura.
4. L’installazione all’interno della città del monolite scolpito “Ho costruito una verticale sulla pianura” è oggi rappresentativa ed incisivo segno, tangibile presenza e dato di comunicazione, sede di riferimento per il pensiero dell’uomo sull’uomo, momento di riflessione della società sulla sua storia e sul suo presente; si avverte interamente il significato antico e complesso di insediamento urbano, di predisposizione dell’habitat collettivo, e questo è il ruolo importante dell’opera monumentale realizzata da Graziano Pompili per la città di Montecchio.
Graziano Pompili “Poeticamente abita l’uomo”
1. Si pone all’origine ed è nucleo articolato di esperienza dell’opera monumentale un ricco ciclo di sculture in marmo, in granito, in ferro, con impiego del piombo, in presenza dell’acqua, accompagnate da un selezionato numero di disegni e pastelli, raccolto nella citazione da Hölderlin “Poeticamente abita l’uomo”.
Pompili ha, cioè, saputo selezionare un titolo, per questo ciclo recente di opere, esemplare in quanto risulta avvolgente per ogni manufatto di una materia poetica trattenuta, appena avvertibile e condotta per pochi dati che si qualifica per solitari segni strutturali. Si impongono su paesaggi di pietra, case di pietra, si appoggiano su superfici diverse, lunari e notturne, solari e desertiche, ora morbide ora astratte; ogni stato poetico paesaggistico perseguito si pone in conseguenza di una volontà interpretativa rispettosamente condotta lungo le qualità e le specificità tecnico-espressive del materiale di supporto, dal marmo bianco al bardiglio, all’infinita varietà dei graniti.
Paesaggi della crosta terrestre sui quali “poeticamente” l’uomo aggiunge il segno primario e più concreto della sua presenza, la casa, un volume, un blocco, una scultura tagliata nella pietra per spigoli essenziali, per un modulo universale. Rispetto al grande monumento tutto proiettato in elevazione, le più piccole sculture di questo ciclo si presentano caratterizzate da un movimento orizzontale del piano su cui il modulo abitativo si propone, si imprime, secondo una tipologia che possiamo definire romantica; una elevazione anticipata nella componente di sostegno, pur facente parte dell’unità dell’opera, e, comunque, sempre costruita sulla solidità e sul peso, dagli otto monoliti, pietra e ferro cm 350x40x160, del 1992.
2. L’intero ciclo scultoreo rivela la ricerca, positivamente conseguita, di un processo espressivo in riduzione e per soluzioni linguistico-visive essenziali e brevi, in grado di esprimere, di produrre nel fruitore la percezione di una intensa materia poetica su valori persistenti di civiltà dell’uomo: si tratta di un ciclo di notevole maturità, frutto di un procedere “in togliere”, per un artista che è profondo ed attivo conoscitore di tecniche plastiche e sensibile interprete della cultura antica.
Ed è il logotipo della casa, dei suoi valori ancestrali nella memoria di ogni uomo ad essere ancora dato antico e sicuramente contemporaneo: si tratta del tema del costruire, dell’imprimere il segno, di lasciare una traccia, non effimera, ma tangibile di un passaggio; si tratta di un modulo che contiene, che racchiude e preserva anche la storia della cultura.