Amilcare Rambelli tra il valore di energia della materia e la struttura del pensiero plastico
di Andrea B. Del Guercio
1998
Mi sono occupato dello scultore Amilcare Rambelli in occasione dell’organizzazione di un’esposizione e della redazione di un saggio dedicato agli sviluppi della scultura a Milano nel quinquennio 1960/1965 ed in particolar modo nel tentativo storico critico di riscrivere e rivisitare il passaggio avvenuto tra il clima espressivo informale ed una nuova stagione determinata dalla volontà di alcuni di giungere ad una compiuta cultura astratta.
Il mio tentativo critico, che ho potuto verificare sul diretto rapporto con il patrimonio espressivo e confermare attraverso il riesame di una rigorosa antologia critica, tendeva a riportare alcune personalità della scultura milanese al centro costitutivo di una storia costruita attraverso la responsabile originalità dell’innovazione analitica della forma, sia attraverso specifiche indagini sulla “superficie” che sul “volume”.
L’indagine prendeva in esame quegli autori che sul finire degli anni ’50 affrontavano, rispetto ad un panorama teso al superamento della cultura figurativa, ma caratterizzato dalle ambiguità connaturate ai valori aformali astratti della scultura, soluzioni diverse e innovative che potevano configurarsi attraverso uno stretto piano problematico formale, Giacomo Benevelli, attento al lento movimento della massa materica, Giancarlo Marchese, postosi di fronte alla natura divaricata della superficie e Iginio Balderi, osservatore dell’architettura plastica della colonna ed attraverso l’introduzione significativa di processi espressivi determinati da procedure di redazione Amilcare Rambelli, Kengiro Azuma, per anni allievo di Marino Marini e giunto ad uno strappo linguistico in cui affermava la volontà comunicativa della parete, Giò Pomodoro, per il quale la scultura era il risultato di un processo di definizione del vuoto mentre generale appariva l’affermazione dei valori di progettazione intellettuale del manufatto plastico.
All’interno di quest’area espressiva, milanese ma collegata strettamente con le linee problematiche della nuova scultura italiana, articolata tra espressioni e metodologie diversificate, significativa era quindi la presenza di Amilcare Rambelli.
Alla luce di questa prima indagine, finalizzata ad una condizione espressiva significativa, posso ritenere in questa nuova sede di studio che la personalità di Rambelli spiccava, sin dalla fase di prima maturità, attraverso l’impegno in un processo artistico in cui agivano l’energia come emblema della vita della materia e la conoscenza della scultura come realtà che si elabora e si costruisce, che necessita cioè del desiderio di edificazione.
Rambelli è di quel gruppo lo scultore che si distingue dall’informale, dal gesto partecipato e dal piacere dell’espressione diretta sulla materia informe, attraverso l’elaborazione sempre più attenta ed organizzata del tessuto connettivo, di un sistema, a tratti riconoscibile, in grado di denotare l’incidenza espressiva della scultura.
“La `testimonianza’ di Emilio Tadini, rigorosa e cronologicamente riferita al 1963, conferma sul piano operativo la volontà sperimentale di Rambelli fondata sulla progettazione e sul controllo del fare scultura: Rambelli inizia ogni pezzo con una struttura di elementi in creta che in certi casi resta, in parte, visibile. È, prima di tutto, una specie di armatura, uno scheletro di sostegno, un vero organismo di tipo architettonico entro il quale un nodo di articolazioni risolve spinte e controspinte nell’equilibrio finale… Da questa strutturazione complessa e rigorosa, che esclude a forza ogni possibilità di artificio gratuito, nascono le sculture di Rambelli”; indicazioni quanto mai chiare confermate da chi ne seguiva direttamente le fasi di redazione e ne acquisiva il progetto espressivo che sottolineano la storia di una scultura mai dettata dall’azione liberatoria e trasgressiva del gesto sulla materia.
L’osservazione delle grandi terracotte del ’63 di Rambelli e particolarmente `Mimesi’ e `Ascolto del poeta’ ribadiscono scelte espressive forti, tese a disvelare nella materia organica la presenza, attiva e strutturale, di un sistema organizzato; il volume non disvela infatti il caos ma espone di sé l’azione stabile di un’architettura forte e quindi di un complesso di dati in grado di agire costruttivamente per l’affermazione della materia stessa”. (L’organizzazione della materia nella scultura di Amilcare Rambelli in Scultura Astratta a Milano 1960/65 Ediz. Postumia Mantova 1997).
Amilcare Rambelli tra valori in progress e in regress
In questa sede editoriale, voluta da quanti a Teramo conobbero Amilcare Rambelli e ne apprezzano l’opera anche nel presente, contribuendo con un impegno monografico sulla linea di numerosi riconoscimenti recenti, desidero ulteriormente considerare e sottolineare che l’impiego della terracotta in quel quinquennio, dettata da partecipazione emotiva e forse da iniziale necessità prima di dedicarsi al bronzo, può ancora sbilanciare il giudizio critico su un’imprecisata o riduttiva percezione della forza tattile e del valore ancestrale.
La “terra” di Rambelli deve essere valutata invece un “luogo”, un frammento o porzione di un sito in cui hanno agito, per congiunzione o separazione, la superficie e il volume, il concavo e il convesso, il segno e la matassa, le forze di un’astratta antropologia costruttiva.
Tutto lo sviluppo della sua scultura lungo la seconda metà degli anni ’60 evidenzia esemplarmente questi dati e vede specificate le qualità di una natura espressiva tesa sul rapporto dialettico tra il valore di energia della materia e la struttura del pensiero plastico.
Nel 1966 Rambelli giunge ad una più nitida definizione delle sue indagini attraverso alcuni grandi lavori “pubblici”; l’impiego del cemento per una scultura ad Abano Terme ed una struttura sframmentata in ferro gesso alluminio a Milano, pongono in evidenza una cultura plastica che si riconosce determinata da una natura “progettuale”, quell’energia e quella vitalità costitutive della materia certificano il suo stato “astratto”, rispondente ad un processo intellettuale della creazione, attraverso un “sistema” di forme.
In questa fase la presenza del bronzo in sostituzione della terracotta ha il primo preciso significato nella configurazione di una scultura destinata ad autoaffermare se stessa come valore autonomo, come realtà distante dalla memoria e dalla citazione; seppure ancora calda è la patina, rigorosi si fanno i contorni del soggetto e raffreddato è il dialogo dei diversi frammenti che vi interagiscono.
Ogni scultura matura come realtà attraverso tutte le direzioni, orizzontale/verticale, larga/stretta, filiforme, per volumi disuniti; nasce un panorama scandito ed articolato, in cui Rambelli sembra girovagare generoso alla scoperta di un mondo, il nostro, con le nostre meccaniche, le nostre tecnologie, le leggi della produzione, ma su cui interviene, ad un osservatore attento, il caos, ancora come energia della materia.
Quella concezione della scultura come energia costruttiva della materia è riaffermata attraverso il bronzo e si dimostra in tutta la sua evidente incisività venendo così a rappresentare emblematicamente le dialettiche tensioni degli anni sessanta.
I bronzi del ’67 maturano ed estremizzano questa condizione in cui si può introdurre anche il valore di una sensibilità archeologica della modernità, per cui ogni scultura è una macchina svelata, uno strumento ormai immobile, ma testimone inquietante di un’energia che in esso si è espressa e che vi rimane conservata.
La scatola e la griglia, il nucleo concavo e l’estensione di una superficie circolare, lo sviluppo di un cono e la sua compressione, le barre e gli anelli sono tutte insieme le sculture di Rambelli ed il suo contributo alla riflessione sul tempo dell’uomo attraverso la scultura.
Il processo creativo segue un progress sul piano dell’interdisciplinarietà linguistica e metodologica, ma anche un regress nei confronti di quella concezione avvolgente di cultura astratta, dove simboli e valori, emozioni e pensieri sono la scultura, e quindi essa stessa un’altra realtà.
Rambelli ha il coraggio di una progettualità estrema da cui dipende anche la scelta per la precarietà e il disequilibrio, l’opzione per il frammento, la scelta della caducità, il vuoto e la trasparenza, la perdita, quindi, come riacquisizione del nuovo.
Si è trattato probabilmente di un viaggio culturale e di una scelta espressiva che trovava nell’incontro tra il proprio io ed i supporti il valore estetico dell’intesa nella scultura: il bronzo è quasi ridotto ad un nucleo, ad un brano di materia perduta in un’atmosfera in cui interagiscono il filo d’ottone, la superficie della formica, il foglio di acciaio, l’ottone, la trasparenza del plexiglass.
Questi dati, forti della loro specificità, sono ancora il frutto di una volontà architettonica, cioè di una condizione dell’espressività che riconosce le regole e le leggi del confronto e dell’interazione per giungere ad un sistema decodificabile da una fruizione anch’essa analitica.
Amilcare Rambelli appare forse isolato in questa sperimentazione tanto estrema per cui lo possiamo porre come un autore di punta di fronte ad una concezione nuova della scultura ma vorrei anche aggiungere metodologicamente ancora in regress, cioè, in sintonia con i più significativi valori di una sensibilità e di una cultura fondamentalmente antropologica; uno sperimentalismo analitico applicato all’interdisciplinarietà dei materiali di supporto caratterizza, in un crescendo di valori anche estremizzati da sistemi e macchinerie rigorose, gli anni settanta; in questa fase, le sculture in acciaio, plexiglass e ottone risultano più complesse, meno meccaniche e quindi determinate da un’energia meno evidente, nascosta sul piano della concezione intellettuale.
Si tratta quindi di una stagione caratterizzata dal senso della ricerca con opere difficili, ma che vedono maturare al loro interno una nuova componente, una tendenza, ritengo, ad un’inedita propositività; una propositività racchiusa ed emblematizzata che pone delle relazioni utili e culturalmente interessanti tra Rambelli ed i valori espressi in ambito Costruttivista e nei suoi successivi sviluppi; una riflessione, questa, che dimostra le sintonie non di citazione tra lo scultore e le forme più incisive del pensiero moderno.
Su questa strada di pensiero e di ricerca plastica Rambelli agisce moltiplicando il suo caleidoscopio espressivo, coinvolgendo intorno a sé anche le nuove generazioni (Pietro Coletta); nasce in questa fase una breve collaborazione per la redazione di opere a più mani dimostrando ancora una volta ” il valore aperto” del suo lavoro e della sua scultura.
Particolarmente importante è in quest’ultima fase una sempre più incisiva presenza del segno grafico; di una linea che nella superficie definisce lo spazio e qualifica il volume.
I dati plastici sono ormai in questa fase completamente rivelati attraverso le trasparenze del plexiglass e la superficie specchiante dell’acciaio ed è in essa che il segno disegno aggiunge valore di progettualità, di architettura spaziale.
Tra il ’73 e il ’75 la scultura di Rambelli appare ulteriormente rinnovata e la lunga fase di sperimentazione e l’incisività del segno della forma rappresentano il patrimonio su cui costruisce una scultura nuovamente rigorosa e dettagliatamente astratta, severa attraverso una costruttività minimale.
Silenziose ed enigmatiche appaiono le superfici di ferro tagliate ed aperte, attraversate da cerchi in successione e dal disegno di planimetrie celesti; il bronzo torna prepotentemente in alcuni anfratti, geometricamente predisposti, riattribuendo tridimensionalità e quindi peso e volume alla materia sulle superfici piane.
In quest’ultima fase del suo lavoro Amilcare Rambelli mostra il raggiungimento di un clima espressivo infine ordinato e ci propone, memori delle prime grandi terracotte, il ritorno attento all’austerità delle forme ed alla discrezione dei valori emozionali, segni e valori del raggiungimento di una straordinaria maturità espressiva.