Nino Cassani: il segno la superficie della scultura

nino-cassani

di Andrea B. Del Guercio

Milano, 13 maggio 1991

Non amando i voli pindarici del pensiero critico, ora in forma di bassa letteratura, ora camuffato per retorica dei valori simbolici dei materiali di supporto, ora deviato dalle sue competenze di scientificità e correttezza storica per specifici e collegiali valori, ritengo utile ricondurre il discorso interpretativo del lavoro plastico di Nino Cassani, al senso significativo ed effettivo dei dati in esso espressi, sempre nel confronto responsabilmente aperto tra autonoma specificità e l’ampio paesaggio espressivo cronologicamente corrispondente. I soggetti qualificanti nel processo produttivo di Cassani sono da riconoscere all’interno e costitutivi di una grammatica visiva, di un processo strutturale formale scandito con quel rigore astratto in grado di auto comunicare i propri risultati. Assistiamo cioè, nel singolo manufatto come nel complesso di opere, ad un processo elaborativo costantemente verificato per brevi spostamenti, ad una sperimentazione linguistico formale, articolata severamente tra pochi sostantivi strutturali. Il processo espressivo presenta caratteri di auto riduzione linguistica sintomatici di una volontà creativa sempre meno interessata alle gratificazioni del racconto e che viene prediligendo le difficoltà del rigore, la scientificità linguistica del segno, della superficie nella scultura. Terreno di confronto e luogo di intervento, supporto attivo di verifica per le due componenti linguistiche impegnate, il segno e la superficie, è una materia, il legno, il cemento, caratterizzato cromaticamente dal rosso, e soprattutto la pietra chiara, delicatamente calda estratta dalle cave di Vicenza. La scelta di Cassani per la pietra non ripercorre la facile retorica del materiale, dove una natura sufficientemente tenera ci segnala una volontà espressiva qualificata dalla comunicazione, da un processo di scrittura attentamente impostato. La pietra, luogo antico della comunicazione tangibile e collettiva, tra i brevi spazi della scrittura alle grandi pareti della architettura, vede una redazione che abbandona il volume e quei segreti inscindibilmente legati alla storia del materiale e della stessa scultura, e che si predispone, secondo un progetto culturale moderno, per superfici, per piani verticali lineari, ampi in posizione orizzontale alla linea di terra; superfici che sono segni imperativi ed incisivi, che si articolano ruotando in “Presenza verticale” del ’78, che si offrono in sviluppo ampio per quinte fittamente intessute dalla proliferazione vitale di nuovi segni, in “Pietra viva” del ’75. La scientificità linguistica di Cassani è in questa ricerca rigorosa costante, giocata tra i due vocaboli indicati, nel loro corretto intercalare.
Accanto alle superfici, con le quali si pone in evidenza una lettura sempre meno tridimensionale e di volume, caratterizzante è l’impiego del segno, che va inteso sia in forma di scrittura della parete, che in forma di linea, di contorno delimitante lo spazio. Il segno che affiora in leggero rilievo filiforme, il segno che incide e taglia la parete, è anche il segno che delimita e disegna, che progetta l’opera; così appare la traccia in alleggerimento del peso e delle forze in “Aperture impensate” del ’72, così costruisce il confine articolato ed il dialogo in “Slancio trattenuto” del ’71, ed ancora la linea curva nel ciclo di opere “Rotante” del 77/’79. Su questa base costantemente verificata nel lavoro, gli anni ’80 presentano un ulteriore sforzo espressivo nella direzione del rigore compositivo, di accordo linguistico dei due termini da sempre impiegati; il lavoro si svolge tra superfici diversamente disegnate ed intessute poste sempre sul piano di base, attraversato da precise scansioni logiche, tra verticalità, orizzontalità, circolarità; così anche per questa fase creativa la sperimentazione formale si articola e si moltiplica tra opere sempre diverse, caratterizzate da autonomia, e propositive di nuovi brevi ma significativi spostamenti.