Gabriele Giorgi
di Andrea B. Del Guercio
1991
Alle origini del percorso espressivo di Gabriele Giorgi sono rilevabili due fattori qualificanti per i risultati di oggi e che segnalano subito una volontà sperimentale determinata e severamente controllata.
In corrispondenza con il progetto critico in quegli anni ’85/’86, teso a definire l’Astrazione nel binomio `struttura pittorica’ ‘scultura dipinta’ e nella crescente precisazione del ruolo strutturale del `supporto’, la redazione di Giorgi viene prevedendo un monocromatismo per ampie campiture, vivacizzate a tratti da brani di pittura gestuale.
Parallelamente con questo indirizzo espressivo, e sempre sul piano del rinnovamento di una grammatica effettivamente tangibile e strutturale, interviene l’impiego del PVC e di geometriche strutture modulari tridimensionali.
La sostituzione alla tela nella pittura e alla carta nell’incisione con il foglio di plastica (PVC), rileva la necessità di evidenziare un raffreddamento di trasgressioni informali, e la predisposizione di volumi geometrici segnala una tendenza progettuale, una proiezione verso lo spazio; anche le scelte cromatiche si situano in questo indirizzo analitico con impiego di vaste campiture accese dal viola, dal rosso, dal nero.
I tre `pali’ dell’87 sono forse il primo segno tangibile di un processo per cui la pittura già redatta viene ad avvolgere, ad impacchettare rigorose strutture e quindi predisponendosi ad una mobile installazione nello spazio; seguono in conseguenza logica e rigorosa moduli di diversa geometria ed articolata dimensione, per singole strutture e per composizioni in ripetizione e sottolineatura; se i grandi triangoli, percettibilmente sfalsati, ospitano una pittura attraversata dal colore, per i moduli scanditi è in evidenza un tracciato segnico, una scrittura automatica.
Nella stagione ’88/’89 la tridimenzionalizzazione modulare subisce un processo espressivo in togliere, una minimalizzazione e riduzione delle componenti formali e cromatiche; un procedimento avvertibile tra `testimone’ e `jabok’ con risultati estremamente concentrati e psicologicamente severi.
Il lavoro dedicato alla predisposizione di moduli geometrici solidi atti ad ospitare la pittura, è nel tempo occasione utile per uno studio delle regole della scultura, nell’impegno dello spazio, nel valore espressivo di nuovi supporti.
La svolta in senso plastico è dell’89 quando Giorgi mette in cantiere ‘Prue’, una duplice grande scultura presentata a Reggio Emilia in forma ancora ‘progettuale’ nello spazio, per poi completarla in forma definitivamente `monumentale’, ed oggi installata di fronte al cinquecentesco Convento dedicato ai Serviti di Maria tra le colline marchigiane. Le due `Prue’ sottostanno ad una concezione plastica severa, dove il movimento aggettante, posto in parziale disequilibrio, indirizza su un piano di effettiva e partecipata percezione, i termini di una presenza possente; il vigore e l’aggressività vengono cioè plasmati da umori antichi, rivisitati nella memoria, emblematizzati in una patina consumata di vecchie lastre di ferro provenienti dalla cantieristica navale.
La collocazione nel bel viale alberato è tale da attivare una fruizione diretta, una percezione tattile del movimento in elevazione, e così il peso e la forza simboli incancellabili del passato. Vigore e aggressività, intesa in senso antico, antropologicamente ancestrale, viene ad essere una costante nella cultura espressiva di Giorgi, anche quando essa viene a relazionarsi con una progettazione ,in cui interagisce la funzione d’uso,.con fattori estetici e di messaggio culturale.
Progettazione e redazione per la `funzione d’uso’ della scultura
Probabilmente per Giorgi una lettura della scultura, quale tridimensionale cultura visiva, corrisponde ad una sfera della progettazione intesa per termini problematici assai più ampi, ed oltre una esclusiva competenza estetica.
Nel processo espressivo viene individuato con precisione e con specifiche soluzioni, un quadro di ricerca che viene ad includere al suo interno una percentuale ampia e dichiarata di impiego effettivo del manufatto artistico; la progettazione viene quindi caricata di responsabilità per una fruizione che si prevede attiva e che apporta una serie articolata e non sempre prevedibile di apporti sul messaggio estetico generale.
Sul tema della `funzione d’uso’ dell’opera plastica, sulla sua collettivizzazione in aree di aggregazione urbana, un vitale confronto ad una serie di utili verifiche è stato collegialmente prodotto in questi anni ricchi ed intensi sul piano espositivo ed editoriale; questo dibattito ed il lavoro ad esso collegato ha trovato in Giorgi, nelle sue caratteristiche espressive una immediata rispondenza, che lo ha portato ad una serie di impegni lucidamente proiettati nella corrispondenza con una nuova cultura della scultura contemporanea.
Come si potrà osservare per la prima fase ‘pittorica’ e bidimensionale, erano per altro già incluse spinte volumetriche assai precise, e soprattutto caratterizzate da modularità geometrica, da una volumetria mobile e progettuale nei `pali’ dell’87.
Questa componente progettuale di fondo sempre legata ad una rigorosa volumetria geometrica, svolge un suo ruolo incisivo anche in fase di progettazione per una funzione d’uso; per progettualità intendiamo una lontana radice culturale quale componente determinante e strutturale nella redazione e nella fiuizìone, dove cioè l’apporto è di mobilità, di vitalità nel corpo severo e rigoroso dell’opera.
Giorgi esprime così una grammatica che prevede su una base dai caratteri formali particolarmente impegnativi, cioè privi di gratificazioni e sovrastrutture forinalistiche e cromatiche, una mirata libertà con risvolti sia estetici che d’uso; al rigore ed alla staticità, al dato della forza a certe durezze e spigolature, risponde una componente in grado di scardinarne l’unilateralità espressiva per rispondere anche ad una fruizione che sia partecipazione diretta, dove la funzione d’uso viene ad apparire una realtà problematica ed attiva, ben oltre un certo grigiore della terminologia.
Si devono osservare in questa prospettiva grandi opere ed alcune maquettes e progetti e appunti; si tratta di un lungo indagare a stretto contatto con il laboratorio meccanico che ormai da anni ha acquisito esperienza specifica testimoniando e apportando alle esigenze e caratteristiche dell’arte un bagaglio di esperienze, che non sono solo quelle tecniche, ma che provengono dal quotidiano incontro con le necessità del vivere, con la sua estetica, con i suoi principi esistenziali.
Trono per la Signora Maria
L’opera dell’Artista pesarese, rappresenta uno degli effettivi risultati, in una dimensione cioè reale e con una verificata fruizione d’uso collettiva nell’arredo urbano della Città di Alatri (Frosinone), di una vivace e ricca indagine protrattasi sul tema del `Trono’; il tema indagato tra disegni e progetti, numerose maquettes e produzioni in dimensioni reali, si è infatti dimostrato un utile e stimolante punto di riferimento nel tentativo di raccordare nella redazione di un’opera scultorea, tra valori simbolico tematici e contenuti estetici, una dichiarata funzione d’uso.
Optando per il tema ricco e nobile del `Trono’ Giorgi riesce contemporaneamente a porsi fuori, anche se con chiare affinità d’uso, dal tema ripetitivo e costante della `panchina’ pubblica, così ricondotta in una sfera storicoartistica, eletta dall’infinita varietà di soluzioni estetiche per diverse aree geografico culturali.
La collettivizzazione di un simbolo, universalmente riconosciuto per la sua storica elitarietà, è anch’essa una chiara indicazione tematico culturale nella redazione della scultura e per la sua fruizione; il titolo dell’opera per esteso esplicita ulteriormente una destinazione socialmente allargata. Una poco precedente maquette, composta modularmente da tre troni ipotizzati con piano di base e di appoggio larga e conclusione delle spalliere piramidali in elevazione a quattro metri, emblematizzava con rigore ed incisività le ricerche ed i progetti di Gabriele Giorgi; anche in questo caso un titolo mirato `Un Trono per tutti’ (opera in fase di produzione).
Per `Trono per la Signora Maria’ lo scultore ha previsto un contenimento delle dimensioni in funzione di un inserimento segnaletico più intimo, accentuato dal movimento protettivo di una spalliera curva; al movimento circolare rispondono le dure spigolature triangolari del piano d’appoggio, sul quale si appuntano minimali tracce in funzione estetica, ed a sua volta rotante verso l’interno per una funzione d’uso personalizzata direttamente dal fruitore. Severità ed intimità, protezione nel rigore, enigmaticità nel segno estetico, circolarità e triangolazione, staticità e rotazione sono componenti di una `scultura d’uso’.
`Balestra’ progettata e realizzata nel ’90 rappresenta un ulteriore interessante risultato per una cultura plastica impiegata nella funzione d’uso; la grande panchina conta di un corpo forte in grado di centralizzare valori estetici e fattori funzionali, per cui sono riconfermate energie aggressive, tensioni estremizzate con spigolature, angolature, triangolature volumetriche; si osserva di base il modulo geometrico, già individuato in precedenti esperienze, così sono riconfermate durezze nei `becchi’ gotici.
Un corpo plastico centrale di una grande scrittura, che appare funzionale per il movimento aggettante delle balestre, da cui il titolo, estrapolate direttamente da un impiego precedente; le balestre confermano una funzione meccanica ed introducono mobilità ed alleggerimento sia estetico che di impiego; legano minimali lastre di appoggio accuratamente sfalsate sulla mobile linea dell’orizzonte.
Severa, a tratti ironica, `Balestra’ racchiude perfettamente un progetto culturale per nuove responsabilità della scultura nella sua collocazione in aree urbane quali piazze e giardini.
Conseguendo e correttamente applicando una grammatica espressiva così definita, Giorgi s’impone con nuovi progetti in relazione con il binomio arte/design.
L’occupazione dello spazio con segni plastici incisivi, a tratti enigmatici ma suggeritori di aggressività ancestrali, appare una costante anche nella produzione più recente; i tre `Pozzi’ del 1990, se pur redatti per sagome dalle superfici ampie, si piantano in verticale alleggerimento segnaletico rimandando alle fessure ritagliate nel corpo
plastico, a quei caratteri di tensione espressiva, e quindi di percezione, che un impianto acustico sottolinea ed evidenzia. Ancora un lavoro dai caratteri di modularità industriale sottolineati dall’impiego del ferro e da soluzioni sonore proprie di tale ambito produttivo; in questo clima, senza mimetizzazione dei collegamenti elettrici, per fornire la medesima asciuttezza narrativa, i tre `Pozzi’ riconfermano la volontà d’impegnare lo spazio e quindi caratterizzare ed articolare la funzione.
Se dei `Pozzi’ rileviamo caratteristiche di lucida linearità, evitata ogni pesantezza retorica, seppur radicati e presenti nello spazio, con `Il luogo della forza’ Giorgi intraprende la soluzione, per lui nuova, di una meccaneria. La scultura più recente si fa narrativa, scopre molte sue carte, grazie ad una progettazione strutturalmente più articolata; `Il luogo della forza’ vede svilupparsi quel movimento meccanico, sia diretto che indiretto, sia esplicito che simbolico, che avevamo rilevato nella `Balestra’. Alla modularità severamente minimale risponde un processo di tipo mecanico, una macchineria conseguente ad altre funzioni industriali.
Ritengo che quest’ultima produzione ci permetta di confermare duplici caratteri e duplici interessi, dove l’uno interviene sull’altro arricchendosi; si è trattato di numerosi temi ora confermati su costanti formali, ora rinnovati sul piano della progettazione e produzione.
Per Giorgi si tratta quindi di un lavoro in movimento, ben scandito ma gravitante intorno ad un nucleo centrale la cui infinita sfaccettatura è rilevata da una mirata sensibilità.