Claudio Costa – Terre Emerse

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di Andrea B. Del Guercio

Fiesole, marzo 1993

Quello di Claudio Costa è un lungo e complesso percorso espressivo, costruito per nuclei tematici ed aree problemati­che, un processo scandito e qualificato da un impiego mirato verso materiali specificamen­te e responsabilmente collegati tra loro, ed ancora un’antologia critica che in questi vent’anni di lavoro ha evidenziato la sua figura artistico antropologica, ricca di interessi etnografici, di cultura materiale, di storia dell’uomo e dei suoi simboli.
In questa sede editoriale ma in attesa di un’occa­sione di rilettura organica della sua storia, come della sua produzione artistica e saggistica ritengo utile, anche per mie specifiche competenze, affron­tare e sottolineare le risultanze tecniche e teoriche di tutti quei valori conseguenti ad una grammatica espressiva, caratterizzata dalla forte polimatericità dei supporti impiegati.
Si tratterà di osservare il cammino di Costa per sommi capi, le sue scelte di redazione all’interno e in autonomia con le nuove stagioni della scultura lungo il XX secolo, fra le tante e diverse avanguar­die moderne e contemporanee.
Ho più volte ricordato, e qui desidero sottolinearlo perché esemplare nell’attività di Costa, il duplice e contemporaneo contributo di Picasso e di Duchamp, all’interno del decennio 1910-1920, quando entrambi questi artisti superano le barriere dei generi, interagendo tra pittura e scultura, dere­toricizzando le tecniche operative, allargando e pro­muovendo la vitalità e la tensione comunicativa di un grande bagaglio di dati estratti o estrapolati dalla realtà.
La ricerca di Costa, i suoi diversi cicli di lavoro, si collocano all’interno di questa traccia, con una cre­scita e uno sviluppo di temi condotti in modo auto­nomo. Sul piano della trasformazione dell’oggetto interagiscono fasi alterne, aperte tra un progetto culturale teso ad una rilettura dei miti e dai riti delle popolazioni primitive e la libertà espressiva di un linguaggio disancorato dai mezzi canonici della creatività, che si riferisce invece a materiali i più eterogenei, antropologicamente legati alle radici dell’uomo. Questa operazione comporta il tentativo dialettico di trovare un’intesa che possa riunire due “spinte” forti, una sorte di “congiunzione degli opposti”, e tale processo, per chi ha potuto frequen­tare ed osservare l’artista al lavoro, diventa affasci­nante per quella natura magica, rabdomantica delle sue mani e della sua sensibilità.
Tutto ciò conduce ad una cultura visiva particolare che, per quei valori simbolici ampiamente presenti, esclude la preservazione monolitica (scultura) o mimetizzata (pittura) di un segreto verità: l’atto della presentazione diventa necessità di apertura e di svelamento, di dichiarazione a tutto campo che implica una sensibile partecipazione dell’osservatore.
Quasi sempre l’opera di Costa si sviluppa circolar­mente e si pone come avvolgente, ambientale ed abitativa, quasi in forma di “esposizione museale” per chi ogni singolo lavoro ne diventa porzione spe­cifica, componente separata ma integrante il tutto. L’opera, nell’atto del suo mostrarsi, con questi carat­teri museografici di documentazione e di conserva­zione, è proposta in diversi momenti attraverso col­lages, contenitori di varie dimensioni, armadi, teche, classificatori… Nella produzione più recente, documentata da questa mostra, l’artista giunge a conservare, in modo ancora più assoluto ed intenso, gli oggetti, immergendoli nella cera, una materia malleabile, plasmante, luminosa ed ambiguamente trasparente. Forme in lamiere arrugginite diventano isole rocciose, “terre emerse” poi affioranti dalla liquidità rappresa… ed ecco che il tema della memoria storica, scientifica e antropologica che si sottolineava, diventa un’autodichiarazione pulsante e realtrice di valori più personali, di fattori poetici più intimi.
Quelle durezze che sono imprescindibili e fanno parte della storia dell’uomo, della sua esistenza quo­tidiana, del suo passato e del suo presente, insieme a quella ricchezza e a quella vitalità aggressiva, prolifi­ca e polimaterica che ha caratterizzato per anni il lavoro di Costa, si rivelano oggi smussate da quel bagno luminoso e diafano, per presentarci nuove emozioni e una più intensa liricità privata.
Costa muove ora verso il suo “oggetto d’affezione” con un’ottica più interiore e psicologica, forse a coronamento di quella lunga esistenza creativa che ne ha fatto un esemplare conoscitore dell’uomo, dei suoi risvolti segreti.
Gli anni che Costa ha trascorso in quei variegati caleidoscopi attivi che sono stati i suoi numerosi ateliers, la sua frequentazione con gli immensi depositi di materiali e di manufatti, sia reali che immaginari, ne hanno fatto anche un ricercatore e un letterato di stampo rinascimentale, con improv­vise aperture percettive sempre pronto a decisi attra­versamenti del reale.
Oggi, più consapevole, si muove in uno spazio selettivo per accedere ad una memoria da proiettare e reinventare in un futuro aperto alla poesia.