Augusto Perez – Forme Nel Verde
di Andrea B. Del Guercio
Le « Forme » non effimere
L’attività espositiva condotta sui temi della scultura contemporanea ha trovato negli ultimi quindici anni un punto di riferimento in San Quirico d’Orcia e nelle sue annuali edizioni di « Forme nel verde »; un’attività avviata in anni che ancora non facevano prevedere una incontrollata strategia « mostrista » e che soprattutto si orientava su un genere espressivo, la scultura, ancora immersa in un clima di disinteresse e di scarsa recezione; la preveggenza dimostrata da Mario Guidotti, quale primo promotore della manifestazione, e la perseverante attenzione dell’Amministrazione Comunale alla conservazione di una occasione di informazione e riflessione artistico culturale, ritengo essere stata oggi premiata dalla crescente attenzione e nuova partecipazione di contributi ed adesioni provenienti dalle diverse componenti dell’intero sistema dell’arte.
Tale preveggente anticipazione espositiva, permette infatti di ottenere l’adesione di scultori che hanno tracciato la storia dell’arte contemporanea italiana, ed attraverso i quali, una realtà sociale ricca di tradizioni storico culturali quale quella di San Quirico d’Orcia, fortemente isolata rispetto alla geografia moderna, si trova in una condizione di paritetico confronto e comune impegno di politica espositiva con le grandi realtà urbane italiane e toscane; non è un caso marginale vedere collocare San Quirico nel paesaggio espositivo estivo toscano caratterizzato dalla presenza di occasioni monografiche dedicate a importanti scultori italiani contemporanei, per cui l’esposizione di Augusto Perez nell’ampia e verde cornice degli storici « Horti Leonini », si inserisce in un itinerario geografico culturale che osserva le presenze di Arnaldo Pomodoro al Forte Belvedere di Firenze, Pietro Cascella nel Palazzo Pubblico di Siena, ed ancora di Iginio Balderi nella Galleria d’Arte Moderna di Forte dei Marmi.
Ma la riscoperta a livello collettivo del percorso storico e contemporaneo della scultura ha origini troppo recenti ed attende ancora una intensa attività di ricerca e di studio perché se ne possa comprendere l’articolato sviluppo, i differenziati contributi estetici ed i dati e gli spazi di auto riflessione. L’apporto in questa direzione di San Quirico d’Orcia è già sicuramente notevole ma ritengo che l’attuale edizione, ricca di un contributo espositivo apportato da giovani operatori, e le future che potranno essere studiate e predisposte offriranno ulteriori dati sulla strada d’affermazione collettiva del linguaggio scultoreo.
Quando parlo del contributo della storia di « Forme nel verde » mi riferisco non solo all’attività espositiva ed editoriale, ma soprattutto, al suo piano metodologico, alla dislocazione permanente di opere nel tessuto urbano di San Quirico d’Orcia e quindi ad una prassi assolutamente eccezionale per i centri urbani italiani, se non si vuole risalire alle soluzioni « monumentali » della Prima Guerra Mondiale; la scelta quindi di una stretegia espositiva che si caratterizza come politica culturale non effimera ma responsabile socio culturalmente mi sembra un ulteriore fatto fondamentale nella storia della Manifestazione; un’attività espositiva realmente incidente deve infatti prevedere non solo una scientifica informazione ma anche la « contaminazione » culturale del preesistente con le soluzioni espressive dell’attualità fino ad una omogeneità dialettica nel corpo sociale.
Se ora ho fatto riferimento ad esemplari questioni organizzative dell’attività espositiva, l’individuazione del linguaggio della scultura e la permanenza stabile di alcune opere, mi sembra ancora fondamentale ricordare la lucida individuazione di una metodologia critico conduttiva che ha sorretto fino ad oggi l’articolazione delle scelte, la libera confluenza dei contributi, che eccezionalmente ha permesso un clima di responsabile libertà espressiva.
La scelta dichiarata, nell’edizione ’83 di « Forme nel verde », di Guidotti mi sembra una chiara garanzia in questa responsabile direzione, di articolazione espositiva, « Forme nel verde e non figure. La nostra mostra segue con coerenza la filosofia d’arte che si è prefissa fin dagli inizi. Forme e informalità; strutture e dissoluzioni, anche figure, ma stemperate nella non figura. Comunque nessun estremismo estetico ».
Condivido profondamente questa dichiarazione che pure non premia quanto una posizione di parte, negativamente corrispondente ai tempi crudeli ed ai rapporti violenti interni al settore culturale, perché sempre di più va a corrispondere con il reale ed articolato paesaggio artistico contemporaneo ed al suo deposito culturale, intendendo un significato del tutto nuovo rispetto al concetto d’esperienza e d’informazione in quanto la collocazione dell’elaborazione culturale risulta mutata da una condizione di settore specifico per una proiezione più apertamente di tipo collettivo e con ruolo di componente di costume.
Ma lo scritto di Guidotti apre allo specifico tema di questa edizione di « Forme nel verde » 1984 che si emblematizza nella soluzione di maggiore sensibilità interiore con Augusto Perez rispetto al paesaggio artistico e della scultura italiana posta tra gli anni ’60/’80.
Il tema dell’immagine, nella soluzione di riconoscibilità dal reale, non poteva infatti essere meglio tentato sulle opere di un artista tanto profondamente appartato quale è da tempo Perez ed in particolar modo con un percorso di costante sprofondamento nel suo lavoro più recente.
Non si tratta infatti di ripercorrere la volgarizzazione critica estremizzata tra figuratività ed astrattività, nemica da decenni di una serena e scientifica decifrazione delle opere, ma bensì tentare la comprensione del significato recondito di una scelta linguistico espressiva e forse ancora apprezzare nella sua interezza, la filosofia del linguaggio delle immagini visive.
Non posso in quest’ultimo contesto non ricordare il saggio esemplare di Giorgio Agamben « Il viso e il silenzio » (in « Ruggero Savinio, Opere 1983 », Edizioni Philippe Daverio, Milano ’83) dove si pongono intatti gli umori promotori, la ragione profonda per cui « La pittura è poesia che tace, la poesia è pittura che parla » … « La pittura dice sempre Simonide è ammutolimento della poesia, silenzio della parola. Non semplicemente che la poesia cessi di parlare: piuttosto che vi sia parola e che si veda il silenzio » . … L’idea è visione della parola, di ciò che costituisce ogni immagine come immagine. / Nel punto in cui la vediamo, la parola tace. Qui vediamo finalmente il silenzio del linguaggio, il suo viso. Questo coincide con quello della cosa. Il linguaggio, infatti, noi possiamo vederlo solo nel punto in cui prendiamo congedo da esso. / Di fronte a questa visione, gli uomini si ritraggono inorriditi, incapaci di sopportare il viso della parola, la nudità del loro stesso volto … Fermi nell’immane silenzio di questa visione, come nel sobrio baccanale di una nuova umanità, il pittore, il filosofo vi tengono fisso lo sguardo mentre conversano … ».
Pur con il rammarico per l’impossibilità di riportare interamente il testo e con la coscienza per l’irresponsabile opera di citazione frammentaria, riteniamo possibile avanzare, con una più autentica volontà di rispetto critico, nell’attività sperimentale di racconto dell’opera d’arte; ed il « silenzio » e non l’urlo, la poesia e non la dichiarazione, sono il volto della parola, l’idea in quanto visione della parola, di Augusto Perez; la messa a fuoco per manipolazione in crescente accelerazione dell’immagine, lo studio per il conseguimento di un equilibrio, il rispetto di una grammatica continuamente da verificare e da rintracciare sono alcuni dati nella prassi di redazione di una visiva poesia. Molti sono i contributi critici che hanno seguito l’avventura espressiva dell’artista, esprimendo decifrazioni, analisi delle diverse soluzioni tecnico formali impiegate e delle aree tematiche affrontate, ma forse ciò che andrebbe tentato a differenza di alcuni altri scultori dell’immagine a cui è più frequentemente collegato, ed autonomamente caratterizzati da precisi e diversi caratteri, mi sembrerebbe la sospenzione del giudizio e la scelta dell’invito alla lettura da parte del singolo, con gli strumenti che intimamente si detengono e si racchiudono nella sensibilità.
Ma non a tutti è garantita tale piacevolissima disgrazia.
Senza voler fare o tentare della cattiva letteratura, quale più basso livello della pratica critica, e rifiutando anche gli apporti psicologicamente facili suggeriti da una attività di citazione ed attribuzione di relazione con talune tappe della storia artistica ed in particolar modo per Perez del citatissimo « barocco », suggerire al lettore una scarnificazione delle soluzioni grammatico espressive ed adesione ad una introspezione autonomamente vissuta. Priva anche del mio possibile apporto illustrativo e didattico.
Ritengo cioè possibile far uso della presenza di una superficie indispensabilmente ricca e straripante, proliferante di deviazioni, di copertura di fisionomie psicologico emozionali recondite, tutte segrete e quindi con la coscienza di raggiungere una comunicazione impercettibile; ed è poesia.
Anche la predilezione per superfici scultoree caratterizzate da un solo piano di recezione, anche se ricchissimo di appunti, trasgressioni e suggestioni, sembrano sottolineare un’esigenza di concentrazione stabile, e quindi un suggerimento diretto al profondo della lettura, ed ancora evitare le distrazioni di altri punti d’osservazione. Il risultato appare quindi la fissità della scultura classica, l’enigma della proliferazione settecentesca, l’inquietudine della metafisica quotidiana.
Il ricco impianto dei grandi bronzi della seconda metà degli anni ’70, perdendo la riconoscibilità per via di una manipolazione sempre più immediatamente in sintonia con la coscienza della propria interiore profondità, libera da dipendenze e verifiche con il reale, autonoma di vita propria, è stato sostituito in questi primi anni ’80 da opere all’interno delle quali è venuta crescendo una carica enigmatica, purificata a livello profondo, e che potremmo in qualche modo anche definire quotidiana, e quindi, curiosamente ancora impercettibile. Si diradano gli eclettismi e le elaborazioni sul tema per prediligere l’insistenza solitaria, antica, nel senso romantico del termine, ma contenuta nel profondo, alle origini dell’emozione, e tesa aduna uniformità dell’immagine; la poesia perde la proliferazione degli aggettivi per tentare l’articolazione emozionale ed assolutamente ermetica del soggetto, isolato e disperso nel mare della sensibilità e del ricordo.
In questa avventura in sprofondamento sostenuta dal sensuale amore per la modellazione, Augusto Perez più forte esprime il desiderio di far Poesia.