Tra Dialoghi di Terra: La Scultura di Giampiero Moioli e di Stefania Alberini

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di Andrea B. Del Guercio

1994

L’introduzione all’attività di Giampiero Moioli e di Ste­fania Albertini non può non tener conto, e costruttivamente collocarsi all’interno di un particolare sviluppo della più am­pia storia della scultura italiana del XX secolo per mirate spe­cificità, e quindi soffermarsi sul percorso di autori autonomi e diversi nel progetto culturale, ma che hanno in comune il dato di supporto, ed in particolar modo l’approccio ad esso.
L’approccio come sensibile incontro, presa di contatto ed atto del misurare valori e significati per giungere al proces­so di redazione dell’opera va qui specificatamente inteso nella manipolazione tattile di un materiale primario qual è la terra: manipolare la terra quasi come giocare col fango, agire con la sensuale liquidità del gesso e le morbidezze dell’argilla, fino al togliere e all’aggiungere quando il tutto sì fa più compatto, fino al suo consolidamento stabile, ora per naturale essiccazione, ora per cottura o per fusione.
Ciò che mi interessa mettere in evidenza sono i valori in­tensi che il termine “terra” assume in questo particolare am­bito, e che ci proietta oltre l’antica definizione specifica di terracotta, ma ancora materiale simbolo di una condizione primaria ampia, di immediato e diretto approccio, immedia­tamente manipolabile dall’uomo, dal bambino e dall’arti­sta di ogni tempo. Terra, quindi, come argilla, ma anche come gesso, cemento e poi bronzo, ghisa, ferro, alluminio.
Ritengo che la terra, forse solo così intesa, ci permetta la lettura del fare scultura all’interno della storia del Medi­terraneo, sin dalle sue infinite radici antiche e popolari per poi riapparire nella vivacità caleidoscopica delle specifica­zioni moderne e contemporanee.
È Picasso ad assumere lo straordinario ruolo di attraver­satore di tanta cultura della “terra mediterranea” con quel­l’immediatezza antropologicamente caratterizzata che la sua manipolazione diretta, il suo approccio tattile, testimo­nia nella sfaccettatura delle soluzioni impiegate; l’atto del­la manipolazione della terra, del suo patrimonio materiale redatto dalla natura e dall’uomo, ricolloca l’artista nel mon­do, non più Re Mida astratto né figura divina della crea­zione, ma uomo tra gli uomini.
Il paesaggio artistico incentrato sul supporto “terra” con­ta in questo secolo la presenza di scultori italiani che po­trebbero verificare i sempre più ampi confini dell’artisticità contemporanea. Nei termini che si sono indicati per una scul­tura che si è completamente rinnovata nel rapporto diverso con la materia, si colloca l’opera di Medardo Rosso, e spe­cificatamente per l’impiego della terracotta, il percorso di Arturo Martini, mentre il più significativo sviluppo nella sta­gione contemporanea giunge da Lucio Fontana, sin dalla stagione della ceramica alle sensuali slabbrature del bron­zo, alle architetture modulari di Fausto Melotti, alle policrome informalità di Leoncillo; su questa strada ed in relazione al­l’ulteriore divaricamento problematico per specificazioni an­tropologiche dell’arte e quindi dei processi di redazione, si colloca la scultura, sempre con caratteri di autonomia te­matica, di Nanni Valentini e di Pino Spagnulo.

Dialoghi

Dialoghi di oggetti nell’habitat esterno e nell’habitat in­terno, dialoghi tra il vérticale e l’orizzontale, dialoghi tra il maschile e il femminile, in cui l’uno include anche i carat­teri dell’altro.
Per Moioli e Albertini ritengo si tratti di un fare scultura che non si appiattisce nell’uniformarsi delle personalità, ma che non è neanche costruita per posizioni estreme e con­trapposte, per dati diversi e conflittuali.
Si rivela, invece e soprattutto per quest’ultima produzio­ne, una redazione che, condotta a quattro mani, mira alla ricerca di un confronto e di un incontro, di un movimento da verso dove il movimento e lo stare, il percorso ed il sito, sono realtà tangibili di ogni essere. I due scultori, la­vorando insieme e nel rispetto della reciproca sensibilità, esaltando gli individuali caratteri espressivi, hanno costrui­to un complesso segnico plastico rispondente, senza ridut­tivi schemi psicoanalitici, alla natura maschile ed a quella femminile, all’emblematizzazione emozionale delle due na­ture e del loro sensibile fluttuare.
La mia analisi può, in questa fase, concentrarsi sulla let­tura di due recenti lavori di grandi dimensioni, costruiti nei due materiali la terracotta e il cemento e caratterizza­ti da due persistenti soluzioni formali dove ognuna delle due formazioni include concettualmente anche l’altra: mi riferi­sco a “Oceani cartesiani” del ’93 ed al “Cuore di Dioniso” del ’94.
Ho potuto osservare i due grandi lavori, articolati tra di­versi elementi, soggetti modulari, pur nell’informalità della materia e scanditi nettamente sul piano cromatico, installati in un esterno ampio e verde, ed ho avuto subito la sensa­zione del dialogo simbolico tra i due autori, del confronto ­incontro per emozioni metafisiche tra le diverse tipologie dei manufatti impegnati.
Da un prato pettinato svettano le strutture architettoniche ed i volumi torniti, gli alveoli materni degli “Oceani cartesiani”; bozzoli filanti; per entrambi sono pareti calde ed ani­mate da un palpitare delle superfici, che ora si dischiudono comunicanti ed ospitali, ora si serrano severe e protettive. Le architetture, ora solide torri, ora robusti condotti, ed i sen­suali alveoli, sono dati costanti, sostantivi assoluti, che dia­logano per congiungimento, si confrontano per contrappun­to, ed ancora sia l’uno, sia l’altro paiono includere parte della reciproca natura: entrambi sono, infatti, cavi per con­tenere al loro interno, per conservare e distribuire.
Se spostiamo il nostro punto di osservazione, usufruendo di una documentazione fotografica dall’alto delle due in­stallazioni, riconosceremo nel progetto una condizione di radicamento, di appartenenza al territorio, di dialogo con esso e quindi di realizzazione di un habitat simbolico del­l’uomo con espressi i suoi più importanti elementi rappre­sentativi, la casa e la strada, il tragitto e lo stare.
Ora se ci spostiamo, alla luce di questi dati, su opere di più limitate dimensioni e con collocazione in interno, potre­mo ulteriormente scoprire ancora la natura di quel dialogo. Se prendiamo in specifica osservazione le opere “Piccolo habitat” e “L’ordine delle cose” ci rendiamo immediatamente conto di quanto persistente prosegua l’interscambio e l’in­tegrazione tra i due dati.
Il modulo costruttivo viene qui impiegato per ampia pa­rete architettonica, predisposta a contenere, ad ospitare uno o più alveoli, ora lasciando un più autonomo spazio, ora presentandosi avvolgente e protettivo.
Se le due grandi installazioni fondavano le loro ragioni sul movimento, cioè sul procedere dell’uno verso l’altro, ne “L’ordine delle cose” si assiste ad un solido stato di inte­grazione tra i dati, ad un dialogo, cioè, lucidamente serra­to e comunque sempre animato, come disvela anche il sot­totitolo “Habitat per creature eccentriche”, dall’incidenza vivace dei rossi, dei bianchi, dei blu cobalto, del più caldo bronzo.

Il colore e i materiali

In quest’ultima produzione plastica il colore interviene pro­rompente, conseguenza di un’attività pittorica organizzata per forti strutture e grezze architetture di juta, ma anche in relazione con l’attività decorativa applicata alla ceramica, con il forte valore della sottolineatura. L’uniformità calda del­l’elemento costruttivo modulare sicuramente severo nella sua natura attiva vede in contrapposizione le accensioni mono­cromatiche dei blu, dei rossi e dei bianchi. Nelle grandi in­stallazioni, come nei più piccoli pezzi, l’uniformità calda del­l’elemento costruttivo modulare subisce la presenza, incontra e si confronta con l’improvvisa accensione del soggetto fem­minile esaltato dal colore monocromo: si sono ricordati il ros­so, il blu cobalto, il bianco. La presenza del colore segnala il procedere di un’attività espressiva sulla costruttività del dialogo, dell’integrazione tra intelligenti e sensibili perso­nalità artistiche.
Nell’introduzione parlavo con significato molto ampio di terra, come valore di processo espressivo; un dato che nel­l’attività recente di Moioli e Albertini viene riconfermato dal­l’impegno, spesso combinato, della terracotta, ancora nei termini di supporto primario per i due scultori, del cemento, del bronzo policromo, e soprattutto oggi delle fusioni in al­luminio, su cui può intervenire diretta e forte una pittura vi­vace. Si tratta quindi di una procedura per manufatti diver­si nella natura compositiva e nei processi di redazione, e tendenti anch’essi al dialogo ed al confronto, all’esaltazio­ne di autonome specificità sempre all’interno di un mirato percorso espressivo. Anche l’attenta cultura dei materiali as­sume quindi una precisa centralità per il conseguimento di un paesaggio plastico in costante evoluzione, che si auto­rinnova nel confronto ma sempre si imposta su solide basi compositive.