Raffaele De Grada e l’Essenza Strutturale della Natura

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di Andrea B. Del Guercio

Torino, novembre 1963

In quest’ultimo decennio si sono moltiplicati gli studi e le ricerche ma anche una nuo­va attribuzione di valore per quella stagione espressiva che in Italia si colloca tra gli an­ni 1920-1940 e quindi tra la fine congiunta della Grande Guerra e delle Avanguardie Storiche.
Il venir meno delle ragioni ideologiche a cui era collegato un giudizio critico sospetto­so, teso all’oblio ed alla rimozione nei confronti delle esperienze estetiche direttamen­te rapportabili a quei lunghi anni che avrebbero condotto all’affermazione del regime e della guerra, hanno positivamente favorito il fervore della riscoperta e della rivaluta­zione di una stagione sofferta e contraddittoria ed in essa di significative ed autonome personalità. All’interno di un moltiplicarsi delle indagini e di una vivace attività editoriale appare parallelamente percepibile, con sempre maggiore evidenza, una diffusa linea di giudi­zio caratterizzata dalla riaffermazione ambiguamente compiacente di quei valori che,se furono specifici della stagione in oggetto, certamente sfuggono al patrimonio del presente. Intuiva nel 1985 questo clima di oggi Giovanni Testori attraverso un testo, ricco dispunti e di ipotesi di lavoro ulteriore, dedicato all’opera di Raffaele De Grada, “usa ed abusa, anche il Novecento rischia ormai di trasformarsi in un `contenitore’ buono per tutti e tutto; per un artista e per il suo contrario“. La riosservazione storico critica ha la necessità per essere tale, cioè per risultare meto­dologicamente corretta, di poter operare sul confronto indipendente delle diverse vo­ci e soprattutto delle opere quale risultato di un lavoro intellettuale; quando si inseri­sce all’interno dell’analisi la ricerca di un progetto espressivo già previsto in quanto ri­tagliato all’interno di una materia più ampia, inevitabile è il riduttivismo del giudizio.Ora ritengo che uno studio attento e non schematico delle opere di Raffaele De Grada segnali alcuni valori specifici attraverso i quali ritengo possibile comprendere quell’au­tonomia diffusamente riconosciutagli, da Anceschi a Valsecchi, all’interno del patri­monio artistico italiano e del “Novecento” di cui fu comunque testimone ed attore im­portante; valori espressivi quali risultati di un processo culturale articolato e sintoma­tici di un’autonomia accertata nel passato con rispetto ma anche fattasi nel tempo ge­nerica dichiarazione poetica, da cui forse è dipesa anche l’eccessiva attribuzione lom­barda da parte di Testori. Quando l’autonomia di De Grada ha il carattere dell’affermazione dell’indagine e della comunicazione pittorica il clima che lo accoglie non può corrispondere a quello “nei primi anni Trenta” di “quei probi artigiani del paesaggio che, operando spesso e vo­lentieri fuori Milano,si coltivavano un loro mondo di incantati idilli, di trasognate eva­sioni liriche, di invasamenti panici smemorati” attribuitogli nel `92 da Giovanni Anza­ni e Carlo Pirovano Z.Ora se l’immagine di Raffaele De Grada, consegnataci dalle testimonianze dei suoi con­temporanei, è sicuramente quella di un uomo appartato e di un artista interamente de­dito alla pittura, “mite e schivo il De Grada, lavora con raccolta umiltà”, secondo il giu­dizio di Carlo Carrà nel lontano ‘283, si dovranno esaminare le ragioni anche culturali che vi si posero alla base e che furono specifiche dell’esperienza del fare pittura come ascolto, ma anche come osservazione critica rigorosa di quella realtà che andava a cer­care ventenne sulle Alpi svizzere e nella maturità nella pineta di Forte dei Marmi e Vit­toria Apuana sotto gli occhi di Eugenio Montale “arrancante su una vecchia bicicletta, armato di tavolozza, treppiedi e pennelli, sempre in moto alla scoperta del motivo”.
Immagini che hanno certamente il sapore caldo di tutta la pittura tra otto e novecen­to, dei macchiaioli e degli impressionisti; ma sono immagini ricordi che possiamo at­tribuire a Cézanne, l’artista più amato e studiato da De Grada, e con esso vedere rifon­data la pittura, oltre la liricità e l’intimismo del naturalismo verso l’essenza strutturale della natura.

1899-1918 Gli anni dell’apprendimento e della prima maturità

Pur non essendo in questa sede editoriale utile ripercorrere tutti i dati noti e più volte ricostruiti della biografia di Raffaele De Grada assume particolare valore nella sua sto­ria artistica l’individuazione e la messa in evidenza di alcuni particolari importanti col­ti all’interno della lunga residenza in Svizzera a Zurigo iniziata, al seguito della fami­glia ed in relazione all’attività di esperto decoratore svolta dal padre, all’età di quattor­dici anni, quindi nel momento fondamentale della sua formazione culturale ed artisti­ca, in particolar modo.
Sappiamo che nella sua preparazione artistica non ha avuto peso, come forse ci si at­tendeva, la scuola italiana, seppure di essa ne conoscesse i maggiori autori del mo­mento, e Segantini conosciuto attraverso il padre, ma un significativo valore fu assun­to dagli studi in Germania tra il 1902 e il 1905 presso le Accademie d’Arte di Dresda e Karlsuhe dove non poté non incontrare direttamente gli umori ed il fervore rinnova­tivo raccolto nel movimento secessionista nelle sue diverse fisionomie espressive, ma anche le tensioni estreme della “Brùcke” raccoltasi in quegli anni proprio a Dresda.
Significativa in questo clima, fervido per le nuove aspirazioni, è la presenza di De Gra­da attraverso due quadri “Alpensee” e “Landschaft am Arno” alla “Secessione di Mona­co” del 1914.
Che si sia trattato di un’esperienza culturale articolata è attestato direttamente da un’ampia produzione di dipinti dedicati ai diversi volti del paesaggio svizzero; da quel­lo delle Alpi innevate, delle colline e della campagna in estate, a quello dei torrenti vi­vaci in primavera; un percorso espressivo circondato subito dall’attenzione vigile della critica con pubblicazione di numerosi dipinti nelle riviste specializzate, dall’interesse del collezionismo, dall’esposizione delle sue opere già a partire dal 1903 ed ancora lun­go gli anni venti presso la Kùnstlerhaus e Kunsthaus di Zurigo.
Testimone ulteriore del radicamento di De Grada e della sua pittura in area culturale tedesca, quindi di un radicamento strutturale portante delle sue concezioni estetiche appare la sua prima grande esposizione personale con oltre cinquanta opere presso la Galleria Neupert di Zurigo nel 1913; in questa sede rappresentativa sono esposte ope­re dedicate sia al paesaggio svizzero sia a quello italiano, toscano e umbro.
Dai numerosi dati biografico culturali accertati dai documenti conservati dall’Istituto Svizzero di Belle Arti e nell’archivio del Kunstmuseum di Zurigo e di Monaco, nonché dalle testimonianze dirette della moglie Magda e di Raffaele junior, si deve ricavare l’immagine di un artista al centro di una situazione culturale di dibattito e d’informa­zione vivace ed intensa, al cui interno, cioè, venivano ad interagire esperienze esteti­che diverse. In particolar modo si deve ipotizzare la coopresenza nella formazione e maturazione di due distinte e contrapposte componenti d’influenza per due distinti va­lori, la luce e la forma, rifondati nell’originalità dell’estetica di De Grada.
Rossana Bossaglia, memore forse del prezioso suggerimento di Raffaele Carrieri, dove la Provenza di Cézanne ha “una maggiore distensione di luce, una costruzione che ri­sente di un’altra aria e impasto atmosferico”, ha ben osservato la presenza nei quadri ove più “dolci si aggirano certe luci fredde […] ed in quelli più sommessi un puntiglio di pennellata diverso dalla tendenza formalistica della scuola francese”.
Incisiva è la segnalazione di Ferdinand Hodler, nato a Berna nel 1853 e scomparso a Ginevra nel 1918, quale figura dominante sulla scena svizzera per una pittura caratte­rizzata dalla ricerca della luce come valore assoluto del colore a cui è asservita una ri­gorosa coscienza costruttiva del soggetto; un dato di riferimento specifico per il giova­ne De Grada appare quello rappresentato da Hodler dall’interno del jugenstil interna­zionale così come fu Arnold Bócklin per Giorgio de Chirico negli stessi anni di forma­zione pre-metafisica.
Probabilmente non fu soltanto occasione di un’influenza superficiale, ma valse come momento indelebile della coscienza espressiva più profonda dell’artista e persistente lungo tutti gli sviluppi di una pittura attenta alla luce come valore che auto dichiara la propria tangibile presenza attraverso il colore nella limpida freddezza degli incontami­nati paesaggi alpini e nella calda corposità solare della civile campagna toscana.
I numerosi viaggi italiani tra l’Umbria e la Toscana favoriscono, come documentano le numerose riproduzioni inserite nel n° 24 della “Die Schweiz” edita a Zurigo nel 1913, un lavoro sulla luce in un progress espressivo sempre più dichiarato e con soluzioni personalissime che rasentano quelle atmosfere metafisiche proprie della maturità dopo gli anni venti, secondo un rapporto autonomo ma anche in sottile continuità con le ri­cerche `simboliste’ di Hodler e della cultura tedesca; cosi dall’interno della plasticità di una luce intensa e distribuita in uniformità nascono le prime verticalizzazioni torrite di San Gimignano e di Orvieto.
Anche la pittura dedicata al paesaggio svizzero subisce l’influenza di una ricerca espres­siva che muove la sua evoluzione oltre il naturalismo, oltre la descrizione verso la per­cezione di una condizione di fissità psicologica al cui interno operano, in una prima fase, emozioni interiori sospese come testimonia il villaggio di Bergún del 1912 1913, cristallizzato sotto il manto nevoso insieme alle sue montagne, per poi svilupparsi at­traverso il vigore della natura nel paesaggio contrastato del 1918 Kornfeld ed in quello del 1919 Sihlandsdorf dal gioco intenso dei marroni.
Questi primi vent’anni di lavoro di De Grada ci suggeriscono un percorso espressivo teso verso la definizione di una grammatica cromatica rigorosa, scandita attraverso la compostezza luminosa della sua materia, a tratti anche animata da un’energia interio­re che in ogni caso non possiamo definire espressionista.

Retrospettiva alla Galleria catalogo della mostra d’Arte Gissi, Torino, novembre 1963.
R. Bossaglia, Raffaele De Grada Catalogo, Milano, 6 M. De Grada, La pittura nella vita di Raffaele DeG. Testori, Il lombardo De Grada, Milano, Evange lista Editore, 1985.
Sulla base di alcune mie supposizioni critiche le ricerche sugli Archivi di Zurigo e Monaco sono state seguite dal prof. Raffaele Giannetta a cui esprimo la mia viva gratitudine.