Guttuso nelle collezioni toscane
di Andrea B. Del Guercio
1985
Renato Guttuso Mostra Antologica
Di fronte alla personalità di Renato Guttuso e alla sua articolata presenza nel paesaggio culturale italiano contemporaneo, inteso nel suo valore più ampio, si rende indispensabile per l’impegno critico, cosciente delle sue responsabilità storiche e delle sue specifiche caratteristiche nella sede editoriale, un ritorno di attenzione primaria alla produzione pittorica, ai suoi svolgimenti formali e tematici, emblematicamente raccolta in questa occasione espositiva e completamente riportata in tale ambito. Operare questa scelta di conduzione critica, trova ragione nell’assoluto rifiuto di aderire a strategie recentemente diffusesi nel settore delle Arti Visive italiane con caratteristiche protagonistico isteriche, tra ipotesi di potere e di mercato, che creano gravissimi danni alle già precarie condizioni di sviluppo del settore, provocano crisi di credibilità sull’autenticità del messaggio, si rendono fuorvianti rispetto ad una esatta valutazione dell’opera d’arte. Non c’è dubbio alcuno che Renato Guttuso con il suo ruolo determinante nel dibattito culturale ed artistico nazionale, costantemente riconfermato da iniziative espositive, dichiarazioni d’estetica, presenza politica, si trovi al centro, e con chiaro spirito di combattiva partecipazione, di quella situazione confusa e compromessa in gran parte, a cui sopra si accennava. Scegliendo invece la strada dello stretto riferimento alle opere pittoriche ed al loro percorso e sviluppo, accompagnate da una Antologia Critica cronologicamente riferita, si ritiene di poter tentare con ritrovata chiarezza ed autonomia, il momento del dibattito e del confronto, sia su un piano di riflessione storica, che di presenza nel contemporaneo; una direzione attraverso la quale possono muovere sia gli addetti ai lavori, e di essi soprattutto le nuove generazioni critiche o artistiche, sia il grande pubblico, a cui è indispensabile portare uno scientifico rispetto. Ma la complessità dell’argomento che, in questa sede, abbiamo chiara coscienza di non poter esaurire, mi suggerisce, sempre in un clima di riorganizzazione del settore e dei suoi “argomenti”, il richiamo ad ipotizzare una specifica occasione che, ricollegandosi ad una depositata tradizione storico artistica, affronti la “fortuna critica” dell’artista e i suoi precisi contributi teorici: dopo le Grandi Antologiche di questi ultimi anni e gli ultimi aspetti critici, una specifica sede di studio, affidata alla riflessione di giovani studiosi, sarebbe in grado di porre le basi di penetrazione oggettiva e rinnovata di una delle componenti che, con le sue varie articolazioni ed interferenze nel contesto collettivo, continua ad avere notevole peso. Sono convinto che, proprio dalla figura di Guttuso, sia possibile emblematicamente acquisire i dati di quel rinnovamento della figura dell’artista con caratteristiche pubbliche e di massa, secondo uno spostamento da una condizione di impegno sociale immediato, con caratteri di vitale scontro, di entusiastica partecipazione alle lotte per il rinnovamento dei rapporti umani e tra le classi, ad una progressiva caratterizzazione intellettualistica ed anch’essa proiettata sulla collettivizzazione, per raggiungere una più diffusa condizione di costume. Un percorso pittorico e culturale, politico ed umano che racchiude gran parte dei dati, positivi e negativi, conflittuali e contradditori, che troviamo alla base delle attuali condizioni di rapporto e di immagine del settore. E’ su questi dati e su queste componenti che si fonda l’indiscutibile vitalità di Renato Guttuso e la sua costante presenza nel panorama italiano contemporaneo.
Guttuso nelle collezioni toscane
I programmi della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Forte dei Marmi, responsabilmente coscienti dei propri limiti organizzativi, ma impostati su una tradizione di moderna museologia per l’Arte Contemporanea sul modello dei paesi del Nord Europa e in grado di operare in condizioni di massima utilizzazione degli spazi espositivi, delle realtà editoriali, e di lettura delle opere, hanno visto una caratterizzazione spiccata per la promozione e la verifica dei grandi temi dell’arte e delle sue maggiori figure creative nel contesto regionale toscano.
Dagli sviluppi recenti delle nuove generazioni artistiche, alle componenti storiche dei movimenti artistici e d’avanguardia del primo ‘900, dalle scelte di direzione delle aree figurative, astratte e postmoderne, è stato tenuto come punto stabile di confronto, il contesto regionale sul piano artisticoproduttivo, di conservazione e collezione, di riferimento storico culturale diretto ed indiretto. Un terreno dimostratosi sicuramente ricco ed assai articolato sulle diverse voci affrontate espositivamente ed editorialmente; ed è ancora sul tessuto culturale della regione che ho ritenuto utile impostare una Mostra Antologica dedicata a Renato buttuso, nel quadro del ciclo “Grandi Monografie”, iniziate nell’82 con la collezione di sculture, disegni e grafica della Fondazione Henry Moore ed alla presenza del Maestro inglese.
Essere pervenuto alla raccolta di opere qui edite, dopo averne rintracciate numerose in altre collezioni private, dimostratesi più avare nella possibilità di un prestito espositivo, con le quali è possibile compiutamente osservare la storia artistica di Renato Guttuso, le sue origini realistico popolari, le ricerche neo cubiste (“Studio per la Crocefissione”, 1941, Coll. Ferri), i temi della partecipazione politica, le qualità intrinsecamente pittoriche, una stagione di sperimentazione e di intellettualità ora vitalmente accesa ora più ermetica e concettuale (“Le visite”, 1973, Coll. Badoglio; “La piscina”, 1977, Coll. Privata) mi sembra un risultato assolutamente positivo, perché in gran parte fondato su opere raramente esposte e poco conosciute dal grande pubblico, raccolte gelosamente nelle “private stanze”. Una Mostra in parte composta da inediti e da opere di straordinaria qualità, in alcuni casi quasi anomale rispetto ad un cliché riduttivamente diffuso, per la prima Antologica dedicata da una Amministrazione Pubblica in Toscana a Renato Guttuso.
“Mendicante” del 1945 e “Sciuscià” del 1950.
Il “mondo degli umili” a cui Guttuso ha dedicato grandi energie creative, culturali e di militanza politica, è la prima tappa di questo viaggio nel suo lungo percorso, in quanto assume il fondamentale valore di luogo originario, di habitat primario. Un mondo, la Sicilia dei primi del ‘900, inimmaginabile oggi senza l’uso di strumenti letterari, ma percettibile in tutta la sua tragicità in rapporto alla persistente drammaticità dei suoi caratteri. Ed è dall’informazione recente con la sua volontà di intervento e risanamento che si possono cogliere le qualità della testimonianza pittorica di Guttuso, assolutamente lontana da umori retorici e cruda quanto solo l’intensità psicologica, nella volontà espressiva e nella tappa ricettiva, è possibile proiettare. Sottolineare il valore dell’impressione psichica sulla descrizione e la riconoscibilità, è proprio la strategia critica per questo periodo creativo del Maestro siciliano, che quindi si definirà con attributi chiaramente diversi rispetto a limitative definizioni realistiche. Le due opere si presentano, pur con caratteri diversi, assolutamente concentrate all’interno della propria singolare ed autonoma specificità, per cui il messaggio è, in entrambe assolutamente diretto alla sensibilità, senza possibili diversificazioni formali, orpelli o citazioni, e quindi tanto compatte da risultare relatrici di un messaggio così diretto alla sensibilità del lettore, da risultare in posizione enigmatica, con valore interrogativo e senza gratificante risposta.
Le due opere risultano corrette e concentrate nella loro costruzione, severamente verticale la prima, languidamente distesa la seconda, dura e contrastata tra scuri e chiari, tesissima nella grammatica segnica la più antica; solare e sensuale, lirica per una materia cromatica vivace e palpitante oltre le lacerazioni, la più recente, che rappresenta un gio
vinetto addormentato. Intorno a queste due opere andrebbero raccontati i fatti storici, tra fascismo e guerra, quelli sociali, tra mondo contadino e questione meridionale e, per sintonia culturale, anche rilette le pagine di Vittorini di “Conversazioni in Sicilia” del 1941 e, per il loro linguaggio scarno, anch’esso tanto concentrato su se stesso, psicosociologicamente costruito, quelle di “Uomini e no” del 1945. Credo sia proprio su questo particolare valore attribuito ad una tesa concentrazione espressiva e su una sua conseguente ricezione, che vada operata la prima indagine sull’opera di Guttuso, in rapporto ad essa vadano tentati nuovi confronti: la tensione psicologica, il suo intimo valore con proprietà enigmatiche, che fu l’inconscio risultato del primo Espressionismo, accresciuto, nel caso in esame, da una vitalità epidermico solare, relatrice di umori a tratti metafisici.
“Carrettieri di notte” del 1947
L’opera può essere ricondotta all’ampio ciclo pittorico dedicato alle realtà rurali, redatto con soluzioni pittoriche tipiche di un confronto aperto con la complessa stagione delle Avanguardie Storiche, con l’eredità cezanniana e con lo spirito di “analisi” dei volumi e delle superfici del soggetto reale. Quel mondo “umile”, fatto di gente semplice e di poveri strumenti, viene indagato da Guttuso con la volontà che non è solo quella di una intima e civile partecipazione, di poesia e di denuncia, ma anche da uno spirito di ricerca grammaticopittorica. Il risultato è una chiara stilizzazione e una riduzione analitica dei termini oggettivonaturali, con predominanza di motivi segnicografici che, se da una lato limitano emozioni e reazioni immediate di partecipazione al messaggio sociale, dall’altro esaltano i termini di adesione poetico esistenziale, di intimizzazione della condizione umana. Un’opera importante all’interno del percorso creativo dell’artista, per i suoi diversi contenuti di ricerca e di sensibilità.
I momenti della lotta.
“Fucilazione” del 1945 e “L’eroina garibaldina” del 1954
Benché poste a notevole distanza temporale l’una dall’altra, queste due opere sono in grado di emblematizzare l’attenzione di Renato Guttuso per gli aspetti più accesi e di violenta partecipazione insiti nella storia della società umana; accanto al “mondo degli umili” su i quali l’artista interviene con l’interiorizzazione dei sentimenti, osserviamo i “momenti della lotta”, per i quali le soluzioni espressive si articolano e si compongono in base alle forme grammatico visive nel loro momento di redazione, ma forse più esattamente si dispongono al migliore svolgimento del tema. Risulterebbe poco scientifico ordinare per via stilistica tale area di riflessione pittorica e quindi è assai più esatto operare sul singolo lavoro e, nel caso delle grandi opere, sul complesso degli studi preparatori. Pregiate Edizioni sono già state dedicate ad opere fondamentali per la storia artistica di Guttuso, dalla “Crocefissione” del 1941, alle numerose redazioni sul tema della “Conquista delle terre” e, se risultano numerosi gli interventi pittorici dedicati a fatti o ad avvenimenti violenti nei quali si trovano le masse, contadine od operaie, gli eserciti regolari o le bande armate, gli atti eroici individuali, ciò spesso è avvenuto attraverso appunti, rapidi schizzi concepiti in base ad una emozione violentemente immediata, e sono espressi in modo tale da non collocarsi nella rischiosa condizione della ripetizione, o della denuncia retorica fine a se stessa. L’articolazione espressiva, tematica e stilistica, se per un verso corrisponde ad una vitalità assolutamente tipica dell’artista e raramente riscontrabile tra altri artisti con comuni radici culturali, da Treccani a Sassu, da Migneco a Mucchi, attestati su un lavoro di penetrazione del soggetto da tempo individuato, essa, in realtà, nasconde un impegno “sperimentale” che definirei di tipo intellettuale ed in conseguenza di ciò, con evoluzioni pittoriche diverse. Un carattere (che ritengo di ricerca), sovrapposto, nel rispetto delle origini espressive, ad una grammatica che non presentava, per sua collocazione storicizzabile alla prima metà del `900, ampi spazi di manovra e di invenzione; una ricerca che non poteva nascere se non da un lucido lavoro di informazione, di verifica dei temi pittorici su una materia letteraria dai più ampi confini, di confronto con le forme espressive della storia artistica, tra l’opera dei grandi maestri e le testimonianze ignote e popolari. E non fu quindi ricerca nel senso di un superficiale aggiornamento della realistica figurazione su forme pop od iperrealistiche, ma acquisizione di strumenti culturali che si ponevano quale base strutturale allo sviluppo pittorico. Non credo possibile relegare la figurazione guttusiana su una linea storicizzabile alla stagione realistica, ma preferirei porla in una condizione autonoma e da verificare, di volta in volta, opera per opera.
Nel caso dell’opera del 1945 “Reparto tedesco in azione”, troviamo chiaramente espressi i dati di un espressionismo acceso ed aggressivo ma non truculento, animato da una chiara volontà di condanna per l’atto aggressivo descritto dalle fosche tinte e
dallo stravolgimento bestiale delle anatomie facciali; la pittura è materica, raggrumata e “sporca”, agitata e contorta; la ricezione risulta immediata, confermando il valore di testimonianza storicoartistica racchiuso nel dipinto.
Nell’ “Eroina garibaldina” del 1954, ritengo possibile riconoscere i caratteri “intellettuali” della pittura di Guttuso, a cui poco sopra accennavo, e cioè quando il soggetto stimola, precedentemente alla sua realizzazione pittorica, soluzioni espressive verificabili in contesti culturali e storici diversi. Sono numerose le opere che, se ad un primo incontro propongono riferimenti riconoscibili in un contesto sociale, geografico, ambientale, di umori e passioni persistenti nella storia dell’artista, in realtà nascondono, creando un’instancabile articolazione stilistica, contatti vivaci con settori diversi della comunicazione: nel caso dell’ “Eroina”, si deve brevemente ritornare ad un’opera di poco precedente “Battaglia al Ponte Ammiraglio” del 1952, sulla quale si deve porre l’attenzione, ricordando che l’artista si era impegnato in una vasta produzione di interpretazioni ed illustrazioni delle gesta eroiche garibaldine, e quindi propendeva verso soluzioni dall’accesa teatralità, dalla chiara riconoscibilità dei ruoli e dei valori in gioco. Il tema viene qui affrontato anche in rapporto a quanto di esso la storia ci ha tramandato come notizia visiva e, nel caso specifico, secondo un gusto popolare ed ampiamente diffuso; l’opera assume le caratteristiche di una rivisitazione storica, fondata su un deposito visivo collettivo e, in ragione di ciò, con stilemi di riflessioni, interne al settore artistico, sviluppando così quel confronto iniziato con le avanguardie storiche e le sue maggiori personalità, fra il Cubismo e Picasso.
In stretto rapporto con l’opera dedicata alle gesta garibaldine, così carica di soluzioni formali, già tipiche di un gusto popolare per l’atto eroico della liberazione dal sopruso, andrà posto il quadro “Eroina garibaldina” ricco di fisica sensualità, pulsante centralità, dolorosa aggressività. L’atto eroico nella donna segue i canoni diffusi popolarmente e costruiti sulla conservazione delle caratteristiche di vitalità giovanile, prorompente sul piano fisico. Vi ritroviamo ancora l’indicazione della Rivoluzione francese, diffusa per mano di Delacroix, con intatto il vigore fisico sensuale della donna trascinatrice di eroico entusiasmo.
“Nudo” del 1952
Dall’esteriorizzazione dei sentimenti dell’ “Eroina” passiamo ad un profondo clima di interiorizzazione esistenziale nel “Nudo” del `52, caratterizzato da una materia pittorica diffusamente uniforme e monocroma, quindi ricca di qualità intrinseche, quale un antico spessore, un’entità scultorea che ci ricorda soluzioni espressive tipiche dei Maestri del Novecento, in particolar modo di Sironi. L’opera risulta chiusa in se stessa, ermeticamente circondata da un silenzio che ne preserva l’intimità degli umori e dei pensieri; il bel corpo ricco seppure liberamente esposto, risponde strettamente ed esclusivamente alla vita interiore della donna, a quella sfera irraggiungibile ed indescrivibile che è preservata in ogni essere umano. In questa direzione di narrazione intima e segretamente sensibile, si comprende la “citazione” di un “ritorno all’ordine”, la severità di un ricordo romanico dagli enigmi scultorei possenti.
Tre “Nature Morte” (“Natura Morta”, 1957. “Natura Morta”, 1957. “Natura Morta”, 1969.)
La presenza della “natura morta” come antico genere pittorico è un dato inscindibile dalla composizione di una Mostra Antologica di Renato Guttuso, in quanto persistente ambito di riflessione creativa lungo il suo intero e articolato percorso artistico. Parlando di “genere pittorico”, si introduce subito un primo motivo culturale caratterizzante e si torna a risottolineare il carattere storico artistico della ricerca di Guttuso, dove la persistenza del soggetto genere è terreno di continue e diversificate soluzioni espressive,è un terreno ben conosciuto, sicuramente molto amato e congeniale ad umori caldi, palpitanti di vitalità materica, sul quale più sereno si rende il lavoro di ricerca formale, la grammatica pittorica. L’artista, conosciuto per il suo fervido impegno civile e culturale, trova nella “natura morta” la condizione per portare interamente allo scoperto le passioni del momento, la felicità cromatica del dipingere, la passione per le infinite possibilità espressive della natura, rappresentata soprattutto dai suoi frutti più accesi di colori. Come memorabile è l’esplosione di vitalità sensuale nelle grandi ceste di frutta, e ancora vivo è il ricordo di quotidiani paesaggi siciliani, così devono apparire solari le “Zinie ed altri fiori”, vivaci nei rossi condotti per colpi sicuri di puro colore, folgoranti nei piccoli soli gialli ricchi di incrostazione materica. Nell’opera ha grande spazio la partecipazione irrefrenabilmente proiettata nel mondo naturale, nelle sue forme più evidentemente felici e vitali, ancora una verificata conferma dello spirito attivamente partecipe per le diverse forme della vita dell’artista siciliano. Un clima sempre riconfermabile nella “Natura Morta”, sempre del `57, nella quale assume nuovo spazio il momento della ricerca espressiva, che possiamo anticipare di tipo già astrattoespressionista; i colori vengono infatti, sulla sinistra del quadro, portati con accentuata diversificazione ed impenetrazione e quindi con il preciso scopo di effettuare, non tanto una descrizione oggettiva del dato reale, ma introdurre la vivace scansione di piani cromatici; la “canestrina” risulta circondata da una materia pittorica accesa e vivace, contrastante e tale da favorire una lettura fondata su reazioni emotivo psicologiche. Uno spirito di comunicazione astratto informale di grande ed incisiva qualità, ma che non ritroviamo nella “Natura Morta” del `69, caratterizzata invece da un duro raffreddamento compositivo e cromatico, schematizzata nitidamente oggetto per oggetto, con predilezione per le tonalità analitico acide. Assistiamo ancora ad un diverso clima espressivo, costruito su nuove leggi, ma sempre dettato dalla volontà di giungere ad una ricezione incisiva, psicologicamente fondata. Gli oggetti sono sempre quelli più amati da Guttuso, presenti da sempre nei suoi interni di studio e quindi nelle “nature morte”, ancora nitidamente osservati secondo la lezione di tanta pittura antica, dettata allora da valore didattico e di incisività espressiva, ed oggi con valore enigmatico e metafisico, dove cioé l’oggetto è relatore di segrete avventure.
“Edicola” del 1964
Anticipando una possibile stagione astrattoespressionista, si faceva riferimento ad un’opera caratterizzata da una straordinaria vivacità espressiva, assolutamente autonoma dalle ferree leggi della riconoscibilità realistica e tutta proiettata sulla messa in evidenza delle possibilità di incisiva comunicazione rappresentata dalla strutturazione contrapposta della scala cromatica. Un’opera che documenta le doti di curiosità culturale e di rinnovamento formale dell’artista siciliano, e quindi l’inesattezza di interpretazioni critiche, costruite su una presunta monoliticità espressiva. Nel caso dell’ “Edicola” sono assolutamente chiari i dati di ricco confronto con le maggiori esperienze estetiche del ‘900 ed in particolar modo con l’incisività psicologica dell’espressionismo, il valore di analisi vitale del cubismo, il ruolo trasgressivo 1 ib erat orlo dell’informale americano e delle successive specificazioni astratte. Un bagaglio culturale visivo, penetrato a fondo e reinventato dalle grandi doti creative di Guttuso, in quest’opera sicuramente decisiva, nel suo percorso d’arte.
“Fiamma che brucia dei libri” del 1968
L’esperienza estetica sopra indicata è conseguentemente alla base anche di quest’opera, sempre di grandi dimensioni, ed impostata sulla concentrazione interna, aggressivamente psicologica della pittura, sulle sue caratteristiche specifiche di linguaggio e quindi del colore come essenza costitutiva.
Della società industriale
“Tre operai ed una prostituta” del 1979
Intorno a questo grande quadro ritengo possibile riconoscere un’ampia problematica con specificazioni sociologiche e pittoriche, sempre poste in un ruolo di continuità per impegno civile e riconferma dello spirito di confronto e ricerca sui linguaggi espressivi.
L’opera testimonia con emblematica chiarezza l’attenzione di Guttuso per l’evoluzione delle caratteristiche componenti dei rapporti collettivi, delle caratteristiche ambientali della società contemporanea e si dispone a penetrarne i risvolti di una nuova emarginazione con spirito di denuncia, seppure fattosi più asciutto ed a volte enigmatico. Rispetto a quanto proposto nella lettura del suo mondo contadino e meridionale in particolar modo, e rispetto alla prima stagione operaia, non si avverte nessuna esaltazione rivoluzionaria, ma la corrispondenza con una stagione recente, diffusamente disillusa ed auto critica, ancora caratterizzata da costumi di cui si teorizzava il superamento ed inquinamenti ulteriori di un già vastamente compromesso habitat.
Dalle antiche, alle moderne rovine, secondo un itinerario che conferma l’emarginazione, il crollo dei valori… “Esistono davvero dei cimiteri di automobili a ridosso dell’acquedotto di Clodio, all’estrema periferia di Roma, dove lavorano degli operai e dove si trovano delle prostitute con cui gli operai si ristorano. Io ho fatto la cronaca di ciò che accade. Questo quadro, come gli altri miei, è immediatamente comprensibile. Ma allo stesso tempo può significare altro. Questi rottami sono il simbolo del ritmo divorante del consumismo, che diventa paesaggio…” (R.G. in “Oggi” dell’ll/1/80). Dalla dichiarazione dell’artista, si intuisce l’assenza di una prospettiva, che non sia quella di una interiore costruttiva riflessione individuale, e quindi unica soluzione per le “correzioni” future.
Un’attenzione alla contemporaneità priva di retorica e crudelmente oggettiva che, sul piano visivo, trova corrispondente ragione, emblematizzabile nel termine collettivo di “cronaca”, in una depositata stagione Pop e più ampiamente riferita ai linguaggi visivi dell’industria dei mass media.
Nei retroscena dell’opera, sono da osservare anche i rapporti costanti dell’artista con l’interezza delle espressioni culturali, dell’analisi e del giudizio sull’attualità.
In base a questo contesto, molte opere di Guttuso rinunciano a muovere verso nuove caratteristiche estetiche, per assumere una condizione di concettualizzazione pittorica, di ruoli diversi e di difficile definizione rispetto alla stagione realistica, ma naturale conseguenza di una stagione postmoderna.
Ipotesi di concettualizzazione pittorica
Studi per il “Caffè Greco” del 1976
Quando introduco il contatto tra Guttuso e la più recente stagione artistica contemporanea, intesa sempre per ampiezza di aspetti espressivi, così come era avvenuto per altre soluzioni, informali, astratte, o Pop e Video, intendo sottolineare l’osservazione di avvenute combinazioni linguistiche e di metodologie di comunicazione e, quindi, con risultati spesso nuovi che possono apparire anche anomali ad un giudizio critico schematicamente ancorato, sia che risulti positivo o negativo, ad un’esclusiva interprétazione del linguaggio figurativo e della riconoscibilità visiva.
Un limite diffuso dal quale dipendono storiche incomprensioni e gravissimi disinteressi
Per “concettualizzazione pittorica” va quindi inteso, senza che la terminologia ancora compiutamente mi soddisfi, un lavoro di creatività nella quale ogni immagine è solo origine di più ampie avventure culturali, emozionali e di analisi della realtà e dei suoi livelli o di infinite verità. Una prassi pittorica da tempo presente nel lavoro di Renato Guttuso che si è andata accentuando lentamente, con differenziati risultati qualitativi, intendendo il termine per ampiezza di possibilità riflessive e che, nell’opera “Caffè Greco” e nel ciclo di studi ad essa dedicati, trova uno dei maggiori momenti di concentrazione.
“La «metafisica» è De Chirico; e da lui parte, dal profondo di De Chirico, questa frustata romantica che è la prima a rompere la cristallizzazione dell’avanguardia seguente agli impressionisti, che aprirà la via ai surrealisti, a Ernst ecc. La prima che resti estranea all’Occidente europeo…” (R.G. “De Chirico o della pittura” in Rinascita 30/10/70). Ed è in quell’ultima frase di Renato Guttuso racchiuso il significato culturale di “ipotesi di concettualizzazione pittorica”. Ed è ancora una tappa nuova nella storia di un artista, in questa sede assai brevemente riletta, ma di cui ulteriori rivisitazioni dovranno essere tentate sempre tenendo presente, senza chiusura alcuna, i rapporti con la cultura artistico visiva, intesa nella sua più ampia articolazione di voci e contributi. Una prassi critica da applicare sempre e per qualsiasi operatore ed anche nelle condizioni che possano apparire più lontane ed in contrasto evidente.