1900 Bianco e Nero: Ex libris – Grafica minore
di Andrea B. Del Guercio
1979
La grafica minore nell’arte del ‘900
Riflessioni e contributi
Ho accettato subito il gentile invito di Maria Pia Gonnelli Manetti ad introdurre questo suo paziente ed attento lavoro di ricerca, di individuazione e quindi catalogazione di un materiale artistico, l’ex libris e la grafica minore nell’arte italiana nel complesso periodo dei decenni 1870-1940, perché mi permetteva di apporre un modesto contributo alla conoscenza ed alla dialettica valutazione di artisti ancora poco conosciuti, ma attraverso i quali, superando moralistiche pastoie di giudizio estetico fine a se stesso, si può indubbiamente ricavare un contributo diverso alla conoscenza ampia delle caratteristiche culturali di un periodo storico nel quadro di una interdisciplinare Storia del Costume. Una nebbia troppo spesso bigotta proveniente dalle diverse direzioni di giudizio e valutazione ha regnato su questi artisti e la loro produzione mentre all’origine, come questa ricerca credo dimostri, gli si riconosceva ampia diffusione in ampi strati della borghesia emergente.
Ma l’incalzare di una accelerata industrializzazione delle più diverse realtà della società e quindi col sorgere di una partecipazione sempre più ampia di masse alla gestione e coogestione delle scelte del paese crea il coinvolgimento interdisciplinare di uomini di cultura e quindi degli artisti: questi diventano schematicamente i nodi intorno ai quali si devono osservare 12 frequenti e contraddittorie reazioni dell’intero materiale; tra atteggiamenti di rifiuto attraverso l’approfondimento di situazioni culturali ancora del secolo precedente in area europea, i francesi Baudelaire, G. Moreau, il belga Khnopff, i tedeschi Nietzche, Holderlin, Boeklin, e poi tutto regolato scientificamente nella psicanalisi di Freud nel nuovo secolo; ed altre reazioni, più ufficiali, spesso sulla strada di una facile retorica, attraverso il ripristino, nello spirito diffusamente nazionalistico di quegli anni tra quelle vicende, di un’italica cultura, tra tre e quattrocento toscano e veneto, posta a base di una larga diffusione attraverso i nuovi strumenti di riproduzione e di applicazione, nuova rispetto alla tradizionale area della ricerca artistica, senza per questo risolvere la storica frattura tra Arti Maggiori ed Arti Minori come da certe parti si è voluto ritenere.
Ma prima di inoltrarmi in questa analisi è necessario esprimere una presa di posizione critica nei confronti di quanti hanno creduto proporre una lettura metodologica di questo periodo artistico frequentemente segnata dal « culto della scoperta » come un fatto di metafisica archeologia cioè disposta ad accogliere in maniera evidente i termini di un estetismo compiacente con le spinte di un riflusso che nel generale ritorno al privato prende forma in un gusto di elite e di privatizzazione « diversa » della sensibilità estetica. Estetismo compiacente di uno storico isolamento di questo materiale e promotore di frequenti reazionari revival che nulla offrono di scientifico alla riscoperta reale, alla verifica critica e del tutto contrario ad un riconoscimento reale dell’opera ed anzi se ne perpetua la mistificazione così che è ancora la proposta di una valutazione « da parte dello studioso d’arte ammantato da un’aurea quasi religiosa, sia in forme idealistiche (l’arte come trascendenza, complicazione, bello assoluto, attività solitaria del genio o frutto della sovrana ispirazione individuale) sia in forme più moderne: l’arte come anti destino, « moneta dell’assoluto » (P. Gaudiberti p. 501, in Enciclopedia Feltrínelli Fischer, Milano 1971).
Ogni scoperta conserva un clima quindi di nebbia e di compiacente ambiguità contrastando con un’analisi storico materialista, quella per esempio, visti i dovuti aggiornamenti, di un Roberto Longhi nell’«Officina ferrarese» o dei « Quesití caravaggeschi », dove accanto alla precisione della ricerca si conserva e si esalta la partecipazione emotiva, culturale dell’autore.
E aggiungiamo l’avversione ad un mercato dell’arte caratterizzato per « speculazione e consumismo», «frenetico e parossistico», citando le conclusioni di una lineare prefazione di Leonardo Sciascia alla monografia dedicata ad Alberto Martini.
Una vasta ed articolata serie di ricerche documentano l’attenzione di Alberto Martini, nato nel Veneto, regione cattolica ed a lungo legata, politicamente e culturalmente all’Europa del Nord, per le esperienze di «oltre cortina» e tedesche in particolare dopo il soggiorno a Monaco negli anni della « Secessione », (fondata nel 1892 da quel Franz Von Stuk presente con l’opera « Il peccato » a Palermo che sicuramente fu studiata dal Ferenzona quando questo era scolaro dello scultore Ximenes); alle origini quindi un cattolicesimo umanitario, come quello diffuso dal poeta Giovanni Cena o dal Pascoli, documentato dai primi disegni dedicati all’ambiente rurale della campagna trevigiana che trovano la loro massima espressione nel « Poema del lavoro » esposto a Torino durante l’esposizione del 1898, ma che già esprimono i termini di una poetica simbolista e macabro decadente in progressiva affermazione; ricerca acuta ed estrema nella sostanza profonda dell’artnouveau e del liberty rispetto ai modi giocati solo in superfice dalla più parte degli artisti italiani, Chini e Baruffi per fare solo qualche nome; ed un accanimento nella scoperta di realtà macabre si riconosce lungo tutto il percorso con una sorta di irresistibile eccitazione, poi una discesa agli inferi dell’animo umano evidenziando la violenza delle sue passioni più note e più segrete; l’uso della sfera erotica trasferita nelle diverse realtà sociali e storiche nel ciclo dedicato alla I Guerra Mondiale, « Danza macabra europea » del 1915 16 e nei numerosi ex libris anche qui presentati: n. 138 e n. 139, da confrontare con il più goliardico n. 237 dello Zetti dedicato al Pica che fu primo stimatore). Importante per comprendere la netta frattura ed il più frequente interesse per Martini basterebbe il raffronto delle diverse prove sul comune materiale; l’illustrazione di materiale letterario quali le tavole per la Divina Commedia del nostro con quelle di un De Carolis, Sartorio, Spadini e dello stesso Cambellotti e con maggiori risultati nelle « riflessioni » sulla cultura epica. Certamente la personalità ed il ruolo di « diversità » giocato da Martini, con una produzione in alternanza continua tra spinte simboliste, decadenti fino a certo surrealismo, giocato per tutta la prima metà del ‘900 non cadde nel vuoto e lo ritroviamo tra artisti più giovani ma che già formavano un’area culturale diversamente orientata.
Antonio Rubino riprende il gusto simbolista, ma ne fà una resa diversa rispetto a quella di Martini; ispirato da una vena grottesca ed ironica, si dedicò infatti alla fumettistica sul « Corriere dei piccoli », si pone con una forza provocatoria e demistificazione degli scenografici miti dannunziani proposti da De Carolis: emblematico di questo spirito ex libris « L’uomo è nella sua scrittura » (n. 180).
Ancora ricordiamo il genovese A.H. Gagliardo con un ampio repertorio dedicato alle mostruosità della guerra (n. 98) ed altri ex libris (n. 101).
« La liberté guide mes pas > , pervasi da sentimenti di riscossa umana contro le oppressioni e le violenze ma anche altri n. 100, n. 102, ed uno fuori catalogo, « Ex libris julio Salviaterra Pan vive, nunca ha muerto » ricchi di pathos epico e di boekliniana memoria. Generazionalmente più recenti, ma non meno ricchi di forza espressiva gli ex libris di M. De Simone, artista ancora poco conosciuto ma avvicinabile a M. Fingesten, E. Vannuccini forse il più direttamente vicino al simbolismo macabro nella rappresentazione delle violenze belliche (n. 208) della seconda guerra mondiale e di esaltazione sensuale ad elevazione spirituale di Martini negli ex libris « Semper sitio » (n. 201) e « Chi si nutre di bellezza cresce in bellezza » (n. 202). Per Franco Rognoni i piccoli ex libris si sono caratterizzati sugli esempi di G. Grotz, K. Arnold con panciuti borghesi e pomposi burocrati e derelitte figure di sottoproletariato, trincee e filo spinato. Ex libris imperniati per una dura critica agli avvenimenti bellici della seconda guerra mondiale con una figurazione incisiva anche su ingiuste realtà sociali, come la « giustizia e la scienza » (n. 171, 173).
L’arco così complesso degli argomenti espressi nell’operato di Alberto Martini e la constatazione progressivamente netta della differenziazione stilistica e di contenuto dal contesto artistico complessivo di quel’ periodo, trova in Raul Dal Molin Ferenzona e Michael Fingesten, in maniera del tutto autonoma tra di loro, due acuti quanto poco conosciuti primari interpreti. Ma se per il primo, Raul Dal Molin Ferenzona abbiamo da pochi anni un attento ed esemplare studio monografico curato da Mario Quesada, ancora per Michael Fingesten manca un definitivo studio. E ben poco ci rimane da aggiungere per il Ferenzona dopo una ricostruzione tutta proiettata a far luce rispettando forse troppo, e forse qui è rintracciabile la pecca di un autocompiacimento, un’aurea di mistero, quasi a non voler parlare su tutto lo scabroso ed il demoniaco che le sue opere, dal giovanile cartone « Donna con cappello e pipistrelli » del 1906 al « Ritratto della perfida damigella » del 1916 al « Volto della comunicante » del 1932 esprimevano. La partecipata adesione « nell’ambito di quelle riemergenti esperienze ermetiche ed esoteriche, legate agli interessi per la teofilia e 1’antroposofia che nel rifiuto ostinato del positivismo toccano artisti diversi quali De Chirico, Savinio, Bragaglia, Kandinskj, Balla, gli espressionisti, personaggi insospettabili come Duchamp » (M.Q. op. cit. p. 19), lo stretto interesse e la frequentazione assidua di circoli e sette cebalistiche e teosofiche formano la base complessiva e spesso oscura di tutto il suo lavoro; un lavoro non a caso quindi sconosciuto ai molti, disperso tra pochi segreti cultori e raffinati collezionisti: direttamente coinvolta in quest’area di interessi 1’« Allegoria » (n. 59) illustrativa dei « Misteri Rosacrociani A ó B » contenente dodici poesie e dodici punte di diamante del Ferenzona edita nel 1923, ma forse riferibile alle incisioni per il « Drago e la Principessa » del 1914 15. Simboli biblici sono maneggiati ed intersecati nelle puntesecche « Eucarestia » del 1930 1935 (n. 58) da Ferenzona con un’abilità che ne dimostra la profonda conoscenza e l’assiduo uso; una dislocazione qui grafica dei simboli atta a ricomporre nella .figura della croce il dramma del Sacrificio; Elevazione mistica, rarefazione dalle realtà terrene sono espresse nell’ex libris « Passo nel fango ma non mi macchio > (n. 52) e concentrazione sugli spazi dell’inconscio si riconoscono espressi in due ex libris dell’ultimo periodo « Non invecchia chi all’avvenir è teso > (n. 53) e « Suono sull’arpa del mio cuore la canzone del mio dolore » del 1945 (n. 54). Notevole anche il ritrovamento del « Ritratto » di Gigi Raimondo, collezionista e primo biografo dell’autore (n. 57): straordinariamente incisivo sul piano della tensione psicologica per la sottolineatura del sopraciglio e dell’occhio ed ancora con maggiore precisione in quell’espressione inferta alle labbra che ritroviamo simili nella donna dell’ex libris « Indagare il mistero » dedicato sempre a Gigi Raimondo.
La riscoperta dell’operato di Michael Fingesten che in questa sede ha inizio mi è sembrata subito il fatto di maggiore rilevanza di tutta l’articolata documentazione; anche per questo artista scarse sono le notizie sulla sua vita e del suo percorso artistico sebbene già due notizie mettono sulle tracce di una personalità rilevante nella segreta sfera dei collezionisti di ex libris: la presenza di un ex libris (n. 87) con il motto « In ciascuno è l’enigma », raffigurante la Sfinge, per Gigi Raimondo, il collezionista già ricordato per l’ex libris « Indagare il mistero » di Ferenzona, dove anche un clima simile ricorre tra i due motti, e la profonda stima che doveva avere Gianni Mantero, grande collezionista di ex libris ed animatore ancora alla diffusione di quest’arte, quando andò a trovarlo poco prima della morte nel campo di concentramento di Ferramonti Tarsi, presso Cosenza, dove essendo ebreo era internato per le leggi raziali.
Il materiale qui presentato, proponendoci una successiva più ampia relazione su tutto il materiale reperito, documenta sia sull’attività del periodo precedente sia quello più doloroso della guerra: del primo periodo si riconoscono i termini di una cultura autonomamente sviluppatasi nell’area geografica del Nord Europa, oggi dei paesi socialisti, caratterizzata da una figurazione popolare e grottesca, su un lessico quasi naive come si nota nell’ex libris (n. 82), realizzato per se medesimo, abitato da figure femminili ridicolmente stravolte, piccoli « mostri », parole ed altre immagini in libertà un po’ ovunque; ancora grottesco ma naive lo spirito che anima l’ex libris per Mantero (n. 81) a sfondo dichiaratamente erotico (Ex libris Erotico Fuori catalogo) ed il più carico di sereno edonismo e sensualità nella punta secca « Lesbos » del 1921 (n. 75).
Ma è nel periodo della guerra che ormai sconvolge l’Europa, la persecuzione subita come ebreo dalla polizia fascista, che si sviluppa con forza tutta la vena macabra di Fingesten. Una rapportazione cosciente sul lato politico agli espressionisti tedeschi quali Felixmuller, Segall Hechrott ed Otto Dix di « Ragazza e Morte » del 1919 dove la presenza di un occhio e più occhi diventa una presenza assillante; è il caso dell’ex libris « Miriam » (n. 84) del 1932 sul cui volto si verifica l’invasione di grandi e piccoli occhi ed una caratterizzazione particolarmente marcata si presenta nell’ampia bocca crudele. La stessa forza drammatica si ripropone nelle due serie dedicate strettamente ai drammi, agli enigmi satanici della guerra, alle crudeltà effettuate nel nome di Dio e della Patria: le serie di dieci incisioni «Krieg » (n. 77) del 1939 40 e la serie di tredici incisioni « La danza macabra » del 1938 dove si trova accanto a già rivelate innocenti immagini di angioletti e donne sensuali la nuova realtà dolorosa della morte; una morte raffigurata da un teschio cinto d’alloro, (« Michael Fingesten par la grace de Dieu peintre et graveur ») mentre addenta l’autoritratto dell’artista e sul volto di questo si ripete l’invasione di tanti occhi profondi e bui.
Ora questa tavola, (n. 76) « Michael Fingesten… », tra le altre, che ricordiamo essere del 1939, può essere utilmente messa in rapporto, unitariamente all’ex libris « Miriam » del 1932 (n. 84), con l’ex libris per G. Mantero « Les seul rire ancore logique c’est celui des tetes des morts; Paul Verlaine » del 1939 di Alberto Martini ed ancora dello stesso la « terza serie » del 1943 per la Divina Commedia ed in particolare con la tavola « Il Conte Ugolino e l’Arcivescovo Ruggeri » ed ancora le opere dedicate ai « Miti » del 1947, particolarmente « Aglauro divenne sasso », « Ecate trionfante ».
Uno straordinario rapporto ed un sicuro interscambio esiste fra Fingesten e Martini, ma anche di Fingesten con Ferenzona, tramite il comune collezionista Gigi Raimondo, che salda i tre, svelato il rapporto diretto tra Martini e Ferenzona a partire dal 1927 per l’Esposizione Internazionale dell’Incisione di Firenze organizzata dal Pica, in un percorso culturale ed artistico che lentamente va prendendo corpo ed autorità storica. Ed è la scoperta di una realtà culturale ed una avventura artistica che mantiene al suo interno uno straordinario bagaglio di suggerimenti ed enigmatici ammiccamenti per le nostre interessate curiosità.
Ma il materiale qui raccolto su un ventaglio ampio di nominativi, tra i più famosi De Carolis, Sartorio, Servolini, presenta anche un arco ampio di presenze ormai dimenticate, ma la cui opera ritenevamo già agli inizi utile di essere riletta, ristudiata, rivalutata in una storia dell’arte italiana della metà del novecento e per la presenza nel gusto allargato di ampi strati sociali, la classe borghese emergente soprattutto, in una storia sociale e del costume di quel periodo storico, fondamentale per l’attuale situazione del nostro paese.
Sono spesso artisti che hanno lungamente lavorato nelle nuove realtà della cultura visiva, la cartellonistica, la pubblicità, la decorazione, l’illustrazione dei giornali, dei libri, fino all’arricchimento, grazie ai nuovi metodi di riproducibilità tecnica dell’immagine, decorativo di tutti gli aspetti della vita sociale come biglietti da visita, ed ancora ex libris per particolari estimatori.
Possiamo rintracciare nel duplice atteggiamento di De Carolis tramite l’analisi del saggio su « Luca della Robbia » che questi è un momento caratterizzante, tra tradizione e nuove istanze; rifiuto del positivismo per ripescare nel passato, tra correnti preraffaellite e simboliste e decadenti, realtà che oggi a distanza di tempo tornano con un crescendo di poesia, la poesia di intimità lontane, di un quotidiano di ieri come di oggi, mentre rifiutando la pittura da cavalletto tenta di coordinarsi con illustrazioni di monete e banconote, carta da lettera, ecc., alla evoluzione della società nell’industrializzazione accelerata e socialmente imposta.
Il frequente accademismo, la retorica celebrativa di E. Retrosi (n. 164) ed il diversificato ripescaggio nel passato storico artistico italiano, il tre quattrocento toscano e veneto di G. Cisari (n. 49) fino al michelangiolismo di De Carolis e di A. Moroni (n. 154) sono le condizioni di una ristrettezza ideologica posta nella necessità di caratterizzare adeguatamente il sorgere di una nuova condizione economica, politica, sociale in un paese ancora molto arretrato rispetto alle grandi nazioni europee.
Ma se gli spazi di creatività solo tutti teorici con un bagaglio formale fortemente istituzionalizzato non mancano sempre diverse proposte, mediazioni sottili accanto a cadute drammatiche del gusto.
Vediamo qualche esempio
In Antonello Moroni (1889 1929) si possono riassumere emblematicamente molti di questi spunti e di queste realtà e l’ampia interessante documentazione monografica introdotta da F. Sapori, qui presentata, (n. 154), ne racchiude lo spirito; uno spirito ben riconoscibile nei motti: « Ad peiora paratus » (n. 155), « Per correre miglio acqua » (n. 60 per De Carolis), « Bere al suo fonte e mai sentirsi sazi » (n. 151), « Bramo altezza » (n. 153). Scolaro di De Carolis che gli « ha dunque appreso la dignità composta del segno classico, la passione per la cultura; e insieme al gusto raffinato, quell’impronta di garbo e correttezza, quel senso ‘ di misura che comunica alle stampe del maestro e del discepolo una immancabile euritmia » (F. Sapori op. cit. n. 154). Un lavoro xilografico attento e curato con il quale affronta temi letterari e dal 1912 fu attivo collaboratore dell’« Eroica ».
Uno spazio artistico diverso si deve riconoscere a A. Baruffi (1873 1948) che vissuto a Bologna ha assunto dalla cultura inglese le maggiori caratteristiche del suo stile e forse studiando riviste come « Tbc Yellow Book » e « Tbc Savoy » e vedendo le illustrazioni di A. Beardsley, il primo grande grafico e designer in senso moderno.
Seppure nel gusto liberty di Baruffi si sentono le condizioni di una ripetizione di forme, soggetti, nello spirito di un « marchio di fabbrica », il segno dimostra di essere raffinato e l’immagine è sempre attenta ad evitare il superfluo ed il retorico creando intorno alla figura centrale uno spazio ed una libertà che ne favorisce la lettura: penso allo « studio per ex libris » (n. 19) dove il volto del giovane, ben collocato al centro, nel duplice stato di sofferenza prodotto da una sorta di corone di spine e da queste lo splendore edonistico e sensuale di quattro rose, ed ancora i due studi per ex libris (n. 23 e n. 23 bis) con la figura femminile frontale, in primo piano ed anche voltata di spalle e nell’ex libris (n. 25) nella pienezza della composizione dove la capigliatura nera raccolta diventa il centro emblematico di un’immagine dedicata al momento della lettura.
Ancora importanti ed utili per il nostro discorso su questa cultura artistica valgono i due studi per ex libris dedicati ad Andreina Costa Kuliscioff, figlia della compagna di Andrea Costa, primo senatore socialista al Parlamento Italiano, e da questo, e non a caso per mano di un filo inglese come Baruffi, collaboratore alla dissacrante rivista « Italia che ride » alle proposte socialiste di Ruskin di cui appunto il Costa fu promotore e divulgatore.
Marsili Da Osimo qui ampiamente documentato ben rappresenta ed esprime forse il gusto più diffuso della classe borghese, temperato rispetto alle innovazioni ed alle fantasticazioni di un De Carolis o di un Martini, e dimesso di tono attraverso i caratteri di una tradizione culturale media e diffusa a livello popolare.
Sono infatti immagini raccolte e racchiuse in una sorta di religioso silenzio, dove una vita mistica si respira nel lavoro dei campi (n. 125), nel percorso di un solitario viandante, ambientato in un contesto medievale (n. 136). Anche i simboli ed i motti non sfuggono all’esigenza di raccoglimento e di cosciente vivere: « Per i miei diletti libri » (n. 120), « Undique divine resonàt » (n. 117); e quando anche sono dedicati al Duce Benito Mussolini ed al Re d’Italia Vittorio Emanuele III, cerca di mantenere uno spirito di contenimento delle facili ridondanti retoriche. Un lineare documento questi ex libris di Marsili da Osimo sul clima e sulla generale situazione di una piccola Italia, di una mediocre borghesia, insicura del suo ruolo, avvinta ai lamentosi passi del De’ Amicis, raccolta intorno ad un gusto di piccole cose e di mediocri realtà di un piccolo mondo antico e su una continua paura del nuovo sul quale si imporranno le spinte autoritarie del fascismo.
L’autenticità del Marsilio da Osimo si ritrova nelle grafiche di V. Bayeli (1892) di cui si stima una sensibile ed accurata concentrazione formale (n. 29 bis) ed una rara delicatezza sul nudo femminile.
Ezio Anichini attivo a Firenze intorno agli anni 1910 (n. 3), Pietro Parigi (1892) (n. 160), Bruno Bramanti (1897) ed il di entrambi scolaro Italo Zetti (1913 1978), sono tutti artisti in qualche modo da ritenere emblematici della cultura grafica e illustrativa fiorentina di questa prima parte del ‘900.
Bruno Bramanti attivamente presente nell’ambito culturale che a Firenze si riconosceva tra il 1920 1930 nella rivista « Solaria », si dimostra attento a certo trecento fiorentino, quello successivo a Giotto e Taddeo, dove cerca gli stilemi di una ripetizione di schemi, personaggi all’interno di una geometrizzazione dello spazio così che anche la presenza abbondante di elementi nell’immagine complessiva risulta di facile interpretazione; l’incisione del legno segue la volontà del Bramanti di avere un segno netto e preciso, così che gli stacchi di bianco risultano ben netti rispetto ai neri ottenendo così una particolare forza ed incisività espressiva (n. 35). Ma seppure l’effetto complessivo conduce a rilevare una ineccepibile maestria tecnica e un abbandono di facili e ripetitive retoriche, non dobbiamo nascondere ancora la frequente scarsezza del valore del messaggio.
Il particolare gusto per i risultati secchi e netti della xilografia introdotti da Bramanti fu interamente recepito dallo Zetti, ma trasferito su una rilettura più dichiaratamente quattrocentesca, in particolare di gusto pre raffaellita nella raffinata « A Clara » del 1935; poi soprattutto per ex libris a sfondo erotico si accenna già alla conoscenza di una cultura decadente e simbolista, recepita da Klinger o da Boeklin che soggiornò a Firenze: (n. 229, n. 232) ed n. 236 dove si figura l’incontro piccante di satiro alato ed una giovane donna in una lussureggiante natura.
Ma se le scelte formali possono in quell’ambito « segreto » trovare un valido riferimento non sempre il valore complessivo dell’opera si solleva da certo spirito goliardico italiano e rimarcato soprattutto dalla scelta dei motti per gli ex libris: (n. 225) « Viaggiare è continua giovinezza », (n. 225) « Sincerità in tutto e contro tutti » raffigurante una donna nuda, a gambe divaricate e senza maschere tra altre maschere uscite dal fondo buio, (n. 237).
Il disegno italiano del ‘900
Nel mio primo incontro con Bruce Gagner, artista profondo e stimato direttore della New York Studio School of Drawmg Pamtmg and Sculpture fu subito dedicato alla cultura artistica italiana con particolare riguardo per i fatti espressivi della prima meta del 900. Esposi in quella prima occasione e m numerosi ulteriori momenti le mie valutaziom generali sulla coniplessa materia ed alcuni specifici contributi critici dedicati in anni passati a rivisitazioni monografiche dedicate a Soffici e Carena, Rosai e Guttuso.In base a queste nostre discussioni, alle quali parteciparono interessati alcuni professori e il suo vivace staff di collaboratori, venne lentamente prendendo corpo l’idea di realizzare una esposizioneal cui interno potesse confluire un arco ampio dipresenze creative.Per Bruce Gagner era fondamentale promuovere,con una mostra, lo studio e l’approfondimento dicerti passaggi dell’arte moderna italiana che, agli specifici valori espressi, è ancora origine efondamentale e riconoscibile di fatti recenti.La condizione di rarità, nel paesaggio espositivoamericano, di numerosi autori italiani della primametà del nostro secolo ci stimolò positivamente,così che il progetto espositivo si allargò verso lacontemporaneità per comprendere di esso un set Maritore particolare intitolato «astrazione» e rappresentato da quattro artisti; Alessandra Bonoli, Delfina Camurati, Christian Cassar, Franco Ionda.
L’organizzazione di una mostra dedicata ad unamateria storica quale il novecento, si presentavacomplessa e di difficile soluzione organizzativa percui grazie alla disponibilità di Giorgio Chierici, checi ha prestato alcuni disegni della sua collezione,e il sostegno e apporto dell’Istituto Italiano di Cultura di New York e in particolare al Direttore Prof.Ennio Troili, ed infine alla Banca Nazionale delLavoro ente finanziario leader nel campo dellasponsorizzazione internazionale della cultura visiva, siamo giunti felicemente a conclusione di questo importante impegno.Promuovere la conoscenza di quanto è avvenutoin Italia nella prima metà del secolo, non è assolutamente «cosa» semplice, soprattutto se si tentadi percorrere la strada di una informazione articolata sia sul piano tematico che sul piano formale.L’attività critica di quest’ultimo decennio si è notevolmente rinnovata ed ha raggiunto significativi risultati scientificamente provati, per cui oggiquesta mostra ha una sua validità, sia per valoriinterni assolutamente indiscutibile, sia per valoridi approfondimento assai più ampi ed articolati.Questa esposizione quindi si è subito costruita sultema del disegno, perchè questa particolare forma espressiva ha il compito di avviare l’osservazione di una realtà culturale assai complessa, equindi sarà occasione di promozione di curiosità.I disegni raccolti hanno globalmente valore di «appunto», quasi di progetto privato e quindi luogodi riflessione, dove sono ammesse correzioni e ripensamenti; il titolo della mostra deve essere osservato al di fuori di quella «bella maniera italiana» spesso carica di retorica e di superficialità, secondo le indicazioni della storiografia antica.II «disegno» in questo caso va osservato come unitario momento di progettazione. Le componenti sono assai diverse e muovono dai migliori risulati diquelle che furono le avanguardie storiche, il novecento ampiamente rappresentato da Giorgio DeChirico a Pompeo Borra, da Pio Semeghini a Mario Sironi, per passare poi attraverso gli anni della riflessione sull’originaria cultura italiana e quindi sui dati diversamente presenti nel rinnovato dibattito post bellico.Il lettore della mostra dovrà quindi passare tra stagioni artistiche e sensibilità autonome.Giorgio De Chirico introduce la mostra, poichè negli occhi del suo «Personaggio» hanno origine granparte delle componenti della mostra stessa, o almeno quelle legate alle origini antiche della cultura italiana che ancora emerge dalla sensibilitàdei giovani artisti.Giorgio Morandi emblematizza forse più di ognialtro, quanto nella sensibilità moderna è pur presente del passato. I suoi oggetti di uso quotidianosono appena avvertibili, grazie al segno delicato,ma rimangono testimoni indiscutibili di un paesaggio umano.In questo clima metafisico va osservato «L’albero» di Ennio Morlotti e le «Colline marchigiane»di Leonardo Castellani; teneramente e quasi impercettibile appare la struttura anatomica insita nelsegno di Filippo De Pisis, di Luigi Bartolini un segno che nega le certezze e le immediatezze per confondersi con le nebbie del ricordo e della memoria che sono forse gli spazi e le realtà più vere.11 segno «sgrammaticato» di Mario Sironi e di Ottone Rosai apre sicuramente la mostra ad una sensibilità più forte e più decisa, per seguire un contrasto vivace e duro all’interno di un tema qualequello della natura che appariva immersa in unainattaccabile sospensione.L’espressionismo ha qui un suo punto di forza cheviene seguito da artisti più giovani quali RenatoGuttuso e Aligi Sassu.Anche in Mario Mafai il segno è forte e deciso, anche se nel mondo femminile esposto è avvertibileun atto di delicatezza. Una particolare forza espressiva è racchiusa nel’ «l’opera di Marino Marini. Un settore ampio ed articolato della cultura artistica italiana ha sicure origini nell’avventura Futurista e quindi è stato nostro compito documentare le personalità salienti della prima stagione astratta, da Fortunato Depero ad Alberto Magnelli, da Gino Severini a Luigi Veronesi, da Mario Radice a Mauro Reggiani, secondo un percorso sempre più analitico.Di un Lucio Fontana maestro riconosciuto dell’astrazione internazionale la mostra presenta la sua prima stagione ancora figurativa, dove il segno è già veloce e sicuro e carico di una curiosa ironia, i corpi navigano nell’aria priva di qualsiasi punto di appoggio e seppure siano indicati come studi per la scultura, appaiono leggeri e inafferrabili.