Ardengo Soffici nella solarità del Mediterraneo

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di Andrea B. Del Guercio

1984

Premessa. Ardengo Soffici nei programmi della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Forte dei Marmi.

La Mostra e questa pubblicazione che ne illu­stra lo svolgimento è una tappa fondamentale nel­la storia della Galleria d’Arte Moderna ed in par­ticolar modo di un programma di documentazio­ne e studio di un complesso ed internazionale coa­cervo di personalità delle arti visive, delle lettere e della musica che ha frequentato per brevi e lun­ghi periodi, trovando valida occasione di collegia­le e intimo approfondimento di temi, soggetti e nuove posizioni, Forte dei Marmi sin dagli ultimi decenni del secolo scorso e in particolar modo nel­la prima metà del ‘900.
Dopo l’esposizione dedicata ad Henry Moore, il cui peso riconosciuto internazionalmente rivelò la fondatezza scientifica del programma che si an­dava elaborando, si potè predisporre una successi­va tappa espositiva con la quale si emblematizza­vano le possibilità ampie di indagine e di studio e tali da specificare la richiesta di recupero del For­tino Mediceo a spazio museale permanente e do­cumentario; la Mostra « 1880 1940 Frammenti di cultura visiva a Forte dei Marmi» presentò quindi e tra gli altri la comunità artistica di lingua tedesca rappresentata da Bocklin ed Hildebrand quali fi­gure di maggior spicco, che per prima iniziò la fre­quentazione di quello che alla fine dell’800 non era altro che un poverissimo borgo ed un piccolo at­tracco per le golette adibite al trasporto dei mar­mi, e con progressione cronologico generazionale, documentando la presenza, a partire dagli anni ven­ti di Dazzi e Carrà, Tosi e Soffici, De Chirico e Sa­vinio, ed i più giovani Cagli e Mirko.
Quell’iniziativa emblematica di un complesso culturale tanto straordinario convinse tutti sulla fondata importanza del progetto di documentazio­ne e studio, monografico e per realtà affini, e la Mostra che quest’anno viene dedicata ad Ardengo Soffici ne è una positiva conseguenza ed un con­creto invito a lavorare per una situazione museale oltre che espositiva.

Ardengo Soffici: Introduzione critico metodolo­gica

Non è assolutamente un caso se la Stagione Espositiva Estiva 1984 è dedicata ad Ardengo Sof­fici ma ciò risponde al tentativo, in questa fase ini­ziale del programma, di mantenere vivo contem­poraneamente spessore e ramificazioni internazio­nali e vitalità dialettica e conflittuale nel percorso di creatività; due dati ritenuti necessari per una stra­tegia espositiva e di interpretazione responsabile ed attenta non soltanto ai dati qualitativi e scientifici interni al corpo oggetto d’immagine ma oggi an­che rispetto ad un contesto assai più ampio che nella `politica culturale’ include, dopo una stagione `ef­fimera’, fenomeni generali di costume collettivo.
Quando infatti si parla di `effimero’ si vuole ri­flettere sulle degenerazioni e soprattutto sulle so­luzioni di mistificante riduzione di valore proble­matico, proprio di un’epoca `Post Industriale’ al cui interno, di una condizione generale d’interpre­tazione dei fenomeni creativi e di consumo, trova posto, con ampio valore, di interferenza, la recen­te riscoperta del Novecento e delle diverse soluzio­ni di ritorno su valori formali riconoscibili in una cultura italica, romanica e giottesca.
L’arte italiana `moderna’, ricevette ricollocazio­ne problematico critica, pur con gravi assenze, e nel rispetto della bibliografia storica, con la Mo­stra parigina « Le Realismes» del 1980, attraverso la quale si può osservare l’internazionalizzazione del `fenomeno italiano’ ed ancora in costante pro­gressione I’affermazine di suoi diversi artefici.
Sono quindi di questi ultimi anni tutta una se­rie di grandi e piccoli recuperi e riscoperte, atten­tamente delimitate cronologicamente e monogra­ficamente tra le quali si possono ricordare « II No­vecento» (La Permanente Milano 1983) e la proli­ferazione di interesse verso la `Metafisica’ (Palaz­zo Grassi Venezia) e Giorgio De Chirico, compren­dendo del Maestro di Volo anche tutta l’attività suc­cessiva all’adesione al Ritorno all”Ordine’. Sara in base ad una nuova valutazione di De Chirico che anche il caso Soffici sarà in questa sede osservato.
Il successo recente, databile ufficialmente al 1975 di una strategia estetica internazionale e par­ticolarmente europea focalizzatasi nazionalistica­mente su forme espressive relative ai primi decen­ni dell’epoca moderna, quelli posti al passaggio fra gli ultimi due secoli, deve essere osservato infatti non solo a livello specialistico, sia in termini di stu­dio ma anche in termini più. generali e socialmente diffusi di recupero e riapplicazione di soluziono. La responsabilità quindi di manipolazine espositiva ed editoriale del materiale visivo a cui il programma di indagine prefissato dalla Galleria d’Arte Moder­na di Forte dei Marmi fa riferimento è pienamente intesa ed è con questa valutazione che sono rileva­bili indicazioni critiche atte a delucidare la conflit­tualità insita, più o meno apertamente, nel percor­so creativo di ogni artista indagato. Mai come in questo momento ed in un tale contesto si dimostra utile ad una esatta lettura del fenomeno espressivo­visivo il contributo di una riflessione critico­contemporanea e `militante’ sopraggiunta a prece­denti studi di ricollocazione storica, attribuzioni­stici e documentaristici.
L’interpretazione dell’oggetto in esame richie­de quindi nuovi contributi secondo quella prassi metodologico critica già annunciata da Longhi, fre­quentata con intima partecipazione da Arcangeli.

Soffici nella solarità del Mediterraneo

Quando ho dovuto indicare un titolo che rac­chiudesse il significato nuovo della Mostra dedicata ad Ardengo Soffici e prediligendo di questi l’atti­vità paesaggistica elaborata durante i soggiorni esti­vi trascorsi a Forte dei Marmi a partire dagli anni ’20 e mai interrotti, mi espressi per una soluzione che racchiudendo sotto un clima forse fin troppo banale, la solarità è infatti sinonimo di belle ed esti­ve giornate, e nel moderno costume con dati di vi­ta di spiaggia, un significato enigmatico­emblematico di una condizione culturale a cui so­lo di recente si stà porgendo una inconscia attenzione. Non intendevo citare quel passo di De Rober­tis «Ma l’arte più vera di Soffici è arte solare… » che in quel momento non conoscevo nè correggere la specificazione dello stesso «o per togliere a que­st’aggettivo il fastoso e il classico e il panico…» ma cosa mai tentare di comprendere l’opinione per cui l’arte «sua, arte festiva, solatia io direi; che canta le stagioni, la primavera l’estate l’autunno, se non l’inverno quando dà segni del tempo rinascente…».
Figura scomoda quella dell’Artista toscano, si dirà e documenterà più avanti, a cui non si perdo­na va l’adesione, dopo una intensa attività di stu­dio e documentazione e partecipazione alle Avan­guardie Storiche, alla stagione del Ritorno all’Or­dine che pure, e non si dice, fu un movimento d’a­vanguardia, sicuramente nuovo nelle intenzioni programmatiche; e senza starne qui a citare e di­datticizzarne la scaletta da cui per altro ritagliò un autonomo spazio, mi proponevo col titolo «Soffi­ci nella solarità del Mediterraneo», di trovare le ra­gioni di quel lungo abbandonarsi del pittore al fre­mere emozionale, liricamente sempre nuovo del mondo naturale, e specificantosi tra la campagna toscana e le spiagge pinete monti della Versilia.
Con il termine «solarità», rafforzato e specifi­cato in senso epico da «Mediterraneo», intendevo riferirmi ad un clima di emozioni culturali nate ed affermatesi in Italia presso i più sensibili artisti ed esclusivamente quanti uscirono realmente delusi e battuti nell’entusiasmo rinnovativo, e ripeto non solo formalmente inteso, ma in alcuni casi collet­tivizzato; una condizione di creatività che non de­ve essere superficialmente interpretata in uno stretto ambito nazionalistico ma proprio attraverso i si­gnificati universali dell’epica mediterranea univer­salizzata come luogo e tempo culturale del ricono­scimento originario.
La campagna collinare intorno a Poggio a Caia­no, frequentata da tante citazioni della stagione epi­ca, e soprattutto le distese di spiaggia deserte con la macchia che arriva quasi a toccare il mare della Versilia, sono fatti significativi di questo spirito del ricordo e del languore ma van,io intesi non come emozione «r. gressiva» rispetto ad un ipotetico pro­gresso ma strategia di auto conoscenza e recupero di un potenziale culturale ed umano depositato nella coscienza più profonda. Solarità è tappa decisiva per il conseguimento di una troppo incompresa ere­dità a cui tentarono, e non a caso sulle stesse spiag­ge, gli artisti tedeschi, Bocklin e Hildebrand, già coscienti di una recuperata intima epica silvana e barbarica.
Il nome di Bocklin non può che riportarci, se il titolo non lo avesse già suggerito, a Giorgio De Chirico, sia nella stagione dell’enigma (dell’oracolo) e della metafisica che in quella concettuale della «gratificazione» delle esigenze estetiche sociali. L’introduzione del Maestro di Volo ha quindi si­gnificato in questo contesto di problematicizzazione per una frettolosa liquidazione di Soffici paesag­gista post 1920 ma è anche occasione di immissio­ne di un ulteriore dato di valutazione.
Quando infatti De Chirico, pur provenendo dal­l’esperienza della stagione «Metafisica» da cui in­dubbiamente ricevette incomprensione e qualche ri­duttiva citazione, intendendo una limitazione del­la portata universale, aderì espositivamente alle teo­rie della Sarfatti ed al gruppo del Novecento ed an­cora progressivamente fino alla scomparsa si det­te all’auto citazione metafisica, all’auto effige sei­centesca e rubensiana, dette fondo, su un piano metodologico espressivo sicuramente pre concet­tuale, ad una prassi del tradimento e quindi all’as­solvimento delle richieste de problematicizzate del gusto e della «fame d’immagini» del corpo sociale.
Quanti «…vorrebbero strappare canti di con­solazione, voci d’armonia, capolavori di serenità ad artisti che sono pure uomini quanto gli altri. Che cosa penserebbero della nostra epoca i posteri se, da un ipotetico naufragio, ne emergessero soltan­to pitture di eredità classica, di placida visione? Che cosa potrebbero capire di questo terribile, oppres­so, angosciatissimo…» (F. Arcangeli Jackson Pol­lock in l’Europeo 1956).
Ora senza voler accentuare i termini di un’ipo­tesi già troppo impietosa, è possibile riflettere sul­le soluzioni, conseguenza di una più o meno co­sciente delusione di auto gratificazione espressiva che nel caso di Soffici corrispondeva al vivo amo­re per il paesaggio e per l’ambito naturale, respon­sabilmente contaminato dall’uomo. Una posizio­ne creativa a cui l’artista darà una lucida defini­zione nel termine «Realismo sintetico» (vedi anto­logia testi critico artistici di A.S.).
Lo spirito di ricerca di Soffici si indirizzerà quindi alla costante lettura dell’ambiente che lo circonda, e si avventurerà nella spiaggia e nelle pinete poco oltre la casa di Vittoria Apuana riconoscendo gli spazi ampi, sempre nuovi per la sua colta sensibi­lità e che faranno il piacere della pittura; su blocchi di carta appunta le idee che saranno necessarie, più o meno direttamente, alla redazione di un quadro ma sono anche spesso risultati autonomi di una im­provvisa emozione, mentre nel complesso forniscono e testimoniano l’immagine più fresca ed auten­tica del felice rapporto istaurato da Soffici con il paesaggio e la natura del Forte; ogni piccola scena o particolare appena abbozzato è occasione di cu­riosa indagine, e mai insistita ed anzi rispettosa dei silenzi animati soltanto da un alito profumato di vento ed attenta a riportare intatto il fiero languo­re rappresentato dalle montagne subito a ridosso; qualche bagnante appena tratteggiato, le barche in mare e quelle tirate sulla spiaggia e tutta una serie di freschi acquerelli dedicati alle costruzioni in le­gno appena mimetizzate dalle poche piante che a stento nascono sulla sabbia. Ogni immagine del Forte, prediligendo della stagione estiva il settem­bre quando più intenso è il rapporto con il paesag­gio, indica con certezza l’atto d’amore di Soffici per la pittura quale fonte inesauribile di poesia, strumento di compenetrazione con l’esistenza e per la comprensione del suo più profondo significato. Il segno della matita, la liquidità dell’acquerello, la matericità dell’olio non descrivono né scontor­nano in cerca di presunte verità, ma si dispongo­no, a seguire le indicazioni espressive dell’emozio­ne e del sentimento che il dato della realtà ha pro­vocato e che nella forma di un nuovo contributo si rinnova predisposta verso ulteriori letture. Ma questa è già letteratura.
In questo più ampio contesto si comprende 1’in­sistita interpretazione delle spiagge con il fremito lirico, ma trattenuto da una metafisica solitudine, e 1’aggiunzione sul paesaggio naturale di qualche presenza umana, emblematizzata ancora metafisi­camente con le cabine, isolate citazioni classiche, e le barche a riva e le vele bianche in lontananza, mentre alle spalle, subito protettrice appare il com­plesso delle Alpi Apuane ed in particolare la mole viola della Pania.
Ogni opera, la tela impegnativa ed il piccolo olio, fanno insieme l’immagine ed il segreto svela­to ed ancora relatore di nuove emozioni e recondi­ti ricordi di quest’area geografica ed emblematica­mente della solare mediterraneità della sua natura e dei suoi gravemente contaminati limitati e rispet­tosi inserimenti umani.

Ardengo Soffici: Mostra Antologica

Se il tema di questa presentazione di Soffici è quello relativo ai risultati dei lunghi soggiorni esti­vi trascorsi operosi a Forte dei Marmi e quindi al­la pittura di paesaggio, ora delle ampie spiagge e della distesa marina, ora della pineta con grande spazio sul fondo alle Apuane, non poteva essere evitata, seppur succinta e con valore emblematico, una scelta di opere che documentassero le diverse tappe ed i temi che hanno fatto e composto l’inte­ro percorso creativo di Ardengo Soffici, e che lo pongono tra le figure più complesse e ricche del pae­saggio intellettuale della prima metà del nostro secolo.
Espositivamente quindi assume particolare valore la presenza, tra le piccole opere, di `La vite’ e `Nervi’, riferite agli anni 1903 1907 attra­verso le quali è possibile riconoscere i dati della in­tensa presenza del giovane Soffici a Parigi in un ambiente ricco di presenze diverse, che per l’arti­sta si specificano in chiave simbolista ma con dati di trasgressione materica, densa e plasmata, cro­maticamente espressionista, ma portata su una so­lida figura, secondo uno spirito rinascimentale che l’artista dimostrerà di conservare interiormente e pronto a recuperare dopo le avventure sperimen­tali. Sono di questi anni la formazione internazio­nale di Soffici e la scoperta di giocare un ruolo di studio e di recupero dei ritardi di informazione sullo svolgimento della cultura letteraria e visiva fran­cese della seconda metà dell’ 800; un ruolo affron­tato direttamente con traduzioni ed incontri, quan­do possibile, diretti con gli artefici di quelle espe­rienze ed ancora facendosi carico di trasferimento di esperienze e notizie negli ambiti intellettuali ita­liani ed in particolar modo di Firenze.
Così accanto all’attività pittorica nasce quella di commentatore attento di avvenimenti artistici e letterari trovando sulle riviste specializzate dell’e­poca ampio e interessato spazio; dalla collabora­zione al `Leonardo’ e `Vita d’arte’ per entrare a far parte degli operatori più vicini a Prezzolini, diret­tore della `Voce’.
Intorno a quest’ultima rivista Soffici incontra e frequenta Croce e Salvemini, Cecchi e Serra e Bac­chelli.
L’apporto di Soffici alla `Voce’ è tale da essere indicato tra i maggiori artefici del rinnovamento dell’elaborazione artistica italiana, rimasta attar­data su forme accedemiche, tardo settencentesche e regionalistiche nel caso dei Macchiaioli toscani e dell’ambito partenopeo. Giocano un ruolo fon­damentale i saggi su Cézanne e l’Impressionismo e su Medardo Rosso, da cui nascerà l’impegno di­retto dell’artista alla realizzazione della mostra de­dicata al movimento francese ed aperta a Firenze nel Maggio del 1910.
Ma il ruolo di Soffici si caratterizza intellettual­mente attraverso il suo costante incontro e scam­bio epistolare, spesso amichevole e fraterno, con le figure di spicco e propulsive sul piano delle po­sizioni d’avanguardia che abitano a Parigi prove­nendo da tutta l’Europa, ed in particolar modo con Picasso, Jacob ed Apollinaire; quest’ultima figu­ra d’intellettuale complesso ed estremamente nuo­va rispettò alla tradizione sarà sempre per Soffici fondamentale per la valutazione ed interpretazio­ne dei tempi culturali.
Questo costante impegno di interscambio sfo­cia in ulteriori impegni editoriali dedicati a Rim­baud ed a Cecov ma soprattutto si concretizza nel­la raccolta di testimonianze e contributi per l’usci­ta di un nuovo foglio `Lacerba’ alla cui realizza zione collaborano il gruppo futurista di Marinetti, Boccioni e Carrà.
Ma accanto a questa vivace militanza intellet­tuale nascono diverse opere letterarie sulle quali si raccoglie una vasta attenzione di critica, seppure già raccolgono i dati di una conduzione di pensie­ro forse contraddittoria ma comunque vivacemente vissuta e con chiaro spirito di partecipazione; da `Ignoto toscano’ a `Arlecchino’ alla `Giostra dei sensi’ a `Lemmonio Boreo’, mentre il percorso pit­torico si dimostra assai più lineare e da osservare in rapporto con le scelte di `critica d’arte’.
Del 1909 è `Paese’ dipinto a Bulciano durante uno dei tanti soggiorni distensivi ed impegnati nel­la pittura trascorsi presso la famiglia di un altro fondamentale esponente delle vita culturale italia­na del momento, Giovanni Papini. L’opera testi­monia dell’apprendimento e compenetrazione con la pittura di Cézanne e della costante predilezione ed attenzione per lo spazio naturale all’interno del quale forse ritrovava dopo l’impegno intellettuali­stico gli umori vitali e segreti frequentati nella vita familiare a Poggio a Caiano.
Il paesaggio è occasione si di costruzione pitto­rica, con una materia cromatica analitica, ma con l’obbiettivo di penetrazione delle verità liriche del­le diverse componenti presenti e quindi mai con so­luzioni `decorative’ ma con la sicura coscienza della loro possibile conflittuale compenetrazione in no­me della natura ma anche per volontà `disegnati­va’ dell’uomo.
Del 1912 è `Paesaggio’ dove è assai più chiaro l’intento analitico con netta delimitazione delle componenti, la collina, la casa, la strada secondo la duplice attenzione a fermenti cubisti, trasferiti su un persistente umore naturalistico, ed osserva­zione apporofondita della pittura d’affresco giot­tesco; il rapporto con la natura ed il paesaggio tende in questa fase a concretizzarsi in una del tutto au­tonoma posizione cubo futurista, per cui va limi­tandosi il ruolo di intimizzazione per prediligere l’attenzione ad un’acquisizione compositiva men­tale per cui gli umori lirici e poetici si dimostrano più ermetici e psicologiacamente più nitidamente incisivi.
I termini estetici futuristi sono maturati da Sof­fici per via indiretta ed in rapporto di continuità storica, secondo una prassi che esclude `strappi’ ed improvvise novità e trascritta negli anni del ripen­samento e della rielaborazione, con la lezione di Cé­zanne e le nuove soluzioni intraprese da Picasso e Braque a cui dedica nel 1913 un ricco testo critico, `Cubismo ed oltre’. Anche in occasione di un’espe­rienza espressiva nuova, quale è il futurismo rivo­luzionaria per l’Italia, l’adesione di Soffici risulta autonoma, proiettata internazionalmente e su va­lori che nascondono più o meno chiaramente, il suo desiderio recondito di mantenere viva una presen­za costruttiva, una solidità antica, una chiarezza d’intenti espressivi assunti in profondità, ed in co­stante apprendimento dalla storia artistica tre­quattrocentesca toscana. Testimoniano questa im­pressione l’opera `Bagnanti’ del 1911, con le figu­re ed il paesaggio quasi scolpite e ricche di un pha­tos antico e classico, mentre un languore fauve ci ricorda la frequentazione dell’ambiente francese, e in particolar di Matisse e Rouault.
Lo spessore pittorico materico è alla base di due opere del 1914, `Composizione con bottiglia verde’ e `Pera libro tazza’, e ci relazione sulla volontà di mantenere, anche in presenza di fatti trasgressivi e progettuali, rappresentati dalla presenza del col­lage con pagine di giornale, pieno possesso del cor­po dell’oggetto, del suo spessore ed entità fisica; in particolar modo in `Pera, libro, tazza’ l’impa­ginazione è aperta e nettamente costruita e libera da indicazioni di `movimento’ e di analisi tridimen­sionale, secondo il ricordo di tante immagini della pittura d’affresco del ‘300; oggetti, impaginazio­ne e conduzione pittorica successivamente presen­ti, con autonome soluzioni, in Sironi e Morandi.
Termini di lettura presenti anche nel quadret­to `Caffè Apollo’ del 1915, ma con aggiunta di ironica citazione da Picasso.
(Cosi l’adesione al futurismo va interpretata so­prattutto nei termini diversi di `neo’ cubismo e quindi di anticipazione di quella particolare stagio­ne che caratterizzerà il lavoro di alcuni giovani pit­tori italiani durante e nell’immediato secondo dopo­guerra).
Ma l’esperienza cubo futirista, condotta come sempre in maniera militante attraverso il linguag­gio visivo e saggistico, dovette concludersi con la partecipazione di Soffici alla Prima Guerra Mon­diale; ed è in questa difficile esperienza che si ri­versarono per intero le contraddizioni di un siste­ma economico e culturale cresciuto e spintosi for­se troppo rapidamente avanti rispetto ad una reale assunzione da parte dell’intero corpo sociale. Con­traddizioni vissute da Soffici in termini, ed in ma­niera assolutamente diretta, e nelle cui figura in­tellettuale è possibile osservare il più significativo valore emblematico per l’ambiente italiano.
Gli anni di guerra furono quindi occasione di duro ripensamento su tutta una stagione di scoperte ed entusiasmi che si andavano esaurendo in un do­loroso bagno di sangue e quindi con la conseguen­te perdita di punti di riferimento e di confronto in­tellettuale; ed è nella scomparsa di Apollinaire av­venuta a Parigi nel 1918 che forse Soffici vede il crollo di tante speranze ed esperienze di rinnova­mento non esclusivamente formale ma osservato a livello profondo, metodologicamente e socio­collettivamente.
Mala delusione di Soffici non esclude ancora la sua partecipazione al dibattito e al confronto del­le posizioni diverse e nuove che negli anni subito successivi alla guerra vengono espresse e che egli stesso orienta con contributi anticipatori, autono­mi e sempre tradotti organizzativamente su un pia­no editoriale, in `Rete Mediterranea’, ed espositi­va, raccogliendo l’adesione su i principi del `Ritor­no all’ordine’ di un numeroso gruppo artistico `to­scano’, con Rosai e Conti, Vagnetti e Colacicchi.
A partire dal 1919 la posizione creativa di Sof­fici si riporta ai tempi, il paesaggio soprattutto, ed alle soluzioni espressive originarie che abbiamo vi­sto cresciute in ambito francese e soprattutto nel clima di Cézzanne ed ora plasmato liricamente con il contributo di Renoir e Degas, mentre soprattut­to sulla figura, riprende con atteggiamento di con­tinuità storico ideale, i rapporti di solidità ed im­pianto rinascimentale ed ancora meditati sul pia­no psicologico e sociale attraverso Millet.
Poggio a Caiano diventa sempre più nitidamen­te il soggetto prediletto e continuamente indagato con i suoi umili abitanti e la campagna circostante nelle diverse stagioni dell’anno ed ancora quelle semplici case coloniche, ora isolate ed altre più cit­tadine. 1 paesaggi toscani, emblematizzati nella fa­miliare campagna, sono quindi in Soffici finalmente amati e libero da preoccupazioni formali ne inda­ga con soluzioni diverse il significato, o forse me­glio il segreto profondo, quello che affascinò Giotto e Piero, ed una infinita schiera di anonimi. La li­bertà con cui si muove su un soggetto tanto antico ha il valore di una chiara presa di coscienza del pro­prio essere artista ed intellettuale, nel significato contemporaneamente di intima sensibilità e di ruolo e dimensione sociale. Ed il paesaggio, ancora qual­che figura e nature morte, sono la soluzione possi­bile alle contraddizioni e conflitti vissuti con co­raggio ed a cui pure e con grandi sforzi ed ampia disponibilità aveva cercato di dare possibilità di ri­soluzione; così con la crisi della stagione di ricerca troverà nel suo intimo deposito culturale e d’esi­stenza i termini per continuare ad operare e con quella foga e dichiarata auto certezza che gli cree­rà non poche incomprensioni e dure reazioni. Pur autoisolandosi per sempre più lunghi periodi a Pog­gio a Caiano non poteva trattenersi dal far sentire la sua voce ed i suoi rimproveri e sprezzanti denunce dell’evolvere dei costumi estetici e della prassi in­tellettuale; non poteva un uomo come Soffici ac­cettare in silenzio le delusioni di una intera gene­razione, condannata dalle contraddizioni, imposte dai ritardi d’informazione e d’esperienza; né accet­tare e riconoscere la delusione per tanti tentativi e faticose avventure in terra straniera e da `povero provinciale’. Testimonianza di una complessa na­tura sono i difficili rapporti con il Regime Fascista e la nuova realtà democratica, e di entrambi gli am­bienti culturali.
La pittura, sempre più che la comunicazione let­teraria, saranno quindi per Soffici chiaro punto di riferimento per una militanza sempre privatamen­te riferita, mentre i risultati forse assumono, anche a sua insaputa un ruolo ed un significato che deve essere ancora indagato.